SENTENZA N. 468
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
- Prof. Giuseppe BORZELLINO
- Dott. Francesco GRECO
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1991 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Vivian Nadia, Pessarello Luigina ed altri, iscritta al n.300 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.32, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 1992 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Padova, con ordinanza emessa il 18 dicembre 1991 e depositata il 27 gennaio 1992, ha sollevato d'ufficio, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono, ove emerga che il convenuto non costituito in giudizio versa in condizioni di abituale infermità di mente che lo rende incapace di provvedere alla cura dei propri interessi, la interruzione del processo e la segnalazione del caso, ad opera del giudice, al pubblico ministero perchè promuova la procedura di interdizione e la nomina di un tutore provvisorio, nei cui confronti l'attore debba riassumere il giudizio.
2. - La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un procedimento di divisione ereditaria promosso da Vivian Nadia, nel quale un convenuto contumace, Vivian Lorenzo, in base alla certificazione prodotta in giudizio dai coeredi Pessarello Luigina e Vivian Silvano, risultava affetto da sindrome di Down, con grave insufficienza mentale.
Il Tribunale di Padova ritiene che il codice di rito non tuteli, secondo un modello di "processo giusto", l'incapace naturale convenuto in giudizio.
Difatti la disciplina della capacità di stare in giudizio non prende in considerazione l'incapacità naturale, ma solo quella legalmente accertata (art. 75 del codice di procedura civile); la nomina all'incapace di un curatore speciale è prevista solo se manca la persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza (art. 78 del codice di procedura civile) e quindi presupporrebbe sempre la incapacità legale. Anche l'art.182 del codice di procedura civile consente di rilevare il difetto di rappresentanza o di assistenza solamente nel caso di incapacità legale, senza attribuire al giudice istruttore il potere di invitare l'attore a promuovere l'azione di interdizione nei confronti del convenuto che si trovi in stato di abituale infermità di mente e di totale incapacità di provvedere ai propri interessi, ai fini della nomina di un tutore nei confronti del quale debba essere rinnovata la citazione.
Il Tribunale di Padova rileva inoltre che l'abituale infermità di mente, quando non sia iniziato un procedimento di interdizione, non è prevista tra le cause di interruzione del processo (artt. 299 e 300 del codice di procedura civile). Ne risulterebbe una menomazione della difesa dell'incapace, che non sia in grado, per la sua infermità, di difendersi in modo adeguato e di rendersi anzitutto conto che nei suoi confronti è stato instaurato un processo.
Il Tribunale ritiene che la situazione sia analoga ad altra già esaminata dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, la interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perchè promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti l'attore debba riassumere il giudizio (sentenza n. 220 del 1986).
3. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
L'Avvocatura ha richiamato le decisioni, con le quali la Corte costituzionale ha disatteso questioni analoghe (ordinanze n. 41, 604 e 605 del 1988), ed ha osservato che la scelta legislativa di considerare la persona pienamente capace nel processo sino a che non sia stata pronunciata nei suoi confronti sentenza di interdizione o non le sia stato nominato un tutore provvisorio (ai sensi dell'art. 419 del codice civile) deriva dai principi di affidamento nelle relazioni giuridiche e di pubblicità, ad evitare che prima di compiere un atto processuale i terzi debbano svolgere indagini o chiedere accertamenti giudiziali sulle condizioni fisico-psichiche della controparte.
Ad avviso dell'Avvocatura non vi è contrasto con l'art. 24 della Costituzione. L'ordinamento consente non solo di prevenire, mediante l'iniziativa delle persone legittimate a promuovere i giudizi di interdizione o di inabilitazione ed a sollecitare gli opportuni provvedimenti provvisori (artt. 417 e 419 del codice civile), i pericoli dipendenti da iniziative processuali altrui a carico di chi sia di fatto incapace di intendere o di volere, ma anche di superare le preclusioni maturate attraverso il processo a carico dell'incapace naturale, nei limiti in cui le sentenze siano l'effetto del dolo di una delle parti (art. 395, numero 1, del codice di procedura civile).
La notizia, acquisita nel corso del processo, dello stato di dedotta (e giudizialmente da verificare) incapacità naturale, tale da giustificare una pronuncia di interdizione della parte convenuta contumace, potrebbe essere segnalata dal giudice al pubblico ministero (in base agli artt. 70, ultimo comma, e 71, ultimo comma, del codice di procedura civile) per le iniziative di competenza, fermo il principio che l'interruzione del processo può essere determinata solo da una situazione di incapacità legale.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Padova dubita della legittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono, quando il convenuto non costituito in giudizio versi in condizioni di abituale infermità di mente, la interruzione del processo e la segnalazione da parte del giudice al pubblico ministero, perchè promuova la interdizione e la nomina di un tutore provvisorio. La questione è stata prospettata con riferimento all'art. 24 della Costituzione, sull'assunto che le norme processuali vigenti non offrirebbero strumenti per ovviare alla situazione di menomata difesa in cui versa chi, pur non essendo interdetto, si trovi in stato di abituale incapacità di intendere o di volere ed essendo convenuto non sia in grado di rendersi conto che nei suoi confronti è stato instaurato un giudizio.
Il giudice rimettente ha ritenuto la questione rilevante in un procedimento di divisione ereditaria nel quale un certificato prodotto da altro convenuto attestava che la parte non costituita era affetta da sindrome di Down, con grave insufficienza mentale.
2. - Il Tribunale di Padova manifesta la giusta esigenza di assicurare un'adeguata tutela all'incapace naturale, infermo di mente, convenuto in giudizio e per il quale non sia stato ancora promosso un procedimento di interdizione o di inabilitazione. Prospetta quindi la necessità, per adeguare le norme processuali alle prescrizioni costituzionali di garanzia del diritto di difesa in giudizio (art. 24 della Costituzione), che sia prevista la comunicazione da parte del giudice al pubblico ministero, perchè questi possa, ricorrendone le condizioni, proporre domanda di interdizione o di inabilitazione e chiedere i provvedimenti provvisori che questa procedura consente.
Il Tribunale ritiene inoltre che, per una adeguata difesa, debba essere disposta la interruzione del processo, prevista in caso di morte o di perdita della capacità di stare in giudizio della parte costituita o del contumace (art. 300 del codice di procedura civile), con l'effetto che nessun atto possa essere compiuto e che il processo debba essere riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dalla interruzione (art. 305 del codice di procedura civile).
Alla interruzione del processo per una situazione già esistente - quale è anche quella che ha dato luogo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle stesse disposizioni qui denunciate (artt. 75 e 300 del codice di procedura civile) nella parte in cui non si riferiscono al convenuto scomparso (sentenza n. 220 del 1986) - si vorrebbe ora aggiungere, quale ulteriore causa di necessaria interruzione del processo, una situazione di infermità - già esaminata dalla Corte sotto il profilo della capacità processuale con due pronunzie di manifesta infondatezza (ordinanze n. 41 e n.605 del 1988) - per la quale è eventuale quanto al promovimento della relativa azione, ed incerta negli esiti, la verifica della incapacità a provvedere ai propri interessi, come pure la dichiarazione, con effetti costitutivi, della incapacità legale.
Nell'ipotesi della incapacità naturale confluiscono interessi diversi che devono essere contemperati. La garanzia di difesa nel processo comprende anche il diritto di non essere privato della capacità processuale, se non mediante un giudizio in cui è previsto l'esame dell'infermo di mente (ordinanza n. 41 del 1988) e nel quale lo stesso può compiere da solo tutti gli atti del procedimento (art.716 del codice di procedura civile). Per altro verso il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti comprende il potere di proporre una domanda giudiziale anche nei confronti dell'incapace naturale, senza che l'azione possa restare paralizzata indefinitamente per effetto della interruzione del processo ed in mancanza di un rappresentante legale, la cui nomina è solo eventuale, nei confronti del quale il processo possa essere tempestivamente riassunto.
L'ordinamento già appresta, ed è opportuno che ne predisponga di sempre più efficaci, strumenti di tutela dell'infermo, anche quando tale condizione non sia stata ancora giudizialmente accertata come idonea a determinare la interdizione o la inabilitazione. Non mancano disposizioni volte alla protezione processuale di chi versi in stato di permanente incapacità naturale, come nella situazione prospettata dal Tribunale di Padova. L'ordinamento giudiziario comprende tra le attribuzioni generali del pubblico ministero la tutela dei diritti degli incapaci, anche mediante la richiesta, nei casi di urgenza, dei necessari provvedimenti cautelari (art. 73 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12). La tutela degli incapaci, prevista quale tipica attribuzione del pubblico ministero, risponde ad un interesse pubblico, che, in quanto tale, abilita il pubblico ministero ad intervenire nel processo (art. 70, ultimo comma, del codice di procedura civile) nel quale l'incapace, non ancora interdetto o inabilitato, sia parte.
D'altra parte, in presenza di una causa nella quale il pubblico ministero può intervenire, è previsto che il giudice davanti al quale il giudizio è proposto ordini la comunicazione degli atti al titolare di quell'ufficio (art. 71 del codice di procedura civile) perchè, nel doveroso esercizio delle sue funzioni e ricorrendone i presupposti, il pubblico ministero assuma le iniziative necessarie per tutelare la posizione dell'incapace nel processo già pendente, promuovendo, ove del caso, il procedimento di interdizione o di inabilitazione e chiedendo la urgente nomina di un tutore o di un curatore provvisorio.
Non mancano dunque strumenti volti ad evitare pregiudizi per l'incapace naturale nel processo e ad attivare con urgenza la sua rappresentanza o assistenza, anche al di là dello specifico processo nel quale si prospetta la inidoneità della persona alla cura dei propri interessi.
Nè a superare tale conclusione varrebbe l'obiezione che l'effettività della difesa dell'incapace naturale potrebbe essere nel concreto vanificata dall'eventuale mancata estrinsecazione di tutti i poteri attribuiti dalla legge a soggetti investiti di pubbliche funzioni.
Da tale inconveniente pratico non può derivare un vizio di incostituzionalità delle disposizioni censurate, la cui legittimità va apprezzata in relazione alla piena osservanza delle disposizioni dell'ordinamento giuridico complessivo.
La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Padova non è pertanto fondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Padova con ordinanza emessa il 18 dicembre 1991.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/11/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 19/11/92.