Ordinanza n. 284 del 1992

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ORDINANZA N. 284

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 134, comma secondo, 140, comma primo, 567, comma terzo del codice di procedura penale, nonchè dell'articolo 2, numero 8, della legge delega del 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 15 maggio 1991 dal Pretore di Lecce - sezione distaccata di Nardò - nel procedimento penale a carico di Fiorino Oronzo, iscritta al n. 709 del registro ordinanze del 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 marzo 1992 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

RITENUTO che, nel corso di un procedimento penale, il Pretore di Nardò, con ordinanza in data 15 maggio 1991, ha sollevato, in riferimento agli artt.24, 76, 101 e segg. della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 134 secondo comma, 140 primo comma, e 567 terzo comma, del codice di procedura penale, nonchè, in via subordinata, della direttiva n. 8, art. 2, della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, anche in relazione al criterio di ragionevolezza (art.3 Cost., non espressamente indicato);

che, nel giudizio a quo, le parti non avevano prestato il consenso affinchè il verbale di udienza, ai sensi dell'art. 567 terzo comma, fosse redatto in forma soltanto riassuntiva ed il giudice, non ravvisando la ricorrenza delle condizioni previste dall'art. 140, primo comma, ha ritenuto di dover applicare l'art. 134, secondo comma, in base al quale, il verbale in forma riassuntiva, nell'impossibilità di utilizzare la stenotipia o altro strumento meccanico, è redatto con la scrittura manuale;

che, ad avviso del giudice remittente, l'art. 134, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede la verbalizzazione in forma riassuntiva e l'eventuale utilizzazione della scrittura manuale, violerebbe l'art. 76 della Costituzione, non conformandosi alle specifiche previsioni della direttiva n. 8, e ponendosi altresì in contrasto con i seguenti altri criteri di cui all'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81: a) massima semplificazione nello svolgimento del processo (n.1); b) adozione del metodo orale (n. 2); c) immediatezza e concentrazione del dibattimento (n. 66); d) esame diretto dell'imputato, dei testimoni, e dei periti da parte del P.M. e dei difensori con garanzie idonee ad assicurare la lealtà dell'esame, la genuinità delle risposte, (n.73);

che l'art. 140, primo comma, del codice di procedura penale è censurato nella parte in cui, prescrivendo che il giudice, in deroga a quanto prevede il precedente art. 134, comma 3, possa disporre la redazione del verbale in forma soltanto riassuntiva quando gli atti da documentare siano di contenuto semplice o di limitata rilevanza, violerebbe i suindicati principi della legge- delega, di cui all'art. 2, nn. 1, 2, 66 e 73, determinando, tra l'altro, l'eventualità di un'alternarsi di forme di verbalizzazione diverse nello stesso processo;

che la medesima disposizione, in relazione alla ipotesi della sussistenza di una contigente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici, è ritenuta in contrasto con il principio della legge-delega di cui all'art. 2 n. 8 in quanto, non menzionando in alcun modo i limiti utili ad accertare la sussistenza o meno della "contingente indisponibilità", consentirebbe che la stessa possa di fatto tradursi in una persistente ed indeterminata indisponibilità;

che l'art. 567, terzo comma, del codice di procedura penale, è impugnato nella parte in cui prevede che, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 140, il verbale di udienza, sia redatto soltanto in forma riassuntiva, se le parti vi consentono, assumendosi che esso si porrebbe in tal modo in contrasto: a) con l'art. 76 della Costituzione, violando il principio contenuto nell'art. 2 n. 8, della legge-delega che affida esclusivamente al giudice, senza alcun condizionamento, la scelta di una documentazione degli atti processuali diversa da quella normalmente prevista; b) con gli artt. 101 e seguenti della Costituzione, determinando la scelta della forma riassuntiva in base a circostanze che operano al di fuori del principio di esclusiva soggezione del giudice alla legge;

che, peraltro, le tre disposizioni denunciate, prevedendo la possibilità di una verbalizzazione in forma riassuntiva o soltanto riassuntiva, e l'eventuale ricorso alla scrittura manuale, violerebbero anche l'art. 24 della Costituzione in quanto, ostacolando la realizzazione di un'effettiva dialettica processuale, inciderebbero negativamente sulla garanzia del contraddittorio e sul diritto di difesa;

che, nell'eventualità in cui la Corte - ribadendo l'interpretazione secondo cui la verbalizzazione in forma riassuntiva è prevista dalla direttiva n. 8 dell'art. 2 della legge di delega n. 81 del 1987 - ritenga infondate le precedenti questioni, il giudice a quo impugna anche la predetta disposizione, nella parte in cui prevede appunto la possibilità di una verbalizzazione in forma riassuntiva, ritenendola in contrasto: a) con l'art. 24 della Costituzione in quanto, ostacolando la realizzazione di un'effettiva dialettica processuale, inciderebbe negativamente sulla garanzia del contraddittorio e sul diritto di difesa; b) con l'art. 76 della Costituzione risultando irragionevole la previsione di una forma di verbalizzazione incompatibile con altre direttive della legge delega, e, segnatamente, con quelle che impongono: a) l'oralità del dibattimento (n. 2); b) l'immediatezza e concentrazione del dibattimento (n.66); c) l'esame diretto dell'imputato, dei testimoni ecc... (n 73); d) la realizzazione del sistema accusatorio, attraverso un "processo di parti", la "formazione della prova nel dibattimento" e la "partecipazione della accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento"; c) con l'art. 3 della Costituzione (il parametro non è però indicato in modo espresso), apparendo irragionevole la mancanza di un'espressa indicazione delle ipotesi in cui le condizioni prescritte per la verbalizzazione in forma riassuntiva si possano ritenere effettivamente sussistenti;

che nel giudizio così promosso ha spiegato intervento l'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

CONSIDERATO che, come è già stato affermato da questa Corte (sent. n. 529 del 1990), il punto 8 dell'art. 2 della legge di delega al Governo, per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81) prevede come forme fra loro alternative di verbalizzazione quella integrale e quella riassuntiva (vedi anche ord. n. 77 del 1991) rimettendo alla valutazione del giudice l'adozione della seconda, in relazione alla semplicità o limitata rilevanza degli atti processuali ovvero alla contingente indisponibilità degli strumenti e degli ausiliari tecnici, presupposti, questi, che, essendo sufficientemente precisi, non richiedono necessariamente, in sede di attuazione della delega, ulteriori specificazioni;

che, pertanto, la questione riguardante gli artt. 134, secondo comma, e 140, primo comma, del codice di procedura penale, tendente a contestare in radice, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, il procedimento di documentazione degli atti dibattimentali mediante la verbalizzazione in forma riassuntiva, è manifestamente infondata;

che, peraltro, essendo la verbalizzazione in forma riassuntiva prevista dall'art. 2, punto 8, della legge di delega, è ininfluente - come già affermato da questa Corte (ord. n. 77 del 1991) - che "le norme del codice di procedura penale che consentono la forma riassuntiva possano eventualmente contrastare con altri criteri e principi della stessa legge, che, ad avviso del giudice a quo, osterebbero a tale forma di verbalizzazione, essendo evidente che i criteri e i principi della delega devono essere fra loro armonizzati, dando prevalenza a quelli che riguardano specificamente le parti della disciplina presa in considerazione";

che, per quanto riguarda la questione attinente all'art. 567, terzo comma, del codice di procedura penale, censurato nell'assunto che il consenso delle parti vincolerebbe il giudice nella scelta della forma di verbalizzazione, va rilevato che, nella fattispecie, non avendo le parti manifestato il loro accordo nel consentire la redazione del verbale soltanto in forma riassuntiva, nessun vincolo può derivare per il giudice, che, pur in presenza di un eventuale accordo delle parti, è comunque libero di applicare la norma che prevede l'alternativa fra la redazione integrale e la redazione riassuntiva (art. 134) nonchè la norma che, in presenza di determinati presupposti, lo facoltizza ad adottare la seconda anche a prescindere dalla riproduzione fonografica (art. 140);

che, pertanto anche tale questione appare manifestamente infondata;

che ad identiche conclusioni deve pervenirsi in relazione all'ultima censura riguardante la direttiva di cui all'art. 2, punto 8, della legge di delega n.81 del 1987, censurato nella parte in cui prevede appunto la possibilità della verbalizzazione in forma riassuntiva, sia perchè tale forma è meramente alternativa rispetto all'altra principale e che il legislatore delegante ha mostrato di preferire (vedi sent. n. 529 del 1990), cioé quella della verbalizzazione integrale, sia perchè appare ragionevole prevedere che, in alcune ipotesi, non sia essenziale, per garantire il contraddittorio ed il diritto di difesa, assicurare la pedissequa corrispondenza della documentazione agli atti che essa riproduce, sia perchè, infine, non può ravvisarsi alcun contrasto con gli altri invocati principi contenuti nella legge delega, i quali non possono essere intesi in senso assoluto ma vanno invece considerati nel complessivo ambito generale della disciplina concreta nella quale si traducono, con le deroghe e le eccezioni, cioé, che il legislatore pone, suscettibili di censura solo se idonei a privare di contenuto i predetti principi.

Visti gli artt.26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 134, secondo comma, 140, primo comma, 567, terzo comma, del codice di procedura penale, nonchè dell'art. 2 n. 8 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), sollevate, in riferimento agli artt. 24, 76, 101 e seguenti della Costituzione, dal Pretore di Lecce - sezione distaccata di Nardò - con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 17/06/92.