SENTENZA N. 88
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 28 marzo 1968, n. 406 (Norme per la concessione di una indennità di accompagnamento ai ciechi assoluti assistiti dall'Opera nazionale ciechi civili), in riferimento all'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all'Opera nazionale per i ciechi ci vili) ed all'art. 14 septies della legge 29 febbraio 1980, n. 33 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 dicembre 1979, n.663, concernente provvedimenti per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, per la previdenza, per il contenimento del costo del lavoro e per la proroga dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni in base alla legge 1° giugno 1977, n. 285, sull'occupazione giovanile), promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1992 dalla Corte di cassazione sui ricorsi proposti dal Ministero dell'Interno contro Buffa Giuseppe ed altra e da Buffa Giuseppe ed altra contro il Ministero dell'Interno, iscritta al n. 384 del registro ordinanze 1992.
Visto l'atto di costituzione di Buffa Giuseppe ed altra nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri;
uditi l'avv. Luciano Ventura per Buffa Giuseppe ed altra e l'avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
l. La Corte di cassazione solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 28 marzo 1968, n. 406, "in riferimento all'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 ed all'art. 14 septies della legge 29 febbraio 1980, n. 33, nella parte in cui la suddetta norma non ha attribuito l'indennità di accompagnamento ai ciechi assoluti minori degli anni diciotto".
2. In particolare la Corte, premesso che la corretta interpretazione delle norme sopra indicate esclude che l'indennità di accompagnamento possa essere attribuita ai ciechi assoluti anche prima del compimento del 18° anno di età, e che la questione è circoscritta al periodo di tempo anteriore all'applicabilità della non retroattiva legge 21 novembre 1988 n. 508 (la quale ha poi attribuito una indennità di accompagnamento, di nuovo genere, anche ai minori ciechi assoluti), ritiene che l'esclusione di un tale diritto nei riguardi degli infradiciottenni evidenzi profili d'illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3, 31 e 38, primo e terzo comma, della Costituzione.
3. Rileva il giudice remittente che l'indennità di accompagnamento introdotta a far data dal 1° gennaio 1968 a favore delle persone affette da cecità assoluta dall'art. 1 della legge 28 marzo 1968 n. 406 rispondeva - nell'ambito di fondamentali precetti della Costituzione e, in particolare, di quelli di cui agli artt. 3 e 38 - all'esigenza di sopperire a bisogni primari di soggetti colpiti dalla totale privazione della vista e, perciò, in condizioni di gravissima menomazione nello svolgimento della vita quotidiana e dei rapporti sociali. Istituto giuridico avente quindi funzione e caratteri peculiari, attinenti ad un aspetto non tanto immediatamente economico ma piuttosto di natura tipicamente "sociale". Ma, mentre per far fronte alle necessità di natura strettamente economica, di sostentamento, sussisteva la pensione non reversibile già istituita dalla legge 10 febbraio 1962 n. 66, alle necessità definibili come "sociali" era indi rizzata l'indennità di accompagnamento.
Orbene, tra tali necessità "sociali", prosegue la Corte remittente, debbono includersi tutte quel le attinenti alla vita di relazione, che presuppongono primariamente la possibilità, per il soggetto, di effettuare gli opportuni spostamenti nell'ambito della propria dimora nonchè - e soprattutto - al di fuori di essa, con tutte le relative esplicazioni afferenti alla vita interpersonale ed agli aspetti della cultura, del lavoro e della formazione professionale, dell'uso del tempo libero e così via, vale a dire di tutto ciò che - richiamando il precetto dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione - consente un più completo sviluppo della personalità. E tutto questo, per il soggetto colpito da una menomazione così grave come la cecità, non è ovviamente possibile allo stesso modo delle altre persone, il che evidenzia per il soggetto stesso una limitazione della libertà e delle condizioni di eguaglianza rispetto agli altri consociati, limitazione che, in base alla suddetta norma costituzionale, è invece dovere della Repubblica rimuovere, così com'è suo dovere rimuoverla in relazione alle esigenze dell'educazione e dell'avviamento professionale dell'inabile in generale, e ciò anche alla luce dell'art. 38, primo e terzo comma, della Costituzione.
Proprio in relazione a tale profilo, nei con fronti del minore degli anni diciotto (il quale peraltro soggiace all'obbligo scolastico e acquista la capacità giuridica lavorativa già al compimento del quindicesimo anno di età e al quattordicesimo per i lavori nell'agricoltura e nei servizi familiari: ex art. 3 della legge 17 ottobre 1967 n. 977) la particolare forma di aiuto e di tutela cui è preordinata l'indennità di accompagnamento rivestirebbe - pur nei limiti della sua misura economica - una specifica valenza anche superiore che nei confronti del maggiorenne talchè può ritenersi privo di giustificazione il diverso trattamento.
Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della norma sarebbe ravvisabile in riferimento all'art. 31 della Costituzione che fa obbligo alla Repubblica di agevolare con misure economiche ed altre provvidenze l'adempimento dei compiti fa miliari e protegge l'infanzia e la gioventù favorendone gli istituti necessari a tale scopo. Orbene, far gravare completamente sui componenti della famiglia i compiti relativi alle particolari esigenze del minore affetto da cecità significherebbe, ad avviso della Corte di cassazione, negare alla famiglia stessa quell'aiuto necessario anche per realizzare i fini che i menzionati artt. 3, secondo comma, e 38, primo e terzo comma, della Costituzione perseguono.
Inoltre, rileva il remittente, è un dato rientrante nella comune esperienza che il minore affetto da cecità ha bisogno di una forma di assistenza continuativa e diversa alla quale i genitori sovente non possono essere in grado di provvedere, ove si consideri che la situazione economica delle famiglie e l'evoluzione sociale e civile rendono sempre più diffuso lo svolgimento di lavoro esterno da parte di entrambi i genitori.
Viene infine posto in evidenza come, integrando la cecità assoluta una menomazione di massima gravità che di per sè limita il pieno sviluppo della personalità, non appaia giustificata la negazione ai minori degli anni diciotto dell'indennità di accompagnamento che invece, sul piano generale, la legge 11 febbraio 1980 n. 18 (art. 1, secondo comma) già garantiva agli altri invalidi benchè minorenni.
4. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità, o comunque per l'infondatezza, della sollevata questione.
Sostiene la difesa del Governo che la disciplina previgente - della cui legittimità costituzionale la Corte di cassazione dubita - aveva dato luogo ad un sistema certo perfettibile ma non in contrasto con le norme costituzionali invocate, le cui esigenze fondamentali già salvaguardava ove si consideri il trattamento complessivo che (indipendentemente dalle categorie usate) veniva attribuito.
Su questa linea, ritiene l'Avvocatura, si sarebbe posta questa Corte con la sentenza 20 gennaio 1992 n. 3 - coeva all'ordinanza di rimessione - nella quale si conclude, pur dando atto di differenziazioni verificatesi nella purtroppo numerosa casistica, che "Nell'arco temporale considerato, tuttavia, l'affermata adeguatezza dell'indennità, nel quadro della complessiva razionalizzazione del sistema, e la dipendenza del diverso trattamento da circostanze di fatto (quali il limite di reddito per godere della pensione), escludono l'asserita violazione degli invocati parametri costituzionali".
5. Si sono costituiti in giudizio Giuseppe Buffa e Ivonne Gardini, nella qualità di legali rappresentanti della figlia minore Isabella Buffa, parte del giudizio a quo.
Dopo aver svolto considerazioni totalmente adesive a quanto rilevato dalla Corte remittente sul punto della non manifesta infondatezza della questione, la parte privata sostiene che il quadro normativo che regola la materia è comunque suscettibile di interpretazione diversa da quella fatta propria dal provvedimento di rimessione; interpretazione che, da sola, potrebbe consentire di riconoscere l'indennità di accompagnamento anche ai minori ciechi assoluti.
Considerato in diritto
l. La Corte di Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 28 marzo 1968, n. 406, in riferimento all'art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 ed all'art. 14 septies della legge 25 febbraio 1980, n. 33, nella parte in cui la norma suddetta non ha attribuito l'indennità di accompagnamento ai ciechi assoluti minori degli anni diciotto.
Ad avviso della Corte remittente - premesso che la questione è circoscritta al periodo di tempo anteriore all'applicabilità della legge 21 novembre 1988, n. 508 (la quale ha poi riconosciuto l'indennità di accompagnamento anche ai minori ciechi assoluti) - l'illegittimità della norma è ravvisabile, in primo luogo, nella violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il duplice profilo della ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei ciechi assoluti maggiorenni, i quali, in forza della medesima norma, percepiscono detta indennità, nonchè della violazione dell'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono il pieno sviluppo della persona umana in condizioni di eguaglianza con gli altri cittadini; ulteriori censure sono dedotte in riferimento ai principi sanciti dagli artt. 31 (agevolazioni alla famiglia e protezione dell'infanzia) e 38 (tutela degli inabili) della Costituzione.
2.l. In riferimento al primo degli indicati parametri costituzionali la questione è fondata.
Questa Corte ha già avuto occasione di esaminare più volte l'articolata elaborazione normativa nella materia del trattamento assistenziale e previdenziale delle varie categorie di inabili; in particolare, giova qui richiamare quanto stabilito dalla sent. n. 346 del 1989 la quale, riconoscendo la possibilità di cumulo delle prestazioni assistenziali connesse all'invalidità con l'indennità di accompagnamento, rilevò il carattere autonomo ed aggiuntivo di detta attribuzione, derivante da una funzione e da una natura del tutto specifiche e consistente in una particolare provvidenza in favo re di soggetti non autosufficienti, al fine di por li in grado di far fronte alle esigenze di accompagnamento e di assistenza che quella condizione necessariamente comporta, consentendo loro condizioni esistenziali compatibili con la dignità della persona umana.
Tenuti fermi detti principi, e ritenuto quale dato rientrante nella comune esperienza che il minore affetto da cecità assoluta ha necessità di una forma di assistenza continuativa alla quale i genitori sovente non possono essere in grado di provvedere, risulta del tutto evidente che, ai fini dell'attribuzione dell'indennità di accompagnamento, il compimento o meno della maggiore età non costituisce affatto un criterio razionale adeguato ma appare anzi un incongruo elemento di discrimine tra coloro che si trovano ad essere colpiti da una menomazione della massima gravità, qual è la cecità assoluta.
2.2. Proprio per il minore degli anni diciotto la particolare forma di aiuto e tutela cui è preordinata l'indennità di accompagnamento assume anzi una specifica valenza che, sotto alcuni profili, si rivela finanche maggiore che per il maggiorenne, ove si consideri - come esattamente osserva il giudice a quo - che nella prima età si svolge la fase essenziale ed irripetibile della vita ai fini della formazione della personalità umana, e che solo un adeguato inizio e sviluppo di tale fase può poi garantire al minore un appropriato inserimento nella vita sociale e nel lavoro.
Su quest'ultimo punto, inoltre, occorre considerare che sia l'obbligo scolastico, con conseguente necessità di accompagnamento, sia la capacità giuridica lavorativa, con pari esigenza, sussistono prima del compimento degli anni diciotto.
Rilievi che, del resto, lo stesso legislatore ha mostrato di condividere allorquando, con l'art.5 della legge 21 novembre 1988, n. 508, ha attribuito l'indennità di accompagnamento anche ai ciechi assoluti di età inferiore agli anni diciotto.
3. Nè, infine, possono ritenersi ostative alle conclusioni testè raggiunte alcune precedenti pronunce di questa Corte che l'intervenuta Avvocatura dello Stato richiama in contrario avviso (ord. n.280 del 1990; ord. n. 210 del 1991; sent. n. 3 del 1992).
Trattasi invero di decisioni rese su questioni che non possono ritenersi inerenti a quella in esame (in quanto venivano prospettati dubbi di legittimità costituzionale su altre norme di legge e con termini di raffronto del tutto differenti), le cui motivazioni pertanto non offrono utili elementi di giudizio oltre quelli già considerati, attesa l'enunciata specificità della questione sollevata dalla Corte di Cassazione.
Restano assorbiti i riferimenti agli artt. 31 e 38 della Costituzione, ulteriormente invocati dal remittente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 28 marzo 1968, n. 406 "Norme per la concessione di una indennità di accompagnamento ai ciechi assoluti assistiti dall'Opera nazionale ciechi civili", nella parte in cui non prevede la corresponsione dell'indennità di accompagnamento predetta, ai ciechi assoluti minori de gli anni diciotto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/03/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 15/03/93.