ORDINANZA N. 414
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis della legge 8 agosto 1992, n. 359 (recte: art. 5 bis d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359) (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 4 marzo 1993 dalla Corte d'Appello di Lecce nel procedimento civile vertente tra Matteo Pasquale ed altre ed il Comune di Lecce, iscritta al n. 232 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1993; 2) n. 3 ordinanze emesse il 21 gennaio, il 28 gennaio ed il 6 aprile 1993 dalla Corte di appello di Genova nei procedimenti civili vertenti tra Fresia Elsa e il Comune di Savona, Pozzo Emma ed altri e il Comune di Recco e Morixe Renza ed altri e il Comune di Vado Ligure, ai nn. 268, 269 e 270 del registro ordinanze 1993, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di costituzione di Fresia Elsa nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice relatore Renato Granata.
Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione, promosso da Matteo Pasquale e Centonze Concetta, la adita Corte d'appello di Lecce ha sollevato (con ordinanza del 4 marzo 1993) questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art.5 bis, commi 1, 2, 6 e 7 della legge 8 agosto 1992 n.359 (recte: art. 5 bis d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n.359) recante nuovi criteri per la determinazione della indennità suddetta, ipotizzando la violazione: a) dell'art. 24, commi 1 e 2, Cost. nella parte in cui, sostanzialmente penalizzando il soggetto che non sia addivenuto alla cessione volontaria del bene e che abbia scelto la via giudiziaria per la tutela del proprio diritto, stabilisce comunque per quest'ultimo una riduzione dell'importo indennitario in misura del 40%; b) dell'art. 3 Cost. perchè crea una irragionevole disparità di trattamento tra chi al momento della sua entrata in vigore ha visto definita la propria posizione con la vecchia normativa e chi, invece, per cause assolutamente indipendenti dalla sua volontà, tale posizione non ha visto definita in tempo; c) dell'art. 42, comma 3, Cost. perchè non costituisce <serio ristoro>) un indennizzo espropriativo pari a circa il 30% del valore venale del bene espropriato;
che in altrettanti analoghi giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione-proposti rispettivamente da Fresia Elsa, Pozzo Emma ed altri, e da Morixe Reza ed altro - la medesima norma (anche con riferimento al quinto comma) è stata censurata dalla Corte d'appello di Genova con ordinanze del 21 e 28 gennaio e 6 aprile 1993 per sospetta violazione: a) dell'art.42, comma 3, Cost. (per inadeguatezza e difetto di congruità dell'indennizzo espropriativo quale risultante dal nuovo criterio di calcolo, che dovendo farsi riferimento alla semi somma (peraltro ridotta del 40%) del valore venale e del reddito dominicale comporta una diminuzione dell'indennità che va ben oltre quel margine discostamento, tra il <serio ristoro> dovuto a chi subisce l'espropriazione ed il pieno <<valore venale>> del bene espropriato, scostamento che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto compatibile con la natura dell'istituto dell'espropriazione);b) (ancora) dell'art. 42, comma 3, Cost. (perchè la previsione del quinto comma della norma censurata, secondo cui è rinvia ad un regolamento, da emanarsi con decreto ministeriale, la definizione dei criteri e dei requisiti per la individuazione della edificabilità di cui al precedente terzo comma, viola il principio della riserva di legge); c) degli artt. 3 e 24, comma 1, Cost. (per disparità di trattamento tra chi accede alla cessione volontaria del bene e chi invece intende adire l'autorità giudiziaria con opposizione alla stima e per violazione del diritto di agire in giudizio perchè la penalizzazione della riduzione, in tal caso, del 40% dell'indennizzo si traduce in un ostacolo all'esercizio di un diritto soggettivo; inoltre vi sarebbe disparità di trattamento tra chi al momento dell'entrata in vigore delle nuove norme abbia già subito l'esproprio e non possa quindi più convenire la cessione volontaria del bene, e chi, non essendo ancora stato emesso un provvedimento ablatorio, può accedere alla cessione volontaria senza subire la riduzione del 40%);
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o infondate in quanto già delibate da questa Corte con la sentenza n. 283/93;
che si è costituita la parte privata Fresia Elva depositando memorie e in particolare, nel prendere atto della sentenza n. 283 del 1993 di questa Corte, emessa nelle more del giudizio, non ha chiesto la discussione in pubblica udienza.
Considerato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, primo comma, d.l. n.333/92 cit. sollevata in riferimento all'art. 42, comma 3, Cost. - sotto il profilo che l'indennizzo espropriativo (pari al 40970 della semisomma del valore venale e del reddito dominicale) non presenta le caratteristiche del <serio ristoro>, che invece dovrebbe avere, atteso che la Corte ha già dichiarato non fondata la medesima questione con la sentenza n. 283 del 1993, nè le Corti d'appello rimettenti allegano nuovi e diversi elementi di valutazione;
che è viceversa manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, primo comma, ultima parte, e secondo comma, riguardante il previsto esonero dall'abbattimento del 40% dell'indennizzo espropriativo solo in caso di cessione volontaria per assunta disparità di trattamento (art. 3 Cost.) e per asserita vulnerazione del diritto di azione (artt. 24 Cost.) essendo, in entrambe le fattispecie all'esame dei giudici a quibus, già intervenuti i decreti di espropriazione sicchè non può più trovare applicazione la disciplina della cessione volontaria, come ritenuto in analoga fattispecie dalla cit. sent. n. 283/93;
che altresì manifestamente inammissibile è la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, quinto comma, cit. sollevata - in riferimento all'art. 42, comma 3, Cost. sotto il profilo della violazione della riserva di legge, atteso che nelle ordinanze di rimessione non è precisato se la destinazione edificatoria del suolo, accertata dal c.t.u., sia di natura legale o di fatto, sicchè manca un elemento essenziale per valutare la effettiva rilevanza della questione nei giudizi a quibus;
che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 bis, sesto comma, cit. sollevata in riferimento all 'art . 3 Cost. perchè la prospettata disparità di trattamento tra espropriati, secondo che nei loro confronti sia stato emesso, o meno, il decreto di espropriazione al momento della entrata in vigore del d.l. n. 333/92 cit., risulta rimossa - successivamente alle ordinanze di rimessione - dalla cit.
sentenza n. 283/93, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del secondo comma del medesimo art. 5 bis nella parte in cui non prevede in favore dei soggetti già espropriati al momento dell'entrata in vigore della legge n.359 del 1992, e nei confronti dei quali la indennità di espropriazione non sia ancora divenuta incontestabile, il diritto di accettare l'indennità di cui al primo comma con esclusione della riduzione del 40o10, e quindi la pronuncia additiva invocata dalla Corte d'appello di Genova è stata già resa (ancorchè riferita al secondo comma e non già al sesto della disposizione impugnata); mentre non può esaminarsi perchè fuori dal thema decidendum quale devoluto dalla Corte rimettente il profilo, indicato in una sua memoria dalla parte costituita, dell'incidenza dell'onere delle spese processuali;
che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art . 5 bis, sesto e settimo comma, cit. nella parte in cui la nuova disciplina dell'indennizzo espropriativo si applica (con efficacia retroattiva) anche ai procedimenti (ed ai relativi giudizi) in corso per violazione del principio di parità di trattamento (art. 3 Cost.) e del diritto d'azione (art. 24 Cost.) avendo questa Corte già escluso la lesione dei suddetti parametri nella cit. sentenza n. 283/93, senza che nuovi e diversi profili di valutazione siano prospettati dalle Corti d'appello rimettenti;
visti gli artt. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara:
a) la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 24 e 42, comma 3, Cost. - dell'art. 5 bis, commi 1, ultima parte, 2, e 5 d.l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), sollevate dalla Corte d'appello di Lecce e dalla Corte d'appello di Genova con le ordinanze trascritte in epigrafe.
b) la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale - in riferimento all'art. 3, 24 e 42, comma 3, Cost. - dell'art. 5 bis, commi 1, 6 e 7, d.l. n. 333/92 cit., sollevate dalla Corte d'appello di Lecce e dalla Corte d'appello di Genova con le ordinanze trascritte in epigrafe.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/11/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 23/11/93.