Sentenza n. 289 del 1993

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SENTENZA N. 289

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi promossi con ricorsi della Regione Emilia-Romagna e delle Regioni Autonome Valle D'Aosta e Sardegna, notificati il 4, il 18 e 19 febbraio ed il 6 marzo del 1993, depositati in Cancelleria il 10, il 26 febbraio e il 12 marzo del 1993, per conflitti di attribuzione sorti a seguito dell'ordinanza del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e delle foreste, del 5 gennaio 1993 recante "Divieto dell'attività venatoria su tutto il territorio nazionale per un periodo di otto giorni" ed iscritti ai nn. 5, 7 e 8 del registro conflitti 1993.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore Enzo Cheli;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Gustavo Romanelli per la Regione Autonoma della Valle D'Aosta e Sergio Pannunzio per la Regione Autonoma della Sardegna e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. - La Regione Emilia-Romagna ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione all'ordinanza adottata dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e foreste, il 5 gennaio 1993 e avente ad oggetto "Divieto dell'attività venatoria su tutto il territorio nazionale per un periodo di otto giorni", al fine di sentir dichiarare che non spetta al Ministro dell'ambiente il potere di vietare l'attività venatoria in tutto il territorio nazionale e di ottenere conseguentemente l'annullamento dell'ordinanza stessa per violazione degli artt. 117, primo comma, e 118, primo comma, della Costituzione.

Nel ricorso si ricorda che la materia della caccia è assegnata alla potestà legislativa ed amministrativa delle Regioni dall'art. 117, primo comma, e dall'art. 118, primo comma, della Costituzione e che l'art. 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, contenente la disciplina quadro della materia,affida alle Regioni il potere di "vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica... per importanti e motivate ragioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità".

Sulla base di tali richiami, l'ordinanza impugnata, ad avviso della Regione, sarebbe innanzitutto priva di qualunque base giuridica.

Risulterebbe, infatti, incongruo il richiamo, contenuto nella stessa ordinanza, all'art. 19 della legge n. 157 del 1992, dal momento che tale norma attribuisce in via esclusiva alle Regioni il potere di divieto e di riduzione della caccia senza prevedere interventi statali nè in via ordinaria nè in via sostitutiva, riferendo tale potere a situazioni che si manifestano e si valutano sul piano locale. Incoferente sarebbe poi il riferimento all'art. 21 della legge n. 157, in quanto tale norma non prevede poteri amministrativi, ma stabilisce direttamente alcuni divieti in riferimento a particolari condizioni (neve e ghiaccio), senza richiedere atti di applicazione. Inappropriato sarebbe, infine, il richiamo all'art. 8 della legge n. 59 del 1987, norma che regola il potere ministeriale di emettere ordinanze contingibili ed urgenti collegandolo a due presupposti ("grave pericolo di danno ambientale" e "impossibilità di provvedere altrimenti") che, ad avviso della Regione, non ricorrerebbero nel caso di specie.

In termini più generali, secondo la Regione Emilia- Romagna, il sistema generale di tutela dell'ambiente ed il sistema di tutela della fauna dovrebbero ritenersi giuridicamente distinti - pur essendovi alcune connessioni previste dalla legge - con la conseguenza che gli strumenti generali di tutela ambientale non potrebbero esser tout court impiegati per il settore faunistico-venatorio.

In via subordinata, la Regione ricorrente afferma poi che l'ordinanza impugnata risulterebbe invasiva della sfera di competenza regionale anche ove si sostenesse che il potere del Ministro dell'ambiente è stato esercitato in via sostitutiva di fronte ad una inerzia regionale. Una tale tesi, oltre che infondata, condurrebbe anche alla constatazione di ulteriori illegittimità giacchè i poteri sostitutivi del Ministero dell'ambiente nei riguardi delle Regioni - regolati dall'art.8, terzo comma, della legge 8 luglio 1986, n. 349 - riguardano ipotesi di inosservanza, da parte delle Regioni, di disposizioni di legge relative alla tutela dell'ambiente e possono essere esercitati solo nel rispetto di una procedura che contempla, tra l'altro, la diffida ad adempiere entro un termine, l'adozione in via cautelare di misure provvisorie di salvaguardia, la comunicazione alle amministrazioni competenti, tutte ipotesi non ricorrenti nel caso di specie.

La Regione rileva, infine, che l'ordinanza, oltre che insufficientemente motivata, si presenta contraddittoria, sproporzionata e arbitraria, anche per la totale mancanza di riscontri fattuali riferibili alle singole situazioni locali.

La Regione chiede, pertanto, a questa Corte di dichiarare che non spetta al Ministro dell'ambiente il potere di vietare, con propria ordinanza, l'attività venatoria su tutto il territorio nazionale e, conseguentemente, di annullare l'ordinanza impugnata.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

L'amministrazione resistente - dopo aver rilevato che il provvedimento oggetto di conflitto ha esaurito la sua efficacia prima della proposizione del ricorso - contesta che la materia della caccia possa ritenersi estranea alla nozione di ambiente, dal momento che, al contrario, la fauna selvatica - dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato dall'art. 1 della legge n.157 del 1992 - si presenta come risorsa naturalistica e quindi componente dell'ambiente come sistema biofisico.

Pertanto, un danno alla fauna sarebbe da considerare come danno ambientale per la cui prevenzione ben può essere attivata, ricorrendone i presupposti, la misura cautelare di cui all'art. 8 della legge n. 59 del 1987.

Quest'ultima disposizione prevede, infatti, un intervento di "estrema salvaguardia" posto a garanzia di tutti i valori ambientali come "strumento di prevenzione di un danno all'ambiente utilizzabile in funzione integrativa delle discipline settoriali quando queste, nella situazione contingente, non offrono misure appropriate allo scopo".

Inoltre - sempre a giudizio della Presidenza del Consiglio - l'ordinanza in questione sarebbe stata emanata proprio nell'ipotesi - menzionata dall'art.8 della legge n. 59 del 1987 - di impossibilità di "altrimenti provvedere", in quanto il divieto generale e temporaneo dell'attività venatoria in tutto il territorio nazionale - ritenuto necessario per impedire un grave danno al patrimonio faunistico nelle condizioni meteo-climatiche esistenti nel periodo considerato - si presenta come misura non contemplata dalla legge settoriale n. 157 del 1992. Per un verso, infatti, l'art. 19, primo comma, della legge n. 157 prevede che le Regioni possano vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia, ma solo relativamente a determinate specie di fauna selvatica; per l'altro, l'art. 20, lett. m) ed n), dispone un divieto generale di caccia a tutte le specie solo in presenza di specifiche ipotesi di condizioni climatiche obbiettiva mente verificabili dal cacciatore (terreni coperti di neve o specchi d'acqua coperti da ghiaccio).

L'impossibilità per le Regioni di intervenire con effetti protettivi equivalenti a quelli assicurati dall'ordinanza impugnata giustificherebbe, pertanto, l'intervento del Ministro dell'ambiente, con una misura che non è sostitutiva di una inerzia regionale.

Infine, i rilievi svolti dalla Regione sulla insufficienza della motivazione nonchè sulla contraddittorietà e sul difetto di proporzionalità del provvedimento impugnato risulterebbero irrilevanti ai fini della decisione sulla spettanza al Ministro dell'ambiente del potere contestato con il conflitto.

3. - Contro la stessa ordinanza del Ministro dell'ambiente ha sollevato conflitto di attribuzione anche la Regione Autonoma della Valle D'Aosta, per sentir dichiarare che rientra nelle sue attribuzioni il potere di porre divieti anche temporanei all'esercizio della caccia nel territorio regionale e, conseguentemente, annullare l'ordinanza in questione per violazione dello Statuto di autonomia speciale della Valle d'Aosta (Legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4), ed, in particolare, dei suoi artt. 2, lett. d) ed l), e 4.

Espone la Regione ricorrente che il suo Statuto prevede la potestà legislativa regionale primaria in materia di caccia e pesca (art. 2, primo comma, lett. l) nonchè in materia di flora e fauna (art. 2, lett. d) e stabilisce anche (art. 4) che la Regione ha competenza amministrativa su tutte le materie su cui ha competenza legislativa. Competenze in materia venatoria sono inoltre attribuite a tutte le Regioni dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157.

Con l'ordinanza impugnata, il Ministro dell'ambiente avrebbe determinato una illegittima compressione della sfera di autonomia spettante alla Regione nell'esercizio delle proprie potestà amministrative.

A questo proposito, la Regione ricorrente sottolinea che tale compressione non può essere giustificata con il richiamo all'esercizio della funzione statale di indirizzo e coordinamento, dal momento che il provvedimento impugnato non può essere considerato estrinsecazione di tale funzione in ragione della specificità del suo contenuto e del suo limitato ambito temporale di efficacia.

La Regione pone altresì in evidenza che gli artt. 19 e 21 della legge n.157 del 1992 - menzionati nelle premesse dell'ordinanza del Ministro dell'ambiente - affermano una competenza amministrativa regionale in materia venatoria, rendendo così palese che l'amministrazione statale ha esercitato una competenza che le norme invocate riconoscono soltanto alle Regioni.

Infine, sempre secondo la Regione, non può essere invocata a sostegno dell'ordinanza impugnata nè una competenza attuativa del Ministero dell'ambiente in materia di convenzioni internazionali (non essendo possibile individuare una convenzione internazionale di cui il provvedimento possa esser considerato attuazione), nè il potere del Ministro di emanare ordinanze contingibili ed urgenti regolato dall'art 8 della legge n. 59 del 1987, che ha altre finalità e presupposti.

Nella parte conclusiva del suo ricorso la Regione Valle d'Aosta sottolinea anche che l'interesse a ricorrere permane nonostante che l'ordinanza impugnata abbia esaurito la sua efficacia, dal momento che il thema decidendum del conflitto risulta rappresentato dalla dichiarazione della competenza ed il regolamento del conflitto è destinato ad assumere rilevanza anche per quelle ipotesi in cui sia possibile la reiterazione del provvedimento invasivo delle attribuzioni.

4. - Anche la Regione autonoma della Sardegna ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione in relazione alla stessa ordinanza del Ministro dell'ambiente del 5 gennaio 1993 per sentir dichiarare che non spetta allo Stato adottare, con decreto del Ministro dell'ambiente, divieti di esercizio dell'attività venatoria estesi al territorio della Regione Sardegna e per l'effetto annullare l'ordinanza in questione.

Dopo aver premesso che lo Statuto speciale di autonomia (Legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3) attribuisce alla Regione autonoma della Sardegna potestà legislativa e amministrativa di tipo esclusivo in materia di caccia (artt. 3, lett. i, e 6) e che la legge regionale 28 aprile 1978, n. 32, ha dettato una organica disciplina della caccia, la ricorrente sostiene che spetta agli organi regionali di disporre eventuali divieti temporanei di caccia anche ove ciò sia reso necessario da particolari avversità atmosferiche che colpiscano il territorio dell'isola.

Il Ministro dell'ambiente, invece, non sarebbe legittimato all'emanazione di tali provvedimenti non esistendo nell'ordinamento alcuna norma che gli attribuisca il relativo potere. L'art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, infatti, conferisce al Ministro il potere di adottare ordinanze contingibili ed urgenti al solo fine di tutelare l'ambiente; e per quanti collegamenti vi siano tra la fauna e l'ambiente le due materie non sarebbero identiche, come confermato dalla legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell'ambiente, che assegna all'amministrazione centrale competenze relative al "patrimonio naturale" (art 1, secondo e quinto comma), non identificabile con il "patrimonio faunistico".

Aggiunge poi la Regione che il potere di ordinanza esercitato dal Ministero non troverebbe fondamento nè nell'art. 19 della legge n. 157 del 1992 - che riconosce alle Regioni e non allo Stato la facoltà di vietare o di ridurre la caccia per periodi prestabiliti - nè nell'art. 21 della stessa legge che, alle lettere m) ed n) del primo comma, istituisce divieti immediatamente operativi di cacciare su terreni innevati oppure su specchi d'acqua ghiacciati o su terreni allagati.

Da queste considerazioni la ricorrente trae la conclusione che l'ordinanza impugnata sarebbe lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione Sardegna perchè con essa il Ministro ha preteso di esercitare un potere spettante agli organi regionali e perchè in contrasto con il principio di legalità.

Sarebbe inoltre da escludere anche ogni giustificazione del provvedimento fondata sulla tutela di un interesse nazionale o sull'adempimento di un obbligo internazionale giacchè di tali motivazioni non vi è adeguata dimostrazione nell'ordinanza. Questa, al contrario, contiene solo un generico riferimento alle condizioni meteo-climatiche esistenti al momento della sua adozione, inidoneo a spiegare la necessità di un divieto di caccia esteso anche ad una regione dal clima tipicamente mediterraneo come la Sardegna, toccata in misura irrilevante dal freddo e dalle nevicate del gennaio 1993.

5. - Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere l'inammissibilità del ricorso sulla base delle stesse argomentazioni già svolte con l'atto di costituzione in giudizio promosso contro la stessa ordinanza del Ministro dell'ambiente dalla Regione Emilia-Romagna.

6. - In prossimità dell'udienza di discussione sia la Regione Emilia-Romagna che la Regione autonoma della Sardegna hanno presentato memorie per replicare agli argomenti svolti dalla difesa dello Stato ed insistere nelle rispettive conclusioni.

In particolare, la Regione Emilia-Romagna sottolinea che, se è vero che un divieto generale e temporaneo dell'attività venatoria in tutto il territorio nazionale è misura non prevista dalla legge, ciò si verifica perchè il potere di vietare la caccia può e deve essere esercitato esclusivamente in ambiti regionali trattandosi di situazioni apprezzabili solo localmente ed insuscettibili di frazionamento. Per questa via un divieto di caccia operante sull'intero territorio resta pur sempre possibile come somma di misure regionali tanto più ove si consideri che le Regioni non sono tenute ad adottare limitazioni della caccia circoscritte solo a determinate specie, ma ben possono estendere il divieto a tutte le specie cacciabili nel loro territorio.

La Regione Sardegna, a sua volta, rileva che ogni Regione dispone del potere - in base all'art. 19, primo comma, della legge n. 157 del 1992 - di stabilire divieti temporanei per tutte le specie cacciabili nel proprio territorio, poichè il riferimento contenuto in detta norma a divieti regionali di caccia concernenti "determinate specie di fauna selvatica", da un lato, non esclude l'adozione di provvedimenti riguardanti "tutte" le specie esistenti nel territorio regionale e, dall'altro, tiene conto del fatto che in nessuna regione esistono tutte le specie cacciabili di cui all'elenco dell'art.18 della legge n. 157. Non sussisterebbe, quindi, la situazione di "non potersi altrimenti provvedere" prevista dall'art. 8 della legge n. 59 del 1987 ed invocata dall'Avvocatura a fondamento dell'ordinanza ministeriale impugnata.

Considerato in diritto

l. - I conflitti sollevati dalla Regione Emilia-.Romagna, dalla Regione autonoma della Valle d'Aosta e dalla Regione autonoma della Sardegna trovano il loro presupposto nello stesso provvedimento ministeriale (ordinanza del Ministro dell'ambiente del 5 gennaio 1993, recante "Divieto dell'attività venatoria su tutto il territorio nazionale per un periodo di giorni otto") e svolgono motivi in gran parte analoghi. I ricorsi relativi possono essere, pertanto, riuniti al fine di essere decisi con un'unica pronuncia.

2. - Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità prospettata dalla difesa dello Stato con riferimento all'avvenuto esaurimento dell'efficacia del provvedimento che ha dato origine ai conflitti. Se è vero, infatti, che l'ordinanza del Ministro dell'ambiente del 5 gennaio 1993 aveva un'efficacia interdittiva limitata ad otto giorni dalla data della sua pubblicazione, è anche vero che, in sede di conflitto, l'interesse della Regione alla pronuncia di questa Corte si è protratto e permane anche al di là del termine di efficacia del provvedimento impugnato (v. sent. n.3 del 1962, par. 4): e questo tanto al fine del riconoscimento della spettanza del potere esercitato che dell'annullamento dell'atto che ha dato luogo al conflitto, i cui effetti indiretti (come nel caso di sanzioni applicate durante il periodo di vigenza del provvedimento) possono prolungarsi oltre il termine di scadenza dello stesso.

3. - Nel merito i ricorsi si presentano fondati.

L'ordinanza del 5 gennaio 1993, che ha determinato i conflitti in esame, è stata adottata dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e foreste, ai sensi dell'art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, dove si attribuisce al Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri eventualmente competenti, il potere di emanare "ordinanze contingibili ed urgenti per la tutela dell'ambiente" nei casi in cui ricorrano "situazioni di grave pericolo di danno ambientale e non si possa altrimenti provvedere". Nella specie, l'esercizio di tale potere è stato motivato, nelle premesse del provvedimento, con riferimento alle condizioni meteo-climatiche che si sono manifestate nel territorio italiano all'inizio del gennaio 1993, condizioni suscettibili di configurare, ad avviso del Ministro, "uno stato di grave pericolo di danno ambientale" per la minaccia alla fauna selvatica, "in quanto per tali condizioni la fauna selvatica stessa risulta essere in condizioni di maggiore vulnerabilità". Sempre secondo la motivazione espressa nell'ordinanza, l'"unico strumento" per prevenire tale pericolo poteva, nella specie, attuarsi mediante la sospensione di ogni attività venatoria su tutto il territorio nazionale per un periodo di giorni otto.

Ora - diversamente da quanto ritengono le Regioni ricorrenti - non si può certo escludere che il Ministro dell'ambiente, nello svolgimento dei suoi compiti di "conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale nazionale" (art. 1, secondo comma, L. 8 luglio 1986, n. 349), possa intervenire a difesa della risorsa ambientale espressa dalla fauna selvatica, adottando, in situazioni eccezionali, lo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente di cui all'art. 8 della legge n. 59 del 1987 e stabilendo, attraverso il ricorso a tale strumento, provvedimenti suscettibili di incidere, quale conseguenza della tutela adottata, anche sull'esercizio dell'attività venatoria, così come regolata, in generale, dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157: ma questo dovrà pur sempre avvenire nel rispetto delle due condizioni previste dalla stessa norma per l'esercizio di tale potere, condizioni rappresentate tanto nell'esistenza di una situazione di "grave pericolo di danno ambientale" quanto nell'impossibilità di "altrimenti provvedere".

In particolare, questa seconda condizione viene a configurare il potere di ordinanza di cui all'art. 8 della legge n. 59 del 1987 - secondo l'espressione usata nella memoria dall'Avvocatura - come "estrema salvaguardia", cui risulta consentito ricorrere soltanto ove non sussistano altri strumenti ovvero ove gli strumenti ordinari, pur esistenti, non possano, in concreto, essere utilizzati.

Per quanto concerne il caso in esame (sospensione dell'attività venatoria per motivi meteo-climatici), lo strumento ordinario di intervento andava individuato nella disciplina posta dall'art. 19 della nuova legge-quadro sulla caccia (L. 11 febbraio 1992, n. 157), dove si affida alle Regioni il potere di "vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica ...per sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie od altre calamità". E sempre tra gli strumenti ordinari può inquadrarsi anche il potere d'intervento sostitutivo che l'art. 8, terzo comma, della legge n. 349 del 1986 affida al Ministro dell'ambiente "in caso di mancata attuazione o di inosservanza da parte delle Regioni ... delle disposizioni di legge relative alla tutela dell'ambiente, qualora possa derivarne un grave danno ecologico": potere che lo stesso Ministro è legittimato a esercitare, previa diffida alle amministrazioni inadempienti, mediante "misure provvisorie di salvaguardia, anche a carattere inibitorio ... di attività antropiche", di cui deve essere data preventiva comunicazione alle amministrazioni competenti.

4. - Con l'ordinanza che ha dato origine ai conflitti in esame tale disciplina ordinaria è stata trascurata, senza che di contro il Ministero abbia preventivamente provveduto a compiere accertamenti adeguati in ordine alla sussistenza delle condizioni idonee a giustificare l'adozione della misura straordinaria di cui all'art. 8 della legge n. 59 del 1987.

Dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato risulta, infatti, che il richiamo alla eccezionalità delle condizioni climatiche è stato operato senza tener conto della possibile diversità delle singole situazioni locali (tant'è che la Regione Sardegna ha contestato, con riferimento al proprio territorio, l'esistenza, nel periodo di cui è causa, di una situazione rischiosa per la fauna selvatica conseguente alla presenza di neve o gelo), mentre la gravità del pericolo per la fauna selvatica è stata giustificata soltanto con un richiamo alle cause di cui all'art. 21, lettere m) e n), della legge n. 157 (terreni innevati o allagati e specchi d'acqua ghiacciati), cause, peraltro, già di per sè idonee a determinare immediatamente un divieto assoluto di esercizio della caccia, senza la necessità di ulteriori interventi amministrativi di carattere generale.

Ma anche per quanto concerne il secondo requisito richiesto dall'art. 8 della legge n. 59, non appare fondato sostenere che l'impossibilità di provvedere "altrimenti" si veniva nella specie a configurare in relazione al fatto che nella legge-quadro sulla caccia non compare una misura di divieto generale dell'attività venatoria per tutto il territorio nazionale, dal momento che il potere interdittivo delle Regioni di cui all'art. 19 della legge n. 157 del 1992 risulta limitato a "determinate specie di fauna selvatica". In realtà, il riferimento contenuto in questa norma, se corretta mente interpretato, può ricomprendere, per ciascuna Regione, tutte le specie cacciabili di cui all'art. 18 della stessa legge, mentre un divieto esteso a tutto il territorio nazionale, ove non sia la risultante di provvedimenti adottati contestualmente dalle singole Regioni, potrà, in concreto, essere adottato dallo Stato soltanto una volta accertata l'impossibilità da parte delle stesse Regioni di intervenire efficacemente con gli strumenti ordinari.

Tale accertamento, nel caso di specie, pur nell'urgenza della decisione, avrebbe dovuto comportare da parte del Ministro un'esame differenziato delle condizioni meteo- climatiche riscontrabili nelle diverse aree territoriali e - nel rispetto del principio di leale collaborazione - contatti, quanto meno informali, con le singole Regioni al fine di valutare la disponibilità delle stesse ad adottare i provvedimenti più adeguati rispetto alle varie realtà locali. Il che non è avvenuto, con conseguenze tali da incidere negativamente nell'esercizio del potere utilizzato dal Ministro e da determinare, di conseguenza, la lesione lamentata dalle Regioni ricorrenti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i ricorsi;

dichiara che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro dell'ambiente, nell'esercizio del potere di ordinanza di cui all'art. 8 della legge 3 marzo 1987, n. 59, disporre un divieto generale e temporaneo di caccia giustificato da particolari condizioni meteo-climatiche, senza aver preventiva mente accertato la non disponibilità delle Regioni ad intervenire ai sensi dell'art. 19 della legge 11 febbraio 1922, n. 157;

conseguentemente annulla l'ordinanza adottata il 5 gennaio 1993 dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'agricoltura e foreste, recante "Divieto dell'attività venatoria su tutto il territorio nazionale per un periodo di giorni otto".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/06/93.