Sentenza n. 214 del 1993

CONSULTA ONLINE

SENTENZA N. 214

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO giudice

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 24, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 luglio 1992 dal Tribunale di Verbania nel procedimento penale a carico di Mendola Matteo, iscritta al n.680 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

Mendola Matteo, chiamato a rispondere dei reati di furto aggravato continuato, tentata rapina impropria e tentativo di furto aggravato, condannato dal Pretore di Verbania - sezione distaccata di Arona - interponeva appello avverso la sentenza di primo grado. La Corte d'appello di Torino, rilevata con riguardo all'accusa di tentata rapina l'incompetenza per materia del primo giudice, annullava la sentenza e ordinava la trasmissione degli atti al tribunale di Verbania, competente per materia.

Quest'ultimo, con l'ordinanza in epigrafe, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 24, primo comma, codice di procedura penale, per violazione degli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione.

Ad avviso del giudice remittente, dovendosi interpretare la locuzione <giudice competente> come equivalente a giudice del dibattimento competente, si arriverebbe, in base al principio di non regredibilità del processo alla fase delle indagini preliminari (perpetuatio judicii), alla privazione di una intera fase processuale, quella prevista e disciplinata dagli articoli 416 e ss. codice di procedura penale. Una fase capace di portare alla definizione del processo senza passare attraverso il dibattimento sia con una sentenza di non luogo a procedere, per tutte le ipotesi previste dall'articolo 425 codice di procedura penale, sia con una sentenza conclusiva del giudizio abbreviato ovvero applicativa della pena su richiesta dell'imputato.

Tale omissione si risolverebbe nella violazione del principio di precostituzione del giudice naturale (art. 25 della Costituzione), in considerazione delle possibilità di eludere una specifica fase del processo penale solo per effetto di un errore procedurale (incompetenza per materia).

Essa verrebbe inoltre a violare i principi dettati negli articoli 3 e 24 della Costituzione e, cioé, quello della parità di trattamento dei cittadini innanzi alla legge e quello riguardante l'inviolabilità del diritto di difesa.

Sarebbe comunque possibile salvaguardare il principio della perpetuatio judicii e armonizzarlo con i rilevati principi costituzionali, considerando il decreto di citazione a giudizio emesso dal pubblico ministero presso la Pretura come motore dell'impulso a procedere per il giudice delle indagini preliminari. Quest'ultimo, pertanto, potrebbe fissare l'udienza preliminare sulla base del decreto di citazione emesso dal pubblico ministero presso la Pretura.

Considerato in diritto

l. Viene all'esame della Corte, in riferimento agli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 24, primo comma, codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il giudice di appello, quando pronuncia sentenza di annullamento per incompetenza per materia, ordini la restituzione degli atti al giudice (del dibattimento) di primo grado competente.

2. Il remittente prospetta la possibilità di eliminare l'affermato contrasto con i parametri costituzionali invocati attraverso una operazione interpretativa, per vero macchinosa, che porti a considerare il decreto di citazione a giudizio, emesso dal pubblico ministero presso la Pretura, come capace di stimolare un organo giudiziario apparentemente non destinatario dell'atto, il giudice delle indagini preliminari, che dovrebbe sulla base del decreto del pubblico ministero fissare l'udienza preliminare.

Tale possibilità interpretativa non convince. L'emissione del decreto di citazione a giudizio, determina la devoluzione al pretore, quale giudice del dibattimento, di un ben determinato thema decidendum, e non si vede come potrebbe fungere da impulso verso un organo giudiziario da esso distinto, e funzionalmente separato.

3. Esclusa tale via interpretativa, la questione deve ritenersi fondata.

Questa Corte, con la recente sentenza n. 76 del 1993, ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, codice di procedura penale nella parte in cui dispone che il giudice del dibattimento ordini la trasmissione degli atti al giudice competente, anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo, quando dichiari con sentenza la propria incompetenza per materia.

Anche l'art. 24, codice di procedura penale, dettato in materia di appello, e regolante l'annullamento della sentenza di primo grado a seguito di errore sulla competenza per materia, implica un identico iter processuale imperniato sull'ordine di trasmissione degli atti direttamente al giudice competente.

Per queste norme valgono le argomentazioni a base della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art.23, primo comma, codice di procedura penale, esposte nella già citata sentenza n. 76 del 1993. Tale meccanismo risulta in particolare lesivo del diritto di difesa, perchè a fronte di un'accusa modificata preclude all'imputato <la possibilità di richiedere rispetto ad essa l'instaurazione di un rito che comporta benefici (soprattutto in termini sanzionatori) qual è il giudizio abbreviato. Un rito, che, certo, l'imputato non aveva ritenuto di attivare o che gli era stato impedito di ottenere dal mancato consenso del pubblico ministero ovvero dal rigetto del giudice per le indagini preliminari, ma ciò sulla base di un errore attribuibile al pubblico ministero>.

L'art. 24, primo comma, codice di procedura penale va dunque dichiarato, al pari dell'art. 23, primo comma, dello stesso codice, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede, che, a seguito dell'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza per materia, gli atti siano trasmessi al giudice ritenuto competente, anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, primo comma, codice di procedura penale nella parte in cui dispone che, a seguito dell'annullamento della sentenza di primo grado per incompetenza per materia, gli atti siano trasmessi al giudice ritenuto competente, anzichè al pubblico ministero presso quest'ultimo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 05/05/93.