SENTENZA N. 261
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 32, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 14 ottobre 1992 dalla Corte di Appello di Bologna - Sezione per i minorenni nei procedimenti penali a carico di Montanari Barbara e Braghieri Ivan, rispettivamente iscritte ai nn. 17 e 18 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di costituzione di Braghieri Ivan, rappresentato dai genitori esercenti la potestà nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 4 maggio 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;
uditi l'avvocato Davide Fratta per Braghieri Ivan e l'avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
l. Con due ordinanze pronunciate il 14 ottobre 1992, la Corte di appello di Bologna - Sezione per i minorenni, chiamata a decidere su appelli proposti avverso sentenze di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 32, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni), nella parte in cui prevede che il Giudice per l'udienza preliminare possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, decidendo allo stato degli atti.
Osserva il giudice a quo che la sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale implica che gli atti assumono "definitivo rilievo probatorio" non a seguito di un accordo tra le parti, ma in virtù di una delibazione del giudice che non può essere rimossa dall'imputato, il quale rimane quindi privo di ogni strumento per introdurre nuovi mezzi di prova al fine di contrastare le risultanze così "cristallizzatesi".
Nè a tal fine può soccorrere il rimedio dell'appello, in quanto, essendo la relativa decisione ugualmente adottata allo stato degli atti e poichè è comunque escluso l'esito dibattimentale nel caso di appello del solo imputato, il diritto di difesa non può ritenersi esercitato in quello che non può essere considerato "un vero e proprio giudizio di primo grado".
Tale preclusione di attività probatoria si risolve, dunque, per il giudice a quo, in una "rilevantissima compressione del diritto di difesa" che assume rilevanza decisiva nel caso del perdono giudiziale, giacchè questo "presuppone il positivo accertamento del reato e della sua riconducibilità alla condotta dolosa o colposa dell'imputato".
2. Nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile od infondata. La questione sarebbe inammissibile, secondo l'Avvocatura, per difetto di rilevanza, in quanto la disposizione impugnata "è norma che attiene ai poteri decisori del giudice di primo grado e che il giudice di appello non deve applicare". Nel merito la questione sarebbe infondata in quanto, come questa Corte ha avuto modo di affermare (sent.n. 64 del 1991 e ord. n. 300 del 1991), l'udienza preliminare non è fase di "accertamento della verità materiale" e spetta al giudice individuare, anche su richiesta delle parti, eventuali temi nuovi o incompleti ai fini del controllo che il giudice deve compiere sulla domanda di giudizio avanzata dal pubblico ministero. Non vi sarebbe quindi violazione del diritto di difesa, in quanto i modi del relativo esercizio "possono essere diversamente arti colati in relazione alle speciali caratteristiche strutturali dei singoli procedimenti".
3. Con memoria del 13 febbraio 1993 si è costituita la difesa di uno degli imputati per sostenere l'incostituzionalità della norma sulla base di argomenti analoghi a quelli sviluppati dalla Corte rimettente.
Nella memoria si è altresì osservato che la disposizione denunciata vulnera anche il principio di uguaglianza, in quanto nei confronti degli imputati minorenni "sarebbe preclusa quella ampia possibilità di difesa che è invece riservata < < agli adulti>> dalla normativa del giudizio avanti al GIP e del conseguente giudizio di primo grado".
Considerato in diritto
l. Entrambe le ordinanze sollevano, con argomentazioni identiche, la medesima questione: i relativi giudizi vanno pertanto riuniti al fine di essere decisi con un'unica sentenza.
2. La Corte di appello di Bologna denuncia, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 32, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n.448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni), nella parte in cui prevede che il giudice possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale. Rileva a tal proposito il giudice a quo che la sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale si inquadra nel modello offerto dall'art. 425 del codice di procedura penale, con la conseguenza che l'appello dell'imputato è disciplinato dall'art. 428 dello stesso codice. Da ciò scaturisce che la pronuncia che il giudice adotta all'esito dell'udienza preliminare "cristallizza" il materiale probatorio raccolto, senza che all'imputato siano offerti strumenti per dedurre elementi di prova contraria a quelle risultanze. D'altra parte, anche in fase di gravame la decisione assume le caratteristiche di una pronuncia emessa allo stato degli atti, giacchè non è consentito al giudice di appello operare "un ampliamento del costituto istruttorio" sulla base del quale il giudice della udienza preliminare ha adottato la propria sentenza;
cosicchè, osserva il rimettente, essendo escluso l'epilogo dibattimentale nel caso in cui l'appello sia stato proposto dal solo imputato, questi viene privato del diritto di difesa, essendo mancato "un vero e proprio giudizio di primo grado". La compressione di tale diritto, conclude il giudice a quo, assume poi una "decisiva rilevanza" nel caso della concessione del perdono giudiziale, in quanto, a differenza di altre cause che legittimano l'adozione della sentenza di non luogo a procedere, la concessione di quel beneficio "presuppone il positivo accertamento del reato e della sua riconducibilità alla condotta dolosa o colposa dell'imputato".
3. Deve essere preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, che l'Avvocatura dello Stato solleva sul presupposto che la norma censurata atterrebbe "ai poteri decisori del giudice di primo grado e che il giudice di appello non deve applicare".
Posto, infatti, che la disposizione impugnata costituisce il necessario referente normativo che traccia i confini entro i quali il giudice dell'udienza preliminare è chiamato a pronunciare la sentenza di non luogo a procedere, e considerato che è proprio quella sentenza a formare oggetto del giudizio di impugnazione, risulta, allora, del tutto evidente, che il giudice di appello può ritenere legittima la propria investitura ai fini della celebrazione della fase di gravame soltanto attraverso la previa delibazione della legittimità della fonte normativa sulla cui base la pronuncia impugnata è stata emessa.
Nel merito, la questione è infondata.
Questa Corte, infatti, chiamata a pronunciarsi su questione analoga (v.sentenza n. 77 del 1993), ha avuto modo di affermare che, alla stregua delle previsioni dettate dall'art. 3, lettera l), della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, l'istituto della opposizione è stato delineato dal legislatore delegante quale rimedio "inteso a consentire l'accerta mento dibattimentale nelle ipotesi in cui la pronuncia del giudice della udienza preliminare contiene un enunciato in punto di responsabilità che la parte deve avere la facoltà di rimuovere per poter esercitare appieno il proprio diritto alla prova". Da ciò si è tratto il corollario "che il di ritto a proporre l'opposizione deve essere riconosciuto non solo quando la pronuncia sulla responsabilità è coessenziale alla sentenza che definisce l'udienza preliminare, come nel caso della condanna, ma anche quando la responsabilità dell'imputato è ontologicamente presupposta, come nel perdono giudiziale, ovvero, infine, è logicamente postulata, come nella ipotesi di sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità a norma dell'art. 98 del codice penale". Tali rilievi hanno dunque comportato la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 32, terzo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, come sostituito dall'art. 46 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, nella parte in cui non prevede la possibilità di proporre opposizione avverso le sentenze di non luogo a procedere con le quali è stata comunque presupposta la responsabilità dell'imputato, restando così assorbita nella statuizione della Corte proprio l'ipotesi della concessione del perdono giudiziale che forma oggetto della specifica questione sollevata dal giudice a quo. Al minorenne nei confronti del quale viene pronunciata sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, è così offerta la possibilità di rimuovere, attraverso l'opposizione, la pronuncia adottata in sede di udienza preliminare e dar corso alla celebrazione del dibattimento, nel cui ambito è posto in condizione di esercitare compiutamente il proprio diritto alla prova. Resta, pertanto, integralmente soddisfatto il petitum che il rimettente mostra di perseguire, giacchè la lamentata compressione del diritto di difesa che scaturirebbe dalla assenza di "un vero e proprio giudizio di primo grado" trova, invece, immediato ristoro attraverso il rimedio della opposizione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.32, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n.448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico degli imputati minorenni), sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dalla Corte di Appello di Bologna - Sezione per i minorenni, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/05/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 01/06/93.