SENTENZA N. 195
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
- Prof. Giuseppe BORZELLINO
- Dott. Francesco GRECO
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Marche 21 maggio 1980, n. 35 (Prime disposizioni per l'attuazione dell'art.25, settimo comma, decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.616), promosso con ordinanza emessa il 17 ottobre 1990 dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche nel ricorso proposto da Lupi Giovanni ed altri contro la Regione Marche ed altri, iscritta al n. 706 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, del 4 dicembre 1991.
Visto l'atto di costituzione di Lupi Giovanni nonchè l'atto di intervento della Regione Marche;
udito nell'udienza pubblica del 3 marzo 1992 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;
uditi gli avvocati Enrico Romanelli per Lupi Giovanni e Piero Alberto Capotosti per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale amministrativo regionale delle Marche nel corso di un giudizio promosso da Giovanni Lupi e da altri componenti il Consiglio di amministrazione dell'Opera pia "Famiglia Balestrieri" per ottenere l'annullamento delle delibere con le quali il Consiglio e la Giunta comunale avevano provveduto, in sede di rinnovo delle cariche, alla designazione dei rappresentanti del Comune ed alla nomina dell'organo amministrativo dell'ente, con ordinanza emessa il 17 ottobre 1990 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge della Regione Marche 21 maggio 1980, n. 35 (Prime disposizioni per l'attuazione dell'art. 25, settimo comma, decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.616). Il giudice rimettente rileva che la tavola di fondazione dell'ente prevede un Consiglio di amministrazione composto da due membri di diritto (il parroco della frazione Talacchio del Comune di Colbordolo, ove ha sede la fondazione, ed il Presidente pro-tempore dell'Ente comunale di assistenza) e da altri tre cittadini residenti nella medesima frazione, designati rispettivamente dal Prefetto, dal Provveditore agli Studi e dal Comune di Colbordolo.
A seguito del mutato quadro normativo in materia di assistenza e beneficenza, per effetto degli artt. 22 ss. del d.P.R. 24 luglio 1977, n.616, la Regione Marche ha, tra l'altro, disposto con l'art.7 della legge del 1980, n. 35 che "tutte le funzioni amministrative di cui all'art. 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 9, concernenti le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza escluse dal trasferimento, sono delegate ai comuni nel cui territorio ha sede l'istituzione. In particolare sono delegate le funzioni concernenti le nomine e le designazioni di amministratori già demandate ad organi centrali e periferici dello Stato da disposizioni legislative o statutarie e lo scioglimento delle amministrazioni, la nomina di commissari e le modifiche statutarie".
Il giudice a quo, ritiene che tale disposizione, applicabile anche alla fondazione Balestrieri, nella parte in cui delega ai Comuni le nomine e le designazioni già demandate da disposizioni statutarie ad organi centrali e periferici dello Stato sia in contrasto con gli artt.117 e 118 della Costituzione.
Sotto il primo profilo il giudice rimettente osserva che la potestà legislativa riconosciuta alle Regioni in materia di beneficenza ed assistenza dell'art. 117 della Costituzione deve svolgersi nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, principi che devono essere individuati ricostruendo il vigente quadro normativo alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 1987. In tale sentenza si afferma che "fino a quando il legislatore statale non avrà provveduto ad una riforma organica dell'intero sistema, l'assetto delle istituzioni sopravvissute per effetto della sentenza n. 173 del 1981, è quello rientrante nella normativa preesistente, la quale attribuisce rilievo determinante alla volontà dei fondatori, come è espressa nelle tavole di fondazione o negli statuti". Ne segue, secondo il giudice a quo, che le Regioni, esercitando la potestà legislativa nelle materie loro devolute sulla base dell'art. 117 della Costituzione, non possono disattendere i principi fondamentali posti dal legislatore statale.
Con specifico riguardo al potere di nomina degli amministratori di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza il legislatore privilegia le disposizioni delle tavole di fondazione o degli statuti di ciascun ente (art. 9 della legge 17 luglio 1890, n. 6972). L'art. 7 della legge Regione Marche 21 maggio 1980, n. 35, sottraendo il potere di nomina e di designazione dei componenti il Consiglio di amministrazione dell'Opera pia Balestrieri alle autorità indicate nelle tavole di fondazione, violerebbe tale principio.
La questione è stata ritenuta non manifestamente infondata anche sotto altro profilo. La sentenza della Corte costituzionale n. 195 del 1987 ha affermato che il potere di nomina demandato dagli statuti di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza ad organi dello Stato è escluso dalle funzioni amministrative trasferite alle Regioni dagli artt. 1 e 2 del d.P.R. del 1972, n. 9. L'art. 7 della legge regionale 21 maggio 1980, n. 35, nell'attribuire ai Comuni il potere di surrogarsi agli organi statali individuati dalle tavole di fondazione nella designazione degli amministratori, avrebbe dato luogo ad un illegittimo esercizio di poteri di delegazione, con violazione dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione, conferendo un potere non compreso nella sfera di attribuzione regionale.
L'ordinanza è stata ritualmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, del 4 dicembre 1991.
2. - É intervenuta in giudizio la Regione Marche, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
La Regione ha rilevato preliminarmente che l'art. 7 della legge regionale del 1980, n. 35, contiene una disciplina di attuazione dell'art.25 del d.P.R. del 1977, n. 616. Essendo stata questa ultima disposizione dichiarata parzialmente illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 1981, la disposizione regionale attuativa verrebbe ad essere praticamente relegata nella sfera della "inoperatività".
Inoltre la norma sospettata di incostituzionalità sarebbe già stata implicitamente abrogata dalla legge Regione Marche del 5 novembre 1988, n.43, la quale, facendo espresso riferimento nel titolo e nell'art. 1 al "riordino delle funzioni di assistenza sociale", provvederebbe alla "ridefinizione" della assistenza e della beneficenza pubblica in termini di "sicurezza sociale", superando e ricomprendendo così le precedenti normative di settore.
La abrogazione della norma denunciata deriverebbe anche dalla incompatibilità con alcune delle disposizioni della citata legge n. 43 del 1988 e segnatamente con l'art. 10, secondo comma, lettera a), e con l'art.45, primo comma, lettera d), in virtù dei quali la Regione cura l'adempimento delle funzioni amministrative relative, anche "alle nomine di propria competenza ad incarichi di amministratori" delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Si dovrebbe così ritenere che solo le nomine "di competenza della Regione" sono delegate ai comuni, e non già quelle di competenza di organi centrali o periferici dello Stato, secondo quanto disponeva l'art. 7 della legge regionale 21 maggio 1980, n.35.
Nel merito la Regione conclude per la infondatezza della questione, giacchè il trasferimento alle Regioni di tutte le funzioni amministrative esercitate da organi centrali e periferici dello Stato in ordine alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (art. 1, primo comma, lettera a), del d.P.R. del 1972, n. 9, e artt.136, 13 e 17 del d.P.R. del 1977, n. 616) non potrebbe non comprendere i poteri di nomina esercitati in base all'autonomia statutaria di un ente pubblico.
Lo statuto di un ente pubblico, quale fonte attributiva del potere di nomina, sarebbe una fonte subordinata alle fonti primarie e ad esse (nel caso il d.P.R. del 1972, n. 9) dovrebbe cedere, nel senso che non potrebbe legittimamente contrastare la successione della amministrazione regionale a quella statale nella materia in oggetto.
3. - Nel giudizio si è costituito anche Lupi Giovanni, aderendo alle argomentazioni svolte nella ordinanza di rimessione e concludendo per la fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
4. - La Regione Marche ha depositato, in prossimità dell'udienza, memoria per ribadire le argomentazioni e le conclusioni già formulate nell'atto di intervento.
In particolare, quanto alla eccezione di irrilevanza della questione di legittimità costituzionale, la Regione sottolinea che la fondazione Balestrieri potrebbe, alla luce dei riferimenti testuali contenuti nella tavola di fondazione (ovvero nel testamento olografo di Cesare Balestrieri del 27 giugno 1934), configurarsi come persona giuridica privata. Questa configurazione potrebbe essere accertata dal giudice a quo, sottraendo la fondazione dall'ambito di applicabilità della norma impugnata.
Quanto alla fondatezza della questione la Regione Marche rileva che il "rinvio" o comunque "la riserva" alla autonomia statutaria, previsto dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, del potere di nomina degli amministratori non sarebbe "senza condizioni" ma, al contrario, sarebbe condizionato "da limiti teleologici-sistematici". In proposito la Regione richiama l'art.103 della legge del 1890, n. 6972, che, considerando come "non apposte" le disposizioni o convenzioni private atte a vietare alle pubbliche autorità di esercitare sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza la tutela o la vigilanza imposte dalla stessa legge ovvero ad impedire le riforme amministrative e le mutazioni del fine, subordinerebbe l'autonomia statutaria ad esigenze ed interessi di carattere pubblicistico.
In questa ottica si iscriverebbero le esigenze connesse a processi riformatori, quali il trasferimento delle funzioni assistenziali dallo Stato alle Regioni.
D'altro canto il legislatore del 1890 avrebbe, ad avviso della Regione, dettato norme generali sulla capacità giuridica delle persone che possono concorrere ad amministrare le opere pie, escludendo, al riguardo, eventuali diverse volontà dei fondatori.
L'inderogabilità di dette disposizioni troverebbe il suo fondamento nella natura pubblicistica delle opere pie e della stessa carica di amministratore, che si prefigura come "officium" pubblico, in modo da implicare l'intervento della legge sui meccanismi di nomina per motivi di interesse generale e da consentire la sostituzione della Regione ai precedenti organi di vigilanza (come il Prefetto) nella designazione di alcuni componenti del Consiglio di amministrazione. Poichè i poteri di designazione sono stati attribuiti dallo statuto dell'opera pia al Prefetto ed al Provveditore agli studi non ad personam ma in quanto titolari di organi periferici dello Stato, con il trasferimento delle funzioni sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza dallo Stato alle Regioni si sarebbe determinata una ulteriore "forma di incompatibilità" non con riguardo a criteri soggettivi, bensì con riguardo al procedimento di designazione e nomina. Ne seguirebbe che la "riserva di statuto", come non varrebbe per le incompatibilità, così non varrebbe in materia di nomina e sarebbe, pertanto, destinata a cedere davanti alla legge, fonte di grado superiore.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale amministrativo regionale delle Marche dubita della legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge Regione Marche 21 maggio 1980, n. 35, nella parte in cui delega ai Comuni le funzioni concernenti la nomina e le designazioni di amministratori di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza già demandate ad organi centrali e periferici dello Stato da disposizioni statutarie. Il contrasto è prospettato con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
2. - La Regione ha preliminarmente eccepito la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sotto più profili, che possono essere così sintetizzati: a) la norma impugnata, inserita in una legge destinata a dettare, secondo la sua stessa intitolazione, "prime disposizioni per l'attuazione dell'art. 25, settimo comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n.616", è divenuta inapplicabile a seguito della sentenza di questa Corte (n. 173 del 1981) che ha dichiarato parzialmente illegittima la norma da attuare; b) l'art. 7 della legge regionale 21 maggio 1980, n. 35, sarebbe stato abrogato dalla legge della Regione Marche 5 novembre 1988, n. 43: sia implicitamente, perchè la legge successiva nel tempo, dettando norme per "il riordino delle funzioni di assistenza sociale di competenza dei comuni, per l'organizzazione del servizio sociale e per la gestione dei relativi interventi della regione", avrebbe disciplinato la intera materia; sia esplicitamente, perchè l'art. 10, secondo comma, lettera a), della legge del 1988, n. 43, stabilendo che la Regione, per quanto riguarda le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza provvede "alle nomine di propria competenza ad incarichi di amministratori", delegando tali nomine ai Comuni (art. 45, primo comma, lettera d), non comprenderebbe le nomine in precedenza attribuite alla competenza di organi centrali o periferici dello Stato; c) il riconoscimento della natura privata dell'ente, che avrebbe potuto essere pregiudizialmente eccepita ed accertata nel giudizio a quo, escluderebbe sotto altro profilo l'applicabilità della norma della cui legittimità costituzionale si dubita.
La eccezione non può essere accolta sotto nessuno dei tre indicati profili.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art.25 del d.P.R. del 1977, n. 616, (sentenza n. 173 del 1981) non ha colpito questa disposizione nella sua interezza, ma ha riguardato esclusivamente le parti in cui essa prevede la sostanziale soppressione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza infraregionali, con il trasferimento ai comuni delle loro funzioni, del personale e dei beni (comma quinto), ed inoltre le eccezioni al trasferimento e le relative procedure (commi sesto e, in parte, settimo e nono). Ne segue che solo le disposizioni della legge regionale n. 35 del 1980 dirette all'attuazione di tali norme sono divenute inapplicabili, mentre non sono private di reale efficacia le disposizioni che, come quella sospettata di incostituzionalità, disciplinano l'esercizio delle funzioni amministrative trasferite alle regioni dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, e relative alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che operano nel territorio regionale (art. 1, lettera a) e non sono state soppresse.
La eccezione di irrilevanza non è fondata neanche sotto gli altri profili dedotti dalla Regione per il seguente ordine di considerazioni. La legge 5 novembre 1988, n. 43, non abroga espressamente la legge del 1980, n. 35. La disposizione che prevede tra le funzioni amministrative della Regione le "nomine di propria competenza ad incarichi di amministratori" di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (art. 10, secondo comma, lettera a), non è oggettivamente incompatibile con la affermazione della competenza regionale, devoluta da altre disposizioni, per le nomine di amministratori in precedenza demandate ad organi dello Stato. Inoltre, pur essendo la legge del 1988, n. 43, destinata a riordinare le funzioni relative alla assistenza sociale, il suo contenuto non copre l'intera materia già regolata dalla legge anteriore.
Non è infine conferente, in questa sede, il profilo (che la Regione ipotizza avrebbe potuto essere pregiudizialmente eccepito e risolto nel giudizio a quo per definirne nel merito gli esiti) relativo alla natura privata o pubblica dell'ente.
3. - Nel merito la questione è fondata.
L'art. 7, secondo comma, della legge Regione Marche 21 maggio 1980, n. 35, non solo prevede la delega ai comuni delle funzioni concernenti le nomine e le designazioni di amministratori delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza demandate ad organi dello Stato da disposizioni legislative, ma estende la delega anche alle nomine ed alle designazioni rimesse a tali organi da disposizioni contenute nello statuto dei singoli enti.
Questa Corte ha già con chiarezza affermato che il rinvio agli statuti operato dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, rende giuridicamente rilevante nell'ordinamento il momento dell'autonomia dell'ente. "Fonte del potere di nomina sono gli statuti ed il mutamento della titolarità di questo potere non potrebbe avvenire che tramite la modifica di essi" (sentenza n. 195 del 1987).
Ha inoltre precisato che: "gli artt. 4 e 9 della legge del 1890, n.6872, rimettono in via esclusiva alle tavole di fondazione e agli statuti delle istituzioni di assistenza e beneficenza la regolamentazione della struttura e composizione degli organi di amministrazione e della nomina e rinnovazione dei componenti, stabilendo in tal modo per tutte le dette istituzioni condizioni particolari di autonomia statutaria mediante uno strumento giuridico che, proprio per il suo contenuto e la sua finalità, è insensibile all'incidenza dei trasferimenti delle funzioni statali alle regioni" (sentenza n. 363 del 1990).
In coerenza con tali principi questa Corte ha già ritenuto che i poteri di designazione e di nomina degli amministratori di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza conferiti dall'autonomia statutaria sono da riferire all'esercizio di poteri che non possono essere considerati funzioni in materia di beneficenza pubblica suscettibili di devoluzione alle regioni. Non può quindi avere fondamento la delega ai comuni del potere di designazione o di nomina di amministratori di questi enti, demandate da disposizioni statutarie ad organi dello Stato.
Nè si vede come l'esercizio del potere di nomina possa essere assimilato, come si vorrebbe, alla disciplina delle incompatibilità, che è correttamente rimessa al legislatore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 7, secondo comma, della legge Regione Marche 21 maggio 1980, n. 35 (Prime disposizioni per l'attuazione dell'art. 25, settimo comma, decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), limitatamente alle parole "o statutarie".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/04/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 28/04/92.