Ordinanza n. 77 del 1991

 

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ORDINANZA N. 77

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 567, terzo comma, del codice di procedura penale in relazione agli artt. 134, terzo comma, e 140, primo e secondo comma, stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1990 dal Pretore di Nardò nel procedimento penale a carico di Patera Salvatore, iscritta al n. 502 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 9 gennaio 1991 il giudice relatore Vincenzo Caianiello;

Ritenuto che, nel corso di un processo penale, il Pretore di Nardò, con ordinanza in data 13 aprile 1990 (r.o. n. 502 del 1990), ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 134, secondo comma, e 140, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 76 della Costituzione;

che la prima disposizione impugnata è censurata nella parte in cui, prevedendo, per la documentazione degli atti, la scrittura manuale e la forma riassuntiva, si porrebbe in contrasto con i criteri di cui all'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, che impongono: a) la massima semplificazione nello svolgimento del processo (n. 1); b) l'adozione del metodo orale (n. 2); c) l'immediatezza e concentrazione del dibattimento (n. 66); d) l' esame diretto dell'imputato, dei testimoni e dei periti da parte del pubblico ministero e dei difensori, con garanzie idonee ad assicurare la lealtà dell'esame, la genuinità della risposte, la pertinenza al giudizio e il rispetto della persona (n. 73); e) l'adeguamento di tutti gli istituti processuali ai princìpi ed ai criteri innanzi determinati (n. 104);

che l'art. 140, primo comma, del codice di procedura penale è sottoposto a censura - nella parte in cui prescrive che il giudice, in deroga a quanto prevede il precedente art. 134, terzo comma, possa disporre la redazione del verbale in forma soltanto riassuntiva nell'ipotesi in cui gli atti da documentare siano di contenuto semplice o di limitata rilevanza - per violazione dei principi della legge-delega, di cui all'art. 2, nn. 1, 66 e 104, in quanto si potrebbe determinare un'alternarsi di forme di verbalizzazione diverse; che la stessa disposizione, sotto altro profilo, in relazione all'ipotesi della sussistenza di una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici, è ritenuta in contrasto con il principio di cui all'art. 2, n. 8, perché, non menzionando in alcun modo i limiti utili ad accertare la sussistenza o meno della "contingente indisponibilità", farebbe sì che tale contingenza si traduca di fatto in una persistente ed indeterminata indisponibilità;

che viene, inoltre, impugnato l'art. 567, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 140, il verbale di udienza, se le parti vi consentono, sia redatto soltanto in forma riassuntiva e, cioè, senza la riproduzione fonografica, assumendosi che esso si porrebbe in tal modo in contrasto:

a) con l'art. 76 della Costituzione, violando il principio contenuto nell'art. 2, n. 8, della legge-delega, che affida esclusivamente al giudice, senza alcun condizionamento, la scelta di una documentazione degli atti processuali diversa da quella normalmente prevista (e ciò, sia nel caso si ritenga che il pretore sia vincolato dall'accordo delle parti, sia nel caso si consideri invece l'accordo stesso come un semplice presupposto per la decisione del pretore);

b) con l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata disparità di trattamento che si verrebbe a determinare rispetto ai procedimenti di competenza del tribunale, la cui verbalizzazione, anche in relazione a reati meno gravi quoad poenam, avviene in forma integrale, nonché rispetto a quei procedimenti per i quali, in futuro, si potranno di fatto utilizzare le strutture di documentazione degli atti previste dal nuovo codice;

c) con l'art. 24 della Costituzione in relazione agli artt. 134, terzo comma, e 140, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, in quanto il ricorso alla scrittura manuale e la scelta della forma riassuntiva ostacolerebbero la realizzazione di un'effettiva dialettica processuale, incidendo negativamente sulla garanzia del contradditorio;

d) con "gli artt. 101 e seguenti" della Costituzione, sempre in relazione agli artt. 134, secondo comma, e 140, primo comma, del codice di procedura penale, in quanto la mancata predeterminazione legislativa dell'impossibilità di ricorso al mezzo della stenotipia o di altro strumento meccanico, nonché la mancata apposizione di limiti al concetto di contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici, determinerebbe la scelta della forma riassuntiva con la scrittura manuale, in base a circostanze che operano al di fuori del principio di esclusiva soggezione del giudice alla legge;

e) ancora, con gli artt. 101 e seguenti della Costituzione, in quanto il giudice nell'esercizio della sua funzione giurisdizionale penale non sarebbe soggetto soltanto alla legge, ma vincolato dall'accordo delle parti;

che è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo che "le questioni che il Pretore solleva con un contorto argomentare sono tutte palesemente infondate";

che, difatti, per quanto attiene ai pretesi profili di eccesso di delega, le tesi del giudice remittente si fondano più su aspetti di contingenti difficoltà pratiche, che non su argomentazioni di contrasto normativo, mentre completamente in linea con la direttiva di massima semplificazione del procedimento pretorile risulterebbe l'impugnata disposizione di cui all'art. 567, terzo comma, del codice di procedura penale;

che la censura secondo la quale l'accordo delle parti, vincolando il pretore all'adozione della verbalizzazione in forma riassuntiva contrasterebbe con il principio per cui il giudice è soggetto soltanto alla legge, sarebbe priva di fondamento, in quanto è pur sempre la legge - e non l'accordo come tale - a costituire la fonte di quella soggezione.

Considerato che la questione riguardante gli artt. 134, secondo comma, e 140, primo comma, del codice di procedura penale e tendente a contestare in radice, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, il procedimento di documentazione degli atti dibattimentali mediante la verbalizzazione in forma riassuntiva, è manifestamente infondata, in quanto la legge di delega, come è stato già ritenuto dalla Corte (sent. n. 529 del 1990), prevede come forme fra loro alternative di verbalizzazione quella integrale e quella riassuntiva;

che, in presenza di questa espressa previsione della legge di delega, è ininfluente che le norme del codice di procedura penale che consentono la forma riassuntiva possano eventualmente contrastare con altri criteri e principi della stessa legge, che, ad avviso del giudice a quo, osterebbero a tale forma di verbalizzazione, essendo evidente che i criteri e i principi della delega devono essere fra loro armonizzati, dando prevalenza a quelli che riguardano specificamente le parti della disciplina presa in considerazione;

che, per quel che riguarda la questione diretta a censurare, in riferimento agli artt. 3, 76, 24, "101 e seguenti" della Costituzione, l'art. 567, terzo comma, anche in relazione agli artt. 134, secondo e terzo comma, e 140, primo e secondo comma, i quesiti appaiono contraddittori, in quanto la censura di incostituzionalità che investe il solo art. 567, terzo comma, è incompatibile con le censure che investono la stessa disposizione in riferimento agli artt. 134, secondo e terzo comma, e 140, primo e secondo comma;

che, difatti, non avendo il giudice a quo preso posizione sulla revocabilità o irrevocabilità dell'accordo, che già era intervenuto fra le parti, ai fini della verbalizzazione in forma riassuntiva, non è possibile stabilire se a questa forma di verbalizzazione egli fosse o meno tenuto in base all'accordo;

che, conseguentemente, solo nell'ipotesi che l'accordo fosse da ritenersi non revocabile, potrebbero essere prese in considerazione le censure che investono esclusivamente l'art. 567, terzo comma, perché solo la perdurante vincolatività dell'accordo stesso, nonostante la sua eventuale revoca da parte dell'imputato, attribuirebbe rilievo alla doglianza secondo cui, in questo modo, verrebbe sottratta al giudice - in contrasto con l'art. 2, n. 8, della legge di delega - la possibilità di scegliere la forma di verbalizzazione da attuare;

che, in tale ipotesi, una volta cioè che la forma riassuntiva fosse imposta dall'accordo delle parti e non dalla determinazione del giudice, diverrebbero però irrilevanti le censure che fanno riferimento agli artt. 134, secondo e terzo comma, e 140, primo e secondo comma, riguardanti la mancanza di indicazione di criteri e di limiti condizionanti la scelta del giudice per l'una o per l'altra forma di verbalizzazione;

che, qualora l'accordo dovesse invece ritenersi revocabile, risulterebbe irrilevante la censura che investe il solo art. 567, terzo comma, attinente alla vincolatività dell'accordo ed alla conseguente sottrazione al giudice di ogni potere discrezionale circa la forma di verbalizzazione da attuare, perché, in questa ipotesi, il giudice, essendo stato revocato l'accordo, non dovrebbe più fare applicazione dell'art. 567, terzo comma;

che, stante la contraddittorietà dei quesiti, la questione è manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 134, terzo comma, e 140, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dal Pretore di Nardò con l'ordinanza indicata in epigrafe;

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 567, terzo comma, in relazione agli artt. 134, secondo e terzo comma, e 140, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 76, 101 e seguenti della Costituzione, dal Pretore di Nardò con la stessa ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

 

Depositata in cancelleria l'11 febbraio 1991.