Sentenza n. 185 del 1993

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SENTENZA N. 185

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 della legge 19 novembre 1968, n.1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) e 4 , ultimo comma, lett. b), della legge 28 gennaio 1977, n.10 (Norme per la edificabilità dei suoli), promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1992 dalla corte d'appello di Firenze nel procedimento civile vertente tra Bianca Salani Mungai ed il comune di Viareggio, iscritta al n. 564 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Bianca Salani Mungai e del comune di Viareggio nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

uditi gli avvocati Carla Guidi e Giuseppe Morbidelli per Bianca Salani Mungai, Renzo Vecoli per il comune di Viareggio e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. La corte d'appello di Firenze, con ordinanza 28 febbraio 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del disposto dell'art.2 della l. 19 novembre 1968, n. 1187 e dell'art. 4, ultimo comma, lett. b) della l. 28 gennaio 1977, n. 10. La prima di tali norme stabilisce che le indicazioni del piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora, entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale, non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati e l'efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione.

L'art. 4, ultimo comma, lett. b), della l.28 gennaio 1977, n. 10, dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 1979 (salva l'applicazione dell'art. 4 della l. 1° giugno 1971, n. 291), nei comuni sprovvisti degli strumenti urbanistici generali e, in mancanza di norme generali e fino all'entrata in vigore di queste, nell'ambito dei centri abitati sono consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico.

Nell'ordinanza di rimessione la corte d'appello di Firenze ha esposto che il giudizio a quo aveva per oggetto un'azione di risarcimento danni pro mossa dalla proprietaria di un'area sita in Viareggio, vincolata dal piano regolatore ad attrezzature comunali, che il comune, dopo la decadenza del vincolo, aveva omesso di espropriare o di destinare ad un nuovo uso urbanistico mediante apposita variante.

Il tribunale, adito quale giudice di primo grado, aveva rigettato la domanda, affermando che l'inerzia del comune non può costituire il fondamento di pretese risarcitorie, "potendo il privato reagire, unicamente promuovendo gli interventi sostitutivi della regione oppure agendo in via giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio rifiuto".

L'attrice aveva proposto appello, insistendo nella domanda e sostenendo che, trascorso il termine previsto dalla legge in relazione all'imposizione del vincolo d'inedificabilità, in mancanza dell'espropriazione del bene aveva diritto al risarcimento del danno, senza dovere prima ricorrere all'impugnazione del silenzio rifiuto ed alla declaratoria, da parte del giudice amministrativo, dell'illegittimità del comportamento della pubblica amministrazione.

Il comune di Viareggio, costituitosi, aveva dedotto che il terreno, dopo la decadenza del vincolo, era edificabile nei limiti previsti dall'art. 4 della legge n. 10 del 1977 e che l'approvazione di nuovi strumenti urbanistici non costituisce atto dovuto, ma esercizio di un potere discrezionale, rispetto al quale sussistono solo interessi legittimi.

Il giudice a quo osserva nell'ordinanza di rimessione che, mentre l'efficacia dei vincoli e degli strumenti urbanistici è stabilita per legge, nessuna norma prevede termini perentori al protrarsi dell'inerzia del comune nel sostituire con nuovi strumenti urbanistici quelli decaduti. Ne deriverebbe che l'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n.10, non fissando alcun termine perentorio - dopo la scadenza del vincolo di inedificabilità - per l'adozione della necessaria variante, consente all'ente locale di mantenere, a tempo indeterminato, situazioni di inedificabilità assoluta, con conseguenze patrimoniali pregiudizievoli per il proprietario a causa del protrarsi indeterminato dell'inerzia senza che sia previsto alcun indennizzo.

Secondo il giudice a quo, la tutela del proprietario attraverso la formazione del silenzio rifiuto, l'impugnazione dinanzi al giudice amministrativo e l'eventuale giudizio di ottemperanza, non sarebbe idonea a soddisfare il suo interesse, risolvendosi in una astratta affermazione dell'obbligo del comune di provvedere alla disciplina urbanistica della zona. Conseguentemente, il combinato disposto degli artt. 2 della legge n.1187 del 1968 e 4 della legge n. 10 del 1977 - nella parte in cui non prevedono che il protrarsi dell'inerzia della p.a. dopo la scadenza del vincolo ed oltre un certo lasso di tempo sia di per sè sufficiente a determinare il diritto del proprietario all'indennizzo - contrasterebbe: a) con gli artt. 3 e 42 della Costituzione, consentendo il permanere di situazioni d'inedificabilità assoluta a tempo indeterminato, con disparità di trattamento tra situazioni di proprietà sostanzialmente identiche; b) con l'art. 24 della Costituzione, in quanto non consentono una tutela efficace del diritto di proprietà.

2. Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, la dedotta violazione dell'art. 24 della Costituzione non sussiste, poichè l'attività amministrativa di sostituzione della prescrizione vincolistica decaduta, con altra prescrizione urbanistica regolatrice della destinazione dell'area, si presenta con i caratteri della obbligatorietà, essendo l'ente comunque tenuto a provvedere (salva, ovviamente, la discrezionalità sul quomodo) nel termine che può essere stabilito dal giudice mediante il procedimento del silenzio rifiuto: ciò per effetto dell'obbligo legale del comune di dotarsi dello strumento urbanistico generale e dell'obbligo di pianificare, con detto strumento, tutto il territorio comunale (art. 7, primo comma, della legge urbanistica).

Tale forma di tutela sarebbe adeguata "alla condizione giuridica sostanziale che, nella situazione considerata, il proprietario dell'area può vantare secondo un dettato normativo non confliggente con gli artt.42 e 3 della Costituzione".

Nell'atto d'intervento si osserva in proposito che l'art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977 non prevede una "misura di salvaguardia", ma attiene allo statuto legale della proprietà immobiliare, disponendo che, oltre i limiti fissati dallo stesso art. 4 o dalle leggi regionali cui è fatto rinvio, non esiste una garanzia incondizionata dello ius aedificandi, "in quanto ogni diversa o maggiore utilizzazione delle aree resta affidata all'effetto conformativo della proprietà da parte della pianificazione urbanistica, dove si realizza la subordinazione dell'interesse proprietario ad un regolato uso del territorio conforme all'interesse generale della collettività".

In questo contesto, la condizione giuridica in cui viene a trovarsi il proprietario di un'area liberata da un vincolo venuto a scadenza, determina una situazione generale che caratterizza la proprietà immobiliare in carenza di pianificazione urbanistica, con la conseguente mancanza di ogni contrasto tra la normativa impugnata e gli artt. 3 e 42 della Costituzione.

3. Dinanzi a questa Corte si è costituita anche la proprietaria dell'area, chiedendo che le norme impugnate siano dichiarate costituzionalmente illegittime, ovvero che la questione sollevata sia dichiarata infondata previa affermazione che "in base al diritto positivo la fattispecie è già coperta dalla garanzia dell'indennizzo".

Nell'atto di costituzione, a sostegno delle proprie conclusioni, ha dedotto quanto segue.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 55 del 1968, ebbe a ritenere incostituzionali gli artt. 7, nn. 2, 3, 4 e 40 della legge urbanistica, nella parte in cui non prevedevano un indennizzo per l'imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali, quando le limitazioni stesse determinino l'assoluta inedificabilità, e abbiano perciò natura espropriativa. Per porre un rimedio alle conseguenze della dichiarazione di incostituzionalità, la l. 19 novembre 1968, n.1187 introdusse un limite di durata dei vincoli di non edificabilità, i quali perdono efficacia qualora entro 5 anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. Tale limite di efficacia è tuttora vigente (sentenze n. 5 del 1980 e n. 92 del 1982).

Secondo il Consiglio di Stato, per effetto della decadenza dei vincoli le aree interessate vengono assoggettate ai limiti di edificabilità generali posti per le aree sprovviste di strumenti urbanistici dall'art.4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, con la conseguenza che nell'ambito dei centri abitati definiti ai sensi dell'art.17 della l. 6 agosto 1967, n. 765, le aree sono inedificabili, essendo consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria e straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico.

In relazione a tale situazione lo stesso Consiglio di Stato riconosce ai proprietari delle aree un interesse legittimo a che il comune adotti una nuova disciplina urbanistica dell'area in oggetto, tutelabile attraverso il meccanismo della messa in mora per la formazione del silenzio rifiuto.

Tale rimedio, peraltro, è di dubbia efficacia, e comunque si prolunga nel tempo, sì da superare ogni ragionevole tollerabilità, tanto più che la giurisprudenza, tenendo conto delle obiettive difficoltà materiali delle amministrazioni di dare destinazione edificabile ad aree già destinate a servizi pubblici, in un sistema organico di scelte pianificatorie, tende a ritenere che l'obbligo de quo viene ottemperato già con la delibera d'incarico ai tecnici di redigere il nuovo strumento urbanistico e quindi a partire dall'an della nuova pianificazione.

Rimedio idoneo sarebbe, viceversa, l'esperimento di un'azione di risarcimento dei danni dinanzi al giudice ordinario, a tutela del diritto di proprietà leso dalla pubblica amministrazione con la sostanziale imposizione di un vincolo a tempo indeterminato senza indennizzo.

In favore di tale indennizzabilità, nell'atto di costituzione si cita la giurisprudenza della Corte di cassazione fondata sui principi affermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 6 del 1966 e n.55 del 1968, con le quali è stata ritenuta legittima, in via alternativa, o la temporaneità o la indennizzabilità dei vincoli d'inedificabilità assoluta su beni individuati.

Da qui la richiesta della deducente, o di affermare l'esperibilità, ex artt. 42 della Costituzione e 2043 cod. civ., di un'azione di risarcimento dei danni conseguente all'imposizione, in mancanza di strumenti urbanistici, di un vincolo sulle aree esistenti nei centri abitati, di assoluta inedificabilità a tempo indeterminato; oppure di dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, in quanto consentono l'imposizione nei centri abitati di vincoli d'inedificazione a tempo indeterminato.

4. Dinanzi a questa Corte si è costituito an che il comune di Viareggio, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata e illustrando tale richiesta con una successiva memoria, nella quale ha sostenuto che, nel caso di specie, non si verte in una situazione di assoluta inedificabilità dell'area, che darebbe luogo ad una espropriazione "sostanziale" senza indennizzo. Tratterebbesi, invece, di una situazione temporanea di parziale edificabilità (nei limiti, cioé, indicati dall'art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977), la quale va rimossa dall'Amministrazione comunale - che può essere a ciò sollecitata anche dal privato (impugnando il silenzio-rifiuto del comune in relazione ad apposita diffida) - attraverso la adozione di una disciplina urbanistica di variante. L'esistenza per il proprietario del suddetto rimedio, escluderebbe la violazione dell'art. 24 della Costituzione, mentre la violazione dell'art. 42 della Costituzione sarebbe a sua volta esclusa, mancando uno svuotamento definitivo del diritto di proprietà.

5. La proprietaria dell'area ha depositato memoria, insistendo diffusamente nelle proprie richieste ed argomentazioni.

In particolare, si è soffermata sulla giurisprudenza costituzionale in tema di espropriazione non traslativa, sostenendo che, in base ad essa, le imposizioni di inedificabilità poste attraverso gli strumenti urbanistici non attengono al regime di appartenenza o ai modi di godimento dei beni, in quanto le scelte urbanistiche dipendono da valutazioni discrezionali, le quali non incidono in modo omogeneo su un'intera categoria di beni.

Nella memoria si sottolinea che, in base alla giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, la natura edificatoria di un suolo, come qualità rilevante ai fini della determinazione della misura dell'indennizzo, non deriva dalle previsioni dei piani urbanistici, ma inerisce in modo obbiettivo alla situazione di fatto del bene (ubicazione, sviluppo edilizio della zona, esistenza d'impianti e servizi pubblici, prossimità con le vie di comunicazione). Si sottolinea ancora che la sentenza n. 5 del 1980 della Corte costituzionale ha ribadito la inerenza della ius aedificandi al diritto di proprietà dei suoli.

In relazione a tali affermazioni, si ritorna diffusamente sulla tesi (già sviluppata nell'atto di costituzione) della inidoneità della procedura dell'impugnazione del silenzio-rifiuto dell'amministrazione a provvedere in ordine alla programmazione urbanistica, quale rimedio per il privato di fronte al vincolo d'inedificabilità conseguente - in mancanza degli strumenti urbanistici - al disposto dell'art. 4, lett. b) della legge n. 10 del 1977. Si sostiene, al riguardo, che la tutela manca di ogni "effettività" ed è solo apparente, risolvendosi in un'inconcludente esperimento di un rimedio defatigante e privo di risultati pratici. In proposito si deducono, fra l'altro: a) la lunghezza del ricorso al tribunale amministrativo regionale; b) quella del processo di appello; c) la necessità di un'azione per l'esecuzione del giudicato; e) la intrinseca difficoltà in cui si troverà il commissario "ad acta", eventualmente nominato, nel surrogarsi al consiglio comunale nella operazione di ponderazione degli interessi di carattere politico, sociale ed economico, sottesa alla formazione di un atto di pianificazione urbanistica; f) la possibilità che non intervenga l'approvazione regionale del piano, con la necessità di ricorrere nuovamente alla impugnazione del silenzio- rifiuto, relativamente alla mancata approvazione regionale.

La difesa della parte privata sottolinea al riguardo di avere, comunque, iniziato la procedura dell'impugnazione del silenzio- rifiuto, senza alcun risultato.

Considerato in diritto

l. Questa Corte è chiamata a decidere se il disposto degli artt. 2 della l. 19 novembre 1968, n. 1187 e 4, ultimo comma, lett. b) della l. 28 gennaio 1977, n. 10 - i quali, rispettivamente, fissano: a) la durata massima dei vincoli connessi al piano regolatore preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità dei suoli: b) l'inedificabilità dei suoli nei centri abitati, in mancanza di strumenti urbanistici - contrasti con gli artt. 3 e 42 della Costituzione. Si determinerebbe, infatti, il permanere di situazioni d'inedificabilità assoluta a tempo indeterminato, con disparità di trattamento tra posizioni identiche.

Si violerebbe inoltre l'art. 24 della Costituzione, in quanto l'anzidetta normativa non consentirebbe una tutela efficace del diritto di proprietà.

Il giudice a quo osserva in proposito che l'art. 2 della l. 19 novembre 1968, n. 1187 dispone che le indicazioni del piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati assoggettandoli a vincoli preordinati all'espropriazione, o che comportino l'inedificabilità, perdono efficacia qualora, entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale, non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati e, comunque, con la scadenza del termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione.

La tutela, così apprestata al diritto di proprietà, sarebbe resa vana per i suoli situati nei centri abitati: l'art. 4, ultimo comma, lett.b) della l. 28 gennaio 1977, n. 10 prescrive, infatti, che, in mancanza degli strumenti urbanistici generali "nell'ambito dei centri abitati definiti ai sensi dell'art. 17 della l. 6 agosto 1967, n. 765, sono consentite soltanto opere di restauro e di risanamento conservativo, di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento statico e di risanamento igienico". I suoli compresi nei predetti centri abitati sarebbero, quindi, assoggettati ad un vincolo d'inedificabilità a tempo indeterminato, non essendo stabiliti termini perentori in relazione al protrarsi dell'inerzia del comune nel sostituire con nuovi strumenti urbanistici quelli decaduti.

A tale indeterminatezza dei vincoli non corrisponderebbe, poi, la previsione di un indennizzo, alla stregua della giurisprudenza costituzionale (cfr. sent. n. 55 del 1968).

Secondo il giudice a quo, il diritto di proprietà non sarebbe adeguatamente garantito e tutelato attraverso il rimedio della diffida al comune a provvedere alla programmazione urbanistica: l'impugnazione dinanzi al giudice amministrativo dell'eventuale silenzio-rifiuto e del successivo giudizio di ottemperanza, concretano rimedi defaticanti e di scarsa efficacia, idonei solo a provocare un'astratta affermazione dell'obbligo del comune a provvedere alla strutturazione urbanistica della zona. Ne deriverebbe l'illegittimità costituzionale degli artt. 2 della legge n.1187 del 1968 e 4 della legge n. 10 del 1977, nella parte in cui non prevedono "che il protrarsi dell'inerzia della p.a. dopo la scadenza del vincolo, ed oltre un certo lasso di tempo, sia di per sè sufficiente a determinare il diritto del proprietario all'indennizzo" ed "una tutela tempestiva ed efficace, dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, del diritto sacrificato".

2. La questione è inammissibile, essendo irrilevante in relazione all'oggetto del giudizio a quo e risolvendosi nella richiesta di una sentenza additiva, implicante scelte discrezionali che non spettano a questa Corte.

Il giudizio a quo ha per oggetto il riconoscimento all'appellante della pretesa di ottenere dal comune il risarcimento dei danni per il protrarsi dell'inedificabilità di un'area, sita nel centro urbano, in conseguenza della mancata adozione dello strumento urbanistico dopo la decadenza di quello già in vigore. Pertanto, una pronuncia che, come richiede il giudice remittente, dichiari costituzionalmente illegittime le norme impugnate, in quanto non prevedono "un indennizzo" - in relazione al carattere sostanzialmente espropriativo del protrarsi dei vincoli d'inedificabilità, per i suoli situati nei centri abitati - non avrebbe alcuna influenza sul giudizio a quo, dato che esso verte sulla risarcibilità conseguente all'apposizione di limiti a carattere espropriativo, che, com'è noto, non sono riconducibili, nella loro configurazione tipica, ad attività illecita della p.a.. Sì che il rimedio risarcitorio domandato non concorda nè col titolo nè con l'oggetto della pretesa, così come fatta valere.

Una pronuncia d'illegittimità costituzionale, nei termini in cui la richiede il giudice remittente, non potrebbe, quindi, spiegare alcuna influenza sul giudizio a quo, cosicchè la questione è priva del carattere di pregiudizialità richiesto dall'art. 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87.

3. Il giudice remittente, inoltre, chiede come risultato del giudizio di questa Corte una previsione normativa diretta a stabilire che, ove l'inedificabilità dei suoli nei centri abitati si protragga - per la decadenza degli strumenti urbanistici vigenti e la mancata adozione dei nuovi - "oltre un certo lasso di tempo", il proprietario abbia diritto ad un indennizzo. Siffatto giudizio e il suo risultato implicano, innanzitutto, scelte discrezionali in ordine alla determinazione del termine, decorso il quale si dovrebbe riconoscere titolo all'indennizzo; inoltre lo scrutinio dei diversi rimedi possibili, con riguardo al protrarsi e alle modalità dell'inadempimento amministrativo, richiede valutazioni di esclusiva competenza del legislatore.

Della discrezionalità di esse appare ben consapevole l'ordinanza che con riferimento al quantum dell'indennizzo, richiama il criterio del mancato godimento del bene, "non vertendosi in ipotesi ablativa". Anche questo (od altro eventuale modo di determinazione) appartiene alle scelte del legislatore, il quale, di fronte alla gravità di una situazione come quella che ha dato luogo all'attuale vicenda, è tenuto ad intervenire in modo tempestivo ed adeguato, per superare l'ingiustizia del regime dei terreni situati nei centri abitati sprovvisti di strumenti urbanistici.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) e 4, ultimo comma, lett. b), della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione dalla corte d'appello di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/04/93.