Sentenza n. 184 del 1993

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SENTENZA N. 184

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera b), del decreto- legge 25 novembre 1989, n. 382 (Disposizioni urgenti sulla partecipazione alla spesa sanitaria e sul ripiano dei disavanzi delle unità sanitarie locali), convertito, con modificazioni, nella legge 25 gennaio 1990, n.8, promosso con ordinanza emessa il 2 maggio 1992 dal Pretore di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Baioni Romano e il Ministero della sanità ed altri, iscritta al n. 733 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti l'atto di costituzione di Baioni Romano nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

 

uditi l'avv. Giovanni Angelozzi per Baioni Romano e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con ordinanza emessa il 2 maggio 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 novembre 1992) il Pretore di Ravenna ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, n. 1, lettera b), del decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito nella legge 25 gennaio 1990, n. 8, "nella parte in cui non comprende fra i beneficiari dell'esenzione dal pagamento delle quote di partecipazione alla spesa sanitaria i titolari di pensione di invalidità erogata dall'I.N.P.S. ai sensi dell'art. 24, legge 3 giugno 1975, n.160, come sostituito dall'art. 1 legge 12 giugno 1984, n. 222, i quali, pur rientrando nei limiti di reddito di cui alla medesima lettera, non abbiano raggiunto l'età pensionabile prevista dall'A.G.O. per i lavoratori dipendenti", assumendone il contrasto con l'art. 3 della Costituzione. La stessa questione era già stata sollevata dal medesimo Pretore con ordinanza del 22 giugno 1990 (r.o. n. 655 del 1990) e decisa con la sentenza n. 177 del 1991, che ha ordinato la restituzione degli atti allo stesso Pretore di Ravenna per un nuovo esame della questione medesima, alla luce dello jus superveniens costituito dal decreto del Ministro della sanità in data 1° febbraio 1991, che all'art.6, ha modificato il regime delle esenzioni per varie categorie di invalidi: e ciò, in ragione della possibile incidenza di tale disposizione sulla posizione della parte privata, Baioni Romano, titolare di pensione di invalidità, ma non avente ancora l'età prevista per la pensione di vecchiaia, che, secondo la norma denunciata, costituisce il presupposto per l'esenzione dal pagamento dei tickets.

 

Dopo la riassunzione del giudizio, il Pretore, aderendo all'eccezione della parte privata, ripropone la questione, ritenendo che il citato decreto del Ministro della sanità - al quale la legge ha demandato di rideterminare le forme morbose che danno diritto all'esenzione dalla spesa sanitaria - non ha sostanzialmente modificato la disciplina applicabile alla fattispecie in esame e non ha, quindi, eliminato la già lamentata disparità di trattamento. Il ricorrente, infatti, fruendo di pensione di invalidità riconosciuta, con decorrenza febbraio 1972, ai sensi dell'art. 24 della legge 3 giugno 1975, n. 160, non sarebbe compreso fra i pensionati ammessi all'esenzione, totale o parziale, dal pagamento delle quote di partecipazione alla spesa sanitaria che, invece, è garantita agli invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore a due terzi (art. 6, primo comma, lettera d)), cioé con la stessa riduzione in base alla quale è stata riconosciuta al ricorrente la pensione di invalidità a carico dell'I.N.P.S..

 

Ad avviso del giudice a quo rimane pertanto invariato il problema dell'irrazionale disparità di trattamento che la norma impugnata determinerebbe tra i titolari di pensione di vecchiaia che non superino un certo reddito e i titolari di pensione di invalidità, egualmente al disotto del medesimo reddito, in quanto entrambi, a prescindere dall'età, sono nella condizione di ricorrere a frequenti prestazioni sanitarie, inabili ad un proficuo lavoro e quindi non in grado di integrare le proprie modeste entrate.

 

Cosicchè, in presenza di situazioni so stanzialmente uguali, il cardine del differente trattamento sarebbe costituito dal raggiungimento o meno dell'età pensionabile, di per sè non sufficiente a giustificare la scelta operata dal legislatore.

 

2.- Si è costituita, a mezzo dell'avv. G. Angelozzi, la parte privata Baioni Romano, attore nel giudizio a quo, che aderisce alle argomentazioni dell'ordinanza.

 

3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile per irrilevanza, sostenendo che alla parte privata, fruente di una pensione d'invalidità riconosciuta ai sensi dell'art. 24 della legge 3 giugno 1975, n. 160, sarebbe riconosciuta l'esenzione dal ticket prevista dall'art. 6, lettera d), del decreto ministeriale 1° febbraio 1991, ove sono contemplati gli invalidi civili con una riduzione della capacità lavorativa superiore ai due terzi.

 

Nel merito l'Avvocatura rileva che, anche a voler sostenere la denunciata disparità di trattamento, essa non deriverebbe dalla legge n. 8 del 1990, ma dai decreti ministeriali 24 maggio 1989 e 1° febbraio 1990, che per la loro natura di atti non aventi valore formale di legge non possono essere sottoposti al vaglio di costituzionalità.

 

L'Avvocatura richiama infine quanto già sostenuto in occasione dei due giudizi che hanno dato luogo alla sentenza n. 177 del 1991 ed all'ordinanza n. 402 del 1992.

 

Considerato in diritto

 

1.- Il decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, nella legge 25 gennaio 1990, n. 8, nel riformare la disciplina delle quote di partecipazione a carico degli assisti- ti per le spese di assistenza sanitaria, stabilisce, all'art. 3, che sono esentate dal pagamento di tali quote alcune categorie di cittadini, tra i quali figurano, oltre agli indigenti (ma questa previsione è stata successivamente abrogata) e ai titolari di pensione sociale, anche i titolari di pensione di vecchiaia con reddito imponibile lordo non superiore ad un determinato ammontare (pari a lire 16 milioni, aumentato di 6 milioni per il coniuge a carico e di 1 milione per ciascun figlio a carico). Agli effetti di quest'ultima esenzione, per titolari di pensione di vecchiaia si intendono tutti coloro che, a prescindere dall'ordinamento pensionistico di appartenenza, abbiano raggiunto l'età per il collocamento a riposo prevista dall'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti;

 

rientrano tra i beneficiari anche i titolari di pensione di invalidità, di anzianità e di reversibilità, purchè abbiano raggiunto l'età anzidetta e rientrino nei limiti di reddito sopra indicati.

 

Il Pretore di Ravenna ritiene che l'esclusione dall'esenzione dei titolari di pensione di invalidità di età inferiore a quella prevista per il collocamento a riposo, pur se rientranti nei limiti di reddito previsti dalla norma, determini una ingiustificata disparità di trattamento a loro danno, in quanto gli stessi versano in una situazione sostanzialmente analoga a quella dei titolari di pensione di vecchiaia, essendo per definizione inabili ad un proficuo lavoro ed essendo per essi ugualmente presumibile la necessità di un frequente ricorso a prestazioni sanitarie, in ragione delle loro menomate condizioni fisiche.

 

2.- Secondo l'Avvocatura, la questione sarebbe irrilevante, in quanto il ricorrente nel giudizio a quo, titolare di una pensione di invalidità riconosciuta ai sensi dell'art.24 della legge 3 giugno 1975, n. 160, è da considerare esente in virtù dell'art. 6 del decreto ministeriale 1° febbraio 1991, secondo cui sono esentati dalla partecipazione alla spesa per la generalità delle prestazioni sanitarie i cittadini appartenenti a talune categorie di invalidi, tra le quali la lettera d) del medesimo art.6 comprende gli "invalidi civili con riduzione del- la capacità lavorativa superiore a due terzi".

 

Comunque, aggiunge l'Avvocatura, la denunziata disparità di trattamento non deriverebbe dalla disposizione legislativa impugnata, ma dai decreti ministeriali 24 maggio 1989 e 1° febbraio 1991, i quali, per la loro natura di atti non aventi valore formale di legge, non possono essere sottoposti al vaglio di costituzionalità. Nel merito, l'Avvocatura sostiene che le situazioni poste a confronto sono diverse, perchè, mentre i titolari di pensione di vecchiaia sono per definizione permanentemente inabili a proficuo lavoro, per i titolari di pensione di invalidità che non abbiano raggiunto l'età pensionabile può residuare una sia pur ridotta capacità lavorativa che consente di integrare il reddito.

 

3.- Nell'ultimo quindicennio la disciplina legislativa della partecipazione degli assistiti alla spesa sanitaria e delle relative esenzioni ha subìto frequentissime modificazioni.

 

L'art. 2 della legge 5 agosto 1978, n. 484 previde che tutti coloro che avevano diritto all'assistenza farmaceutica in virtù di assicurazione obbligatoria fossero tenuti a corrispondere una quota - variabile da lire 200 a lire 600 - del prezzo di vendita al pubblico dei medicinali non compresi nell'elenco dei medicinali esenti. La legge non contemplava esenzioni soggettive, ma, per i titolari di pensione sociale, era prevista, dall'art. 3, un'erogazione annua di lire 10.000, a titolo di rimborso forfettario degli oneri introdotti dalla nuova legge.

 

Il ticket così introdotto era concepito più in funzione di dissuasione dal consumo eccessivo di medicinali che in funzione di finanziamento della spesa sanitaria, tant'è vero che esso non figurava fra le entrate del Fondo sanitario nazionale disciplinate dall'art. 69 della legge di riforma sanitaria.

 

La successiva evoluzione legislativa ha invece attribuito al ticket una sempre maggiore valenza di strumento per la riduzione della spesa pubblica in materia sanitaria ed ha correlativamente disposto un'articolata disciplina delle esenzioni. In particolare, l'art. 12 della legge 26 aprile 1982, n. 181, esentò dalle quote di partecipazione alla spesa per prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio sia i cittadini con reddito inferiore a determinati livelli, sia i grandi invalidi di guerra, di servizio e del lavoro nonchè gli invalidi civili di cui all'art. 12 della legge n. 118 del 1971 (titolari della pensione di inabilità prevista per i mutilati e gli invalidi colpiti da inabilità lavorativa totale ed in possesso di de- terminati requisiti reddituali).

 

Il decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, ampliò notevolmente le categorie di invalidi per le quali era stabilita l'esenzione, comprendendovi gli invalidi civili e del lavoro con riduzione della capacità lavorativa in misura superiore a due terzi; gli invalidi di guerra o per servizio appartenenti alle categorie dalla 1a alla 5a della tabella A allegata alla legge n. 313 del 1968; i privi della vista e i sordomuti di cui agli artt. 6 e 7 della legge n. 482 del 1968; gli invalidi civili minori degli anni 18 e titolari dell'assegno di accompagnamento di cui all'art. 17 della legge n. 118 del 1971.

 

Tra i successivi interventi legislativi, va ricordato l'art. 28 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, che, nel rideterminare i livelli di reddito previsti per l'esenzione, abrogò ogni altra esenzione riferita a livelli di reddito, facendo salve, peraltro, quelle previste dai precedenti decreti ministeriali in relazione a specifiche patologie, quelle indicate nei protocolli per la tutela della maternità di cui al decreto del Ministero della sanità 14 aprile 1984, nonchè quelle previste per invalidi e assimilati dall'art. 11 del decreto-legge n. 463 del 1983.

 

Dopo altri interventi legislativi, la materia delle esenzioni venne nuovamente affrontata dall'art. 3 della legge 1° febbraio 1989, n.37, che esonerò dal pagamento delle quote di partecipazione alla spesa per prestazioni farmaceutiche le seguenti categorie: i cittadini di cui sia riconosciuto lo stato di povertà; i titolari di pensione sociale; i disoccupati iscritti nelle liste di collocamento. Il comma 2 del medesimo articolo abrogava ogni altra esenzione, con esclusione di quelle riferite a forme morbose determinate, ai protocolli per la tutela della maternità e "alle categorie di invalidi e assimilati di cui alla normativa vigente".

 

Infine intervenne il decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, nella legge 25 gennaio 1990, n. 8, del cui art.3, comma 1, la Corte è chiamata a valutare la legittimità costituzionale. L'art. 1 del medesimo decreto prevedeva la partecipazione degli assistiti alla spesa per prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio (partecipazione che era stata soppressa con il decreto-legge n. 443 del 1987, convertito, con modificazioni, nella legge n. 531 del 1987) nonchè per le visite e le prestazioni specialistiche, e rideterminava le quote di partecipazione relative alle prestazioni farmaceutiche. L'art. 3, comma 1, disciplinava le esenzioni nel modo di cui già si è fatto cenno all'inizio, mentre il comma 3 abrogava ogni altra esenzione dal pagamento delle quote di partecipazione alla spesa sanitaria, con esclusione delle esenzioni riferite a forme morbose determinate, ai protocolli per la tutela della maternità, alle categorie di invalidi ed assimilati di cui alla normativa vigente, ai donatori di organi e di sangue in connessione con gli atti di donazione nonchè delle esenzioni relative all'accertamento dell'idoneità allo svolgimento di determinate attività sportive.

 

L'art. 1, comma 2, della legge di conversione dispose che restassero salvi gli atti e i provvedimenti adottati in base a taluni decreti- legge non convertiti, tra i quali il decreto- legge 27 aprile 1989, n. 152, il cui art. 2, comma 2, aveva demandato ad un decreto del Ministro della sanità la individuazione delle forme morbose che davano titolo all'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, determinando l'ambito di applicazione di ogni singola esenzione. In attuazione di tale norma era stato emanato il decreto ministeriale 24 maggio 1989 che elencava varie forme morbose che davano luogo ad esenzione dalla partecipazione alla spesa per la generalità delle prestazioni sanitarie ad esse correlate ovvero per la generalità delle prestazioni sanitarie.

 

Il decreto prevedeva anche, peraltro, l'esenzione generale per talune categorie di cittadini, tra le quali era compresa quella degli invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore ai due terzi.

 

La materia della partecipazione degli assistiti alla spesa sanitaria e delle relative esenzioni è stata successivamente oggetto di altri interventi legislativi. In particolare, l'art. 5, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 ha abrogato l'esenzione prevista per i cittadini in condizione di indigenza e ha demandato al Ministro della sanità di determinare con decreto "le forme morbose in riferimento alle patologie croniche ed acute, che incidono gravemente sull'autosufficienza e la qualità della vita e le modalità per il riconoscimento, che danno diritto alla esenzione dal pagamento delle quote di partecipazione alla spesa sanitaria".

 

In attuazione di quanto disposto dal richiamato comma 3, è stato emanato il decreto ministeriale 1° febbraio 1991 che elenca le forme morbose che danno luogo ad esenzione dal ticket per i farmaci ad esse correlati e per le correlate prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e prestazioni specialistiche. Anche tale decreto comprende, all'art. 6, un elenco di categorie di cittadini esentati dalla partecipazione alla spesa per la generalità delle prestazioni sanitarie e menziona a tal fine, tra gli altri, gli invalidi civili con una riduzione della capacità lavorativa superiore a due terzi.

 

L'art. 4, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 ha nuovamente modificato le quote di partecipazione alla spesa per farmaci, specificando che tali quote sono dovute da tutti i cittadini "esclusi i pensionati esenti dalla partecipazione alla spesa sanitaria per motivi di reddito e gli invalidi di guerra titolari di pensione diretta vitalizia, nonchè, ai sensi dell'articolo 5 della legge 3 aprile 1958, n. 474, i grandi invalidi per servizio".

 

La materia della partecipazione alla spesa sanitaria è stata quindi radicalmente riformata con il decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438. L'art.6, comma 4, ultima parte, demanda ad un decreto ministeriale di stabilire, tra l'altro, "un tetto massimo di spesa per la fruizione dell'assistenza farmaceutica in regime di esenzione dalla quota di partecipazione alla spesa sanitaria per i soggetti esenti ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, e successive modificazioni".

 

Dopo l'emanazione di tale decreto, ma prima della sua conversione in legge, è stata promulgata la legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale. La delega riguardava anche, in particolare, il riordino della disciplina dei tickets (art. 1, comma 1, lettera a)).

 

Il decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n.502, attuativo di tale delega, non contiene peraltro disposizioni rilevanti ai fini della questione qui in esame.

 

4.- La sequenza di interventi legislativi sopra accennata - oltre a confermare la vigenza attuale della norma impugnata - consente anche di rilevare che l'esenzione prevista per gli invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore a due terzi non deriva dai decreti ministeriali del 24 maggio 1989 e del 1° febbraio 1991, bensì da norme legislative (così come è per tutte le esenzioni riferite a determinate categorie di cittadini), e che tale previsione non è estensibile in via interpretativa ai titolari di pensione di invalidità.

 

L'esenzione venne infatti stabilita dall'art.11 del decreto-legge n. 463 del 1983 ed espressamente fatta salva dalle leggi successive, quanto meno fino al 1990 (art. 28 legge n. 41 del 1986, art. 3 legge n. 37 del 1989, art. 3 decreto-legge n. 382 del 1989). La delega alla decretazione ministeriale contenuta negli artt. 2, comma 2, del decreto-legge n.152 del 1989 e 5, comma 3, della legge n. 407 del 1990 riguardava, del resto, solo le esenzioni riferite a particolari forme morbose e a prestazioni sanitarie ad esse correlate e non comprendeva anche la individuazione di esenzioni generali per determinate categorie di cittadini, sicchè deve ritenersi che quanto i decreti sopra menzionati contengono al riguardo abbia solamente un valore meramente ricognitivo ed esplicativo.

 

La rassegna delle norme che si sono succedute in materia evidenzia compiutamente che gli invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore a due terzi, ai quali si riferisce l'esenzione in esame, sono quelli di cui alla legge n. 118 del 1971 (art. 13) e le categorie ad essi assimilati dalla legge, mentre nessuna assimilazione è possibile per i titolari delle pensioni di invalidità erogate dall'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti e dalle forme di previdenza sostitutive del regime generale, non essendovi alcuna norma che stabilisca tale assimilazione ed essendo diversi i criteri, i modi e gli effetti dell'accertamento dell'invalidità. É del resto decisivo il rilievo che nella norma impugnata i titolari di pensione di invalidità sono espressamente contemplati come tali nel comma 1, sicchè è da escludere che l'interprete possa riferire anche ad essi la formula "invalidi e assimilati di cui alla normativa vigente" contenuta nel comma 2.

 

Il giudice a quo ha quindi esattamente individuato la disposizione legislativa alla quale doveva essere rivolta la denunzia e l'interpretazione che egli ne ha presupposto non appare contestabile.

 

5.- Nel merito la questione è fondata.

 

L'esenzione generale dalla partecipazione alla spesa sanitaria, disposta dall'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 382 del 1989 in favore dei pensionati di vecchiaia che abbiano redditi inferiori a determinati livelli, corrisponde alla corretta individuazione, da parte del legislatore, di una categoria di cittadini non abbienti, che si trovano presuntivamente nell'impossibilità, a causa delle loro condizioni fisiche e per ragioni di ordine sociale, di trovare fonti di reddito ulteriore, e che, a causa del deperimento fisico che generalmente si accompagna all'età avanzata, hanno presumibilmente un bisogno maggiore e più frequente di far ricorso a prestazioni di cura, di prevenzione e di riabilitazione.

 

Tali essendo le ragioni che giustificano l'esenzione generale in oggetto, appare chiaro che essa rappresenta attuazione del contenuto minimo essenziale del diritto alla tutela della salute, garantito dall'art. 32 della Costituzione: il quale, considerato anche in correlazione con il principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, secondo comma), impone che la salute abbia una protezione piena, esaustiva ed effettiva (sentenza n.992 del 1988).

 

Orbene, la condizione dei pensionati di invalidità infrasessantacinquenni che abbiano redditi inferiori ai livelli previsti per i pensionati di vecchiaia presenta tutti gli elementi ai quali si ricollegano le ragioni dell'esenzione in esame. Anche in questo caso, infatti, si tratta di cittadini parimenti non abbienti, che si trovano - per definizione legislativa e per specifico accertamento amministrativo o giudiziale - nell'impossibilità, a causa delle loro menomate condizioni fisiche e per collegate ragioni di ordine sociale, di trovare fonti di guadagno ulteriore, e che a causa dell'infermità o del complesso di infermità di cui sono portatori, hanno presumibilmente un bisogno maggiore e più frequente di far ricorso a prestazioni di cura, di prevenzione e di riabilitazione.

 

Appare quindi del tutto ingiustificata ed irrazionale (e tanto più grave in quanto incide sull'effettiva garanzia di un diritto fondamentale della persona) l'esclusione di questa seconda categoria di cittadini dall'esenzione doverosamente prevista per la prima. E l'irrazionalità di tale disparità di trattamento appare ancor più evidente inserendo nel quadro della comparazione anche l'esenzione prevista per gli invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa superiore a due terzi (e cioé di misura pari alla riduzione della capacità di guadagno o della capacità lavorativa prevista per il diritto alla pensione di invalidità). Questa Corte, del resto, ha già ritenuto che "l'inabilità connessa all'età avanzata sia praticamente indistinguibile da quella derivante ai parzialmente inabili da pregresse condizioni di salute ... sì che entrambe diano titolo, nelle medesime condizioni di bisogno, ad un'identica prestazione assistenziale". In presenza di tale sostanziale equivalenza tra le condizioni invalidanti - ha aggiunto la Corte - "non hanno ragion d'essere differenziazioni nell'individuazione delle condizioni di bisogno che danno titolo al sostegno solidaristico della collettività".

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera b), del decreto- legge 25 novembre 1989, n. 382 (Disposizioni urgenti sulla partecipazione alla spesa sanitaria e sul ripiano dei disavanzi delle unità sanitarie locali), convertito, con modificazioni, nella legge 25 gennaio 1990, n.8, nella parte in cui esclude dal diritto all'esenzione dal pagamento di tutte le quote di partecipazione alla spesa sanitaria, fino al raggiungimento dell'età per il collocamento a riposo prevista dall'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti, i titolari di pensione di invalidità con reddito inferiore ai livelli ivi determinati.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 23/04/93.