SENTENZA N. 79
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 36, primo comma, della legge della Regione Campania 13 dicembre 1985, n. 54 (Coltivazione di cave e torbiere), ordinanza emessa il 16 marzo 1992, dal Pretore di S. Maria Capua Vetere nel pro- cedimento penale a carico di BUONAURIO Mattia, iscritta al n. 308 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento della Regione Campania;
udito nell'udienza pubblica del 18 novembre 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi;
udito l'avv. Livio Cacciafesta per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
- Nel corso del procedimento penale a carico di Buonaurio Mattia, imputato dei reati di cui agli articoli 1-sexies della legge '8 agosto 1985 n. 431, 734 del codice penale e 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (esecuzione di attività estrattiva senza autorizzazione; alterazione di bellezze naturali e scarico in alveo fluviale senza autorizzazione), il Pretore di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Capua, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 36, primo comma, della legge regionale della Campania del 13 dicembre 1985, n. 54, in materia di coltivazione di cave e torbiere.
La norma impugnata prevede che la coltivazione delle cave in atto alla data di entrata in vigore della legge può essere proseguita purchè, entro sei mesi dalla stessa data, l'esercente presenti domanda seguendo la procedura e allegando la documentazione prevista dall'articolo 8 della stessa legge.
L'autorizzazione regionale, che consente il proseguimento dell'attività di coltivazione, deve essere negata quando l'attività estrattiva risulti in contrasto con i vincoli urbanistici, paesaggistici, idrogeologici ed archeologici, derivanti da altre leggi nazionali o regionali.
Ha sostenuto il Pretore che tale norma verrebbe a creare una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro i quali hanno intrapreso l'esercizio dell'attività estrattiva in epoca anteriore alla legge regionale n. 54 del 1985 e coloro che l'hanno intrapresa in epoca posteriore alla citata legge. Una norma siffatta costituirebbe, inoltre, un'illegittima interferenza della Regione nella potestà punitiva, riservata in via esclusiva al legislatore statale. Essa, infine, verrebbe a cagionare un irreparabile danno al valore dell'integrità ambientale.
Il remittente ha osservato che l'articolo 36, primo comma, della legge regionale della Campania, consentirebbe il conseguimento dell'autorizzazione anche a seguito di un mero silenzio (inadempimento) da parte dell'ente regione. In tal modo l'attività di coltivazione di cava verrebbe ad essere resa lecita sine die in contrasto con la normativa statale ed in particolare con l'articolo 1-sexies della legge n.431 del 1985.
Sussisterebbe, pertanto, una violazione dell'articolo 3 della Costituzione, palesandosi una disparità di trattamento ingiustificata tra i coltivatori di cava della regione Campania e quelli delle altre regioni, nonchè, nella categoria dei coltivatori di cava campani che esercitano l'attività estrattiva in zona vincolata, tra coloro che hanno iniziato la loro attività prima o dopo l'entrata in vigore della legge.
La norma violerebbe anche l'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, poichè la regione, in contrasto con la legge 431 del 1985 (articolo 1-sexies), avrebbe interferito nella materia penale.
La norma impugnata urterebbe, infine, contro l'articolo 9 della Carta, in quanto verrebbe a ledere il bene oggetto della tutela paesaggistica.
La rilevanza della questione risiederebbe nel fatto che l'imputato avrebbe presentato la domanda per la continuazione dell'attività estrattiva in una zona soggetta a vincolo paesaggistico, ai sensi dell'articolo 1, lettera c), della legge n. 431 del 1985, in una zona cioé in cui l'autorizzazione andrebbe negata, secondo la previsione della norma impugnata (terzo comma dell'art. 36 della legge regionale n.54 del 1985).
- É intervenuta la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura regionale che ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità, l'improcedibilità o, comunque, l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sottoposte all'esame della Corte.
Ha affermato l'Avvocatura regionale che è del tutto destituita di fondamento la censura di irragionevole disparità di trattamento, creata dalla norma impugnata, fra quanti avevano in atto la coltivazione di una cava al momento della sua entrata in vigore e quanti hanno invece intrapreso l'attività in un momento successivo. La Regione Campania avrebbe, infatti, sottoposto l'attività di coltivazione di cave ad una disciplina rigorosa, caratterizzata dall'approvazione del piano regionale del settore estrattivo entro due anni dall'entrata in vigore della legge, <<nel quadro delle esigenze generali di difesa dell'ambiente e di sviluppo economico regionale ed in linea con le politiche comunitarie in materia>> (art. 2). Epperò, atteso il carattere di rilevante interesse nazionale che rivestirebbe l'attività in questione, la regione non avrebbe non potuto disciplinare la fase transitoria con una specifica disposizione normativa, pena la <<completa paralisi>> del settore estrattivo. Non vi sarebbe, dunque, alcuna irragionevole disparità. E non sussisterebbe neppure la pretesa violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione in quanto la regione non avrebbe in alcun modo illegittimamente interferito nella materia penale.
L'imputato, è vero, avrebbe presentato la domanda di proseguimento dell'attività estrattiva allo scopo di ottenere il provvedimento autorizzatorio, ma il comportamento omissivo della Regione Campania non lo facultava, a termini della legge regionale in questione, a proseguire nell'attività. Ciò perchè l'autorizzazione dovrebbe essere negata, trovandosi la cava in una zona soggetta al vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 1, lettera e), della legge n. 431 del 1985 e l'inadempimento della regione non potrebbe trasformare un'attività illecita in attività lecita. Al momento dell'entrata in vigore della legge regionale n. 54 del 13 dicembre 1985, il vin colo di inedificabilità e immodificabilità delle aree fluviali era inoltre già operativo in virtù del decreto legge n. 312 del 27 giugno 1985, successivamente convertito nella legge 8 agosto 1985, n.43l.
La norma impugnata, infine, non potrebbe ledere il bene tutelato dal vincolo paesaggistico, in spregio dell'art. 9 della Costituzione, in quanto la legge espressamente prevede che l'autorizzazione sia negata <<quando l'attività estrattiva risulti in contrasto con i vincoli urbanistici, paesaggistici, idrologici ed archeologici derivanti da altre leggi nazionali o regionali>> (art. 36, terzo comma, legge regionale n.54 del 1985). Del resto, il mancato esercizio del potere-dovere di diniego dell'autorizzazione da parte dell'ente regione non farebbe sussistere una delle condizioni presupposte dal legislatore regionale per la prosecuzione dell'attività estrattiva. Tale attività, vietata dalla legge regionale, non poteva essere resa legittima dal comportamento dell'amministrazione regionale medesima.
Considerato in diritto
Il Pretore di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Capua, ha, con ordinanza del 16 marzo 1992 (registro ordinanze n. 308 del 1992), sollevato, in relazione agli artt. 3, 25, secondo comma, e 9 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale, dell'art. 36, primo comma, della legge della Regione Campania del 13 dicembre 1985, n. 54, in quanto la norma:
- a) determinerebbe una disparità ingiustificata di trattamento tra i coltivatori di cava della regione Campania e quelli di altre regioni, nonché tra i coltivatori di cava della stessa regione Campania che esercitano attività estrattiva in zona vincolata, a seconda della data di inizio dell'attività estrattiva;
- b) interferirebbe illegittimamente nella materia penale;
- c) consentirebbe la grave lesione del bene soggetto alla tutela del vincolo paesaggistico, anche in assenza dell'esercizio del potere-dovere di diniego dell'autorizzazione da parte dell'ente regione.
- - La questione non è fondata.
Anche la legge regionale della Campania, contrariamente alla vecchia legge mineraria (Regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443) e in conformità ad altre leggi regionali di settore, ha introdotto il regime autorizzatorio per le cave, così assoggettando a controlli amministrativi l'utilizzazione del territorio a fini estrattivi. Questa Corte ha già dissipato i dubbi di legittimità costituzionale circa il regime autorizzatorio delle attività estrattive (sent. nn. 201 del 1985 e 7 del 1982 e ordinanza n. 469 del 1987) ed ha, nel contempo, affermato la piena legittimità di una disciplina autorizzatoria per la prosecuzione della coltivazione delle cave già in atto (sent. n. 7 del 1982).
La legge della Regione Campania del 13 dicembre 1985, n. 54, ha stabilito una disciplina transitoria per le cave già in essere (articolo 36), prevedendo per il suo coltivatore la necessità di dotarsi dell'autorizzazione regionale. La disposizione, però, ha chiaramente stabilito il diniego dell'autorizzazione "quando l'attività estrattiva risulti in contrasto con i vincoli urbanistici, paesaggistici, idrogeologici ed archeologici derivanti da altre leggi nazionali o regionali" (art. 36, terzo comma, legge della Regione Campania n. 54 del 1985).
Orbene, poiché l'art. 7 della stessa legge regionale ha previsto il diniego dell'autorizzazione per l'apertura di nuove cave ove si sia in presenza di divieti, stabiliti da leggi regionali e nazionali o dagli strumenti urbanistici comunali, e di vincoli, stabiliti ai sensi delle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1989, n. 1497, 8 agosto 1985, n. 431, non è dato vedere quale diverso e deteriore trattamento subirebbero i coltivatori di cava che operino o intendano operare in zone vincolate della Regione Campania in relazione alla data di inizio dell'attività estrattiva intrapresa o da intraprendere. Alla luce delle cennate disposizioni della legge regionale della Campania, l'attività di coltivazione delle cave in zona sottoposta a vincolo urbanistico, paesaggistico, idrogeologico e archeologico, è infatti rigorosamente vietata e mai potrebbe formare oggetto di autorizzazione.
- - Né può dirsi che la legge impugnata viene ad interferire nella materia penale riservata al legislatore statale, poiché il divieto dell'autorizzazione alla coltivazione di cava, anche con riferimento alle attività già in atto alla data di entrata in vigore della legge, non consente al cavatore di guadagnare alcuna minina immunità o beneficio di altra sorta. Né l'inadempimento della regione (che nel caso di specie, richiesta dell'autorizzazione alla coltivazione di cava in zona vincolata, non avrebbe adottato il provvedimento negativo) è idoneo a trasformare un'attività illecita (perché lesiva del divieto stabilito da una legge dello Stato) in un'attività lecita. Del resto, al momento dell'entrata in vigore della legge regionale della Campania, il vincolo di inedificabilità e immodificabilità delle aree fluviali era già in vigore in virtù del decreto-legge n. 312 del 27 giugno 1985, successivamente convertito nella legge 8 agosto 1985 n. 431.
- - A maggior ragione va disatteso pure l'ultimo dei profili indicati nell'ordinanza di rimessione, quello della lesione del bene paesaggio tutelato dall'art. 9 della Carta costituzionale, in quanto la norma impugnata, attraverso le disposizioni che impongono il diniego dell'autorizzazione per l'attività cavatoria quando si sia in presenza di un vincolo paesaggistico, è pienamente coerente con il valore costituzionale invocato.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, in relazione agli artt. 3, 25, secondo comma, e 9 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 36, primo comma, della legge della Regione Campania del 13 dicembre 1985, n. 54, sollevata dal Pretore di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Capua, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: GUIZZI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria l'11 marzo 1993.