Sentenza n. 181 del 1993

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SENTENZA N. 181

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.4 della legge 29 dicembre 1987,n. 547 (recte n. 546) (Indennità di maternità per le lavoratrici autonome), promosso con ordinanza emessa il 27 luglio 1992 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Poli Franca e l'I.N.P.S., iscritta al n. 709 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

 

uditi l'avv. Vito Lipari perl'INPS e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel corso di un giudizio promosso da Poli Franca nei confronti dell'INPS per ottenere il pagamento dell'indennità di maternità a decorrere dall'ottava settimana di gravidanza, prestazione questa non prevista per le lavoratrici autonome, il Pretore di Bologna, con ordinanza del 31 luglio 1992, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 18 novembre 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale -in relazione agli articoli 3, 32 e 37 della Costituzione- dell'art. 4 della legge 29 dicembre 1987, n. 546, nella parte in cui riconosce alle lavoratrici autonome, artigiane ed esercenti attività commerciali un'indennità giornaliera pari all'80% del salario minimo giornaliero, limitatamente al periodo compreso tra due mesi antecedenti la data presunta del parto e tre mesi successivi alla data effettiva del parto, ma non anche a periodi diversi di astensione obbligatoria disposta dall'Ispettorato del lavoro, come per le lavoratrici subordinate.

 

É vero -osserva il Pretore- che il lavoro autonomo non può essere pienamente equiparato a quello subordinato per quanto riguarda il trattamento previdenziale, ma l'omogeneità delle situazioni va valutata alla luce dell'evento protetto dalla normativa previdenziale, costituito appunto dalla maternità, da considerarsi preminente rispetto alle condizioni economiche e sociali delle singole categorie di lavoratrici.

 

La speciale e adeguata protezione prescritta dalla norma costituzionale in favore della madre e del bambino dev'essere parimenti garantita alle lavoratrici autonome ed a quelle subordinate.

 

2.- Si è costituito nel presente giudizio l'INPS, che ha invocato il rigetto della questione per infondatezza. Analoga declaratoria ha chiesto il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenendo con la difesa dell'Avvocatura generale dello Stato.

 

Tali conclusioni sono state sviluppate nella discussione orale dell'udienza pubblica.

 

Considerato in diritto

 

l.- Il Pretore di Bologna dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 29 dicembre 1987, n. 546 (Indennità di maternità per le lavoratrici autonome), nella parte in cui non prevede a favore delle lavoratrici autonome in stato di gravidanza il diritto all'indennità per astensione anticipata dal lavoro, quando quest'ultima sia stata disposta dall'Ispettorato del lavoro, ai sensi dell'art. 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), a causa della gravosità o pericolosità dell'attività lavorativa.

 

Le norme costituzionali con le quali vi sarebbe contrasto sono indicate dal giudice rimettente nell'articolo 3 della Costituzione (per la disparità di trattamento rispetto a quello riservato dalla legge alle lavoratrici subordinate in stato di gravidanza), dell'art. 32 (in quanto la minore tutela delle gestanti lavoratrici autonome potrebbe compromettere la salute della madre e del bambino) e dell'art. 37, primo comma, perchè la mancanza di una adeguata indennità a queste lavoratrici gestanti realizzerebbe in via di fatto una discriminazione rispetto sia ai lavoratori sia alle altre lavoratrici.

 

2.- La questione non è ammissibile.

 

É il caso di sgombrare subito il campo dal denunziato profilo di contrasto della norma relativa alle lavoratrici autonome con le disposizioni contenute nell'art. 37 della Costituzione, dal momento che queste riguardano soltanto il lavoro subordinato.

 

Ed invero le quattro disposizioni ivi contenute, -attinenti alla stessa retribuzione della donna a parità di prestazione del lavoratore, alle "condizioni di lavoro" per assicurare l'adempimento delle funzioni familiari e specialmente di madre, al limite minimo di età "per il lavoro salariato" ed ai diritti dei minori che lavorano- riguardano evidentemente la tutela dei dipendenti nei confronti del datore di lavoro, e non anche del modo come i lavoratori autonomi autogestiscono lo svolgimento della loro libera attività.

 

3.- Non si può tuttavia sottacere lo spirito che anima dette disposizioni e che è di grande momento per i parziali riflessi che esse hanno su qualsiasi attività lavorativa. Di particolare spicco si rivela la sensibilità che il Costituente ha mostrato di avere per l'adempimento da parte della donna della sua "essenziale funzione familiare" e per la "speciale adeguata protezione" che deve essere assicurata alla madre ed al bambino.

 

Il che costituisce un'applicazione nel campo del lavoro della più generale volontà della Carta fondamentale di far carico alla Repubblica di tutelare e agevolare "la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose", di proteggere "la maternità, l'infanzia e la gioventù" (art. 31).

 

Questi rilievi sono pertinenti a quanto più avanti si dirà in ordine ai compiti del legislatore sulla questione che forma oggetto di esame. Va però subito rilevato che il nostro Paese si trova in questa materia già ad un livello di legislazione avanzata rispetto alla normativa comunitaria che si limita a prevedere -per quanto riguarda le lavoratrici subordinate- un congedo di maternità di almeno quattordici settimane (art. 8 Direttiva CEE del Consiglio 19 ottobre 1992 n. 85) e -per le lavoratrici autonome- l'impegno degli Stati "ad esaminare se e a quali condizioni le lavoratrici che svolgono un'attività autonoma e le mogli di lavoratori che svolgono un'attività autonoma, possano, nel corso di interruzioni di attività per gravidanza o per maternità: - avere accesso a servizi di sostituzione o a servizi sociali esistenti nel loro territorio, o - ricevere prestazioni in denaro nell'ambito di un regime di previdenza sociale oppure di ogni altro sistema di tutela sociale pubblica (art. 8 Direttiva CEE del Consiglio 11 dicembre 1986, n.86).

 

4.- Nel denunziare il contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione, il giudice rimettente osserva che, di fronte all'evento omogeneo della maternità, ed in presenza della comune finalità sociale di supplire al mancato reddito durante il periodo di gravidanza cui tende l'indennità in questione, la legge riserva alle lavoratrici autonome un trattamento (prima degli ultimi due mesi di gravidanza) deteriore rispetto a quello riconosciuto dalla legge n. 1204 del 1971 alle lavoratrici subordinate, alle quali può essere attribuita quell'indennità per tutto il periodo di gravidanza, ove ricorrano le condizioni previste dall'art. 5.

 

La riassunta deduzione non può essere condivisa. Va, in proposito, premesso che questa Corte, con sentenza n. 31 del 1986, ha ribadito il principio che "le prestazioni previdenziali adeguate alle esigenze dei lavoratori ben possono essere differenziate tra le diverse categorie dei medesimi", per cui il legislatore può "discrezionalmente valutare differentemente le esigenze di vita da tutelare, tenendo eventualmente anche conto della maggiore massa contributiva riflettente la maggiore massa retributiva".

 

Tale differenziazione può giustificarsi anche nel trattamento normativo ed economico delle lavoratrici subordinate e di quelle autonome, ancorchè in relazione al medesimo evento della gravidanza, se si considerano le diversità relative alle due situazioni.

 

Ed invero, solo per le lavoratrici subordinate gestanti la legge ha potuto prevedere, oltre alcuni effetti economici, anzitutto il < < divieto di adibirle al lavoro>> (art. 4 legge n.1204 del 1971) e < < l'interdizione dal lavoro>> per ordine dell'Ispettorato (art. 5); ciò che evidentemente non poteva disporsi per le lavoratrici autonome, alle quali pur viene corrisposta (art. 4 legge n. 546 del 1987) una indennità per un eguale periodo (due mesi antecedenti alla data presunta del parto e tre mesi successivi al parto) in una misura sostanzialmente di pari entità.

 

Inoltre, l'astensione obbligatoria dal lavoro solo per le subordinate è prescritta dall'art. 5 della legge 1204 del 1971 anche per uno o più periodi anteriori agli ultimi due mesi di gravidanza, ma in concorrenza di tre elementi accertati dall'Ispettorato del lavoro: a) gravi complicanze della gestazione o forme morbose che possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; b) le condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino; c) che la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni.

 

Anche questi accertamenti, e soprattutto il terzo, non possono essere compiuti nei riguardi delle lavoratrici autonome, nonostante un (teoricamente ipotizzabile) intervento anomalo dell'Ispettorato.

 

Sussistono, quindi, ragionevoli margini per una certa differenziazione del trattamento a motivo delle diverse situazioni in cui si trovano ad operare le lavoratrici autonome e subordinate, nonchè per i differenti rispettivi sistemi contributivi.

 

Del resto, intervenendo più recentemente (legge 11 dicembre 1990, n. 379, Indennità di maternità per le libere professioniste), il legislatore mentre ha esteso a questa categoria di lavoratrici autonome sia l'indennità per i due mesi prima del parto ed i tre mesi successivi, sia quelle per i casi di adozione, di affidamento e di aborto, non ha esteso il trattamento previsto dal citato art. 5 per le lavoratrici subordinate.

 

5.- Senonchè, la prospettiva che le lavoratrici autonome, per la mancanza di un'astensione obbligatoria dal lavoro e per fronteggiare il bisogno di continue esigenze economiche, si inducano a proseguire l'impegno lavorativo anche nel periodo anteriore agli ultimi due mesi di gravidanza, pur in presenza di complicanze ed altre forme morbose, deve far riflettere seriamente circa il terzo profilo della denunziata illegittimità costituzionale, quello del contrasto della norma con l'art.32 della Costituzione.

 

In effetti le forme previdenziali previste dalle leggi n.1204 del 1971 e n. 546 del 1987 sono dirette, non a fornire solo un aiuto economico alle gestanti, ma essenzialmente a dare una efficace tutela a quel valore -la maternità- che, come si è sopra accennato, è molto considerato dalla Carta fondamentale della Repubblica, con il conseguente dovere del legislatore di apprestare norme e risorse necessarie ad evitare tutto ciò che possa compromettere la salute della gestante e lo sviluppo della vita del bambino.

 

Pure sotto questa terza prospettiva non mancano certo delle differenze tra le lavoratrici subordinate e quelle autonome, non trovandosi queste ultime sotto la pressione (con effetti anche psicologici) di direttive, di programmi, di orari, di attività obbligatorie e fisse, ma potendo distribuire più elasticamente tempo e modalità di lavoro, e sopperendo così in qualche misura alle difficoltà derivanti dalla temporanea incapacità fisica a prestare la normale attività lavorativa.

 

Ma l'esigenza primaria di tutelare il valore della vita nascente dovrebbe indurre quanto meno a disincentivare, anche mediante provvidenze economiche, l'interesse della lavoratrice autonoma a tenere lo stesso ritmo di lavoro in presenza di complicanze o altre forme morbose nel periodo di gravidanza.

 

Questa migliore disciplina non può, tuttavia, essere data da questa Corte costituzionale, mediante una estensione in via additiva di norme previste per ipotesi diverse, dovendosi invece necessariamente modulare le normative alla differente situazione delle lavoratrici autonome rispetto a quelle dipendenti. Il tipo di tutela adeguato alle caratteristiche del diverso lavoro, le condizioni cui subordinare la tutela stessa, le modalità di controllo, le conseguenze economiche, la gradualità del processo di parificazione delle forme di tutela ed altri aspetti esigono un intervento articolato che, per sua natura, impegna la discrezionalità del legislatore, con l'eventuale coinvolgimento degli organismi previdenziali e sindacali.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di costituzionalità dell'art. 4 della legge 29 dicembre 1987, n. 546 (Indennità di maternità per le lavoratrici autonome), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 32 e 37 della Costituzione, dal Pretore di Bologna, con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 16/04/93.