Sentenza n. 140 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 140

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la 1) ordinanza emessa il 22 febbraio 1991 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (sezione staccata di Reggio Calabria) sul ricorso elettorale proposto da Roberto Fascì contro il Comune di Motta S. Giovanni ed altri iscritta al n.557 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1991; 2) ordinanza emessa il 6-7 marzo 1991 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (sezione staccata di Reggio Calabria) sul ricorso elettorale proposto da Lina Rodofile ed altri contro il Comune di Feroleto della Chiesa ed altri, iscritta al n. 640 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di costituzione di Roberto Fascì nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

uditi gli avvocati Michele Salazar per Roberto Fascì e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (sezione staccata di Reggio Calabria) - nel corso di un giudizio avente ad oggetto la regolarità di operazioni elettorali relative ad elezioni comunali - con ordinanza 22 febbraio 1991 ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, terzo comma, della l.20 novembre 1982, n. 890, in quanto non applicabile ai giudizi dinanzi ai giudici amministrativi.

Con sentenza interlocutoria nella stessa data, il giudice remittente aveva ritenuto che il ricorso con il quale era stato proposto il giudizio a quo, avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile "per difetto di concorrenza (necessaria ai sensi dell'art. 83, n. 11, comma primo, ultima parte e comma secondo del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nel testo di cui alla l. 23 dicembre 1966, n. 1147) della notifica entro dieci giorni dalla conoscenza del decreto di fissazione della prima udienza e del deposito della prova del perfezionamento dell'incombente nei dieci giorni dalla notifica". Ciò per l'inapplicabilità nei giudizi dinanzi ai giudici amministrativi dell'art. 5, comma terzo, della l. 20 novembre 1982, n. 890, il quale consente, nei giudizi civili, l'iscrizione a ruolo e il deposito degli avvisi di ricevimento, afferenti alle notifiche eseguite dall'ufficiale giudiziario per tramite del servizio postale, in epoca successiva alla scadenza dei termini di decadenza utili.

Con l'ordinanza di rimessione si deduce la non manifesta infondatezza della questione, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento derivante dall'applicabilità dell'art. 5 della l. n.890 del 1982 suddetto ai soli giudizi dinanzi ai giudici ordinari e non anche a quelli dinanzi ai giudici amministrativi.

Il giudice a quo, con la stessa ordinanza - subordinatamente alla declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'impugnato art. 5 della legge n. 890 del 1982 - ha sollevato anche questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 97, primo comma, Cost., dell'art.83, n. 11, comma quinto, del d.P.R. n. 570 del 1960, nel testo di cui all'art. 2 della legge n. 1147 del 1966, nella parte in cui, "non derogando ai sistemi probatori ordinari nel giudizio avanti alle magistrature amministrative, limita, nei giudizi elettorali, alle risultanze documentali i mezzi fruibili per la definizione del merito".

La rilevanza di tale questione è motivata deducendo che "la prova di resistenza", nel caso che forma oggetto del giudizio a quo, è di undici voti e dei venti contestati almeno su dodici le contestazioni potrebbero avere esito diverso a seconda che possa o non possa farsi ricorso a prove diverse da quella documentale.

Quanto alla non manifesta infondatezza, nell'ordinanza di remissione si afferma che sarebbe "illogicamente riduttiva un'interpretazione dell'art.97, primo comma, della Costituzione che lo ritenesse riferibile soltanto all'organizzazione dell'apparato pubblico, inteso quale complesso degli organi amministrativi in senso stretto, e non anche alla normativa procedimentale riguardante l'attività giurisdizionale". Esso, sarebbe leso, appunto, dalla impossibilità di utilizzare, nei giudizi elettorali dinanzi ai giudici amministrativi, prove diverse da quelle documentali.

Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la prima questione sia dichiarata non fondata.

Ha dedotto in proposito che l'art. 5, terzo comma, della legge n. 890 del 1982 va interpretato estensivamente ed è applicabile anche in relazione ai giudizi amministrativi, in caso di notifica a mezzo del servizio postale.

Quanto alla questione di legittimità costituzionale relativa all'art.83, n. 11, quinto comma, del d.P.R. n. 570 del 1960, l'Avvocatura generale dello Stato ne ha dedotto parimenti l'infondatezza, affermando la non pertinenza dell'art. 97, primo comma, Cost. - relativo al buon andamento della pubblica amministrazione - alla disciplina del processo e sottolineando che, comunque, appartiene al potere discrezionale del legislatore stabilire, in giudizi di particolare delicatezza, quali quelli relativi al contenzioso elettorale, limitazioni probatorie.

Dinanzi a questa Corte si è costituita pure la parte attrice nel giudizio a quo, deducendo in via pregiudiziale l'inammissibilità della questione relativa all'art. 5 della l. n. 890 del 1982, sostenendo che nessuna "decadenza o improcedibilità" si sarebbe verificata a suo carico.

Nel merito ha chiesto che - ove sia disattesa l'eccezione d'inammissibilità - la questione sia dichiarata fondata.

Quanto alla questione relativa ai poteri probatori del giudice amministrativo nei giudizi elettorali, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata, sottolineando che tali giudizi vertono in materia d'interessi legittimi ed è perciò razionale che i poteri istruttori del giudice siano quelli normalmente previsti per la giurisdizione generale di legittimità degli atti amministrativi.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (sezione staccata di Reggio Calabria) con altra ordinanza, in data 6-7 marzo 1991 - emessa nel corso di un altro giudizio promosso per ottenere l'annullamento di operazioni elettorali relative ad elezioni comunali - ha parimenti sollevato, in riferimento all'art. 97, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 83, n. 11, comma quinto, della legge 16 maggio 1960, n. 570 "nella parte in cui, non derogando ai sistemi probatori ordinari del giudizio davanti alla magistratura amministrativa, limita nei giudizi elettorali alle risultanze documentali i poteri istruttori fruibili per la definizione del merito", rendendo così impossibile procedere all'interrogatorio degli elettori per i quali sia dubbia la legittimità di ammissione a "voto assistito".

Anche nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, perle stesse ragioni indicate nell'atto di intervento nel giudizio promosso con la precedente ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria in data 22 febbraio 1991.

Considerato in diritto

1. I giudizi promossi con le ordinanze indicate in epigrafe hanno per oggetto questioni in parte analoghe; essi vanno pertanto riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (sezione staccata di Reggio Calabria) - nel corso di un giudizio elettorale proposto con ricorso da esso ritenuto improcedibile per difetto dei requisiti (necessari ai sensi dell'art. 83, n. 11, comma primo, ultima parte e comma secondo del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 670, nel testo di cui alla legge 23 dicembre 1966, n. 1147) della notifica entro dieci giorni dalla conoscenza del decreto di fissazione della prima udienza e del deposito della prova dell'adempimento nei dieci giorni dalla notifica - ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art.5, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890. Ciò in quanto tale ultima norma non prevede anche per i giudizi devoluti alla giuridizione amministrativa, come per i giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione, che in caso di notifica a mezzo del servizio postale, la parte possa, già prima della restituzione dell'avviso di ricevimento, farsi consegnare l'originale dell'atto per eseguire il deposito del ricorso, riservandosi di depositare gli avvisi di ricevimento afferenti alle notifiche eseguite anche dopo la scadenza del termine per il deposito del ricorso, senza incorrere in alcuna decadenza.

Secondo il giudice a quo, la diversa disciplina, così posta, per i giudizi amministrativi, sarebbe irragionevole, non trovando giustificazione in alcun elemento di diversità che ne possa costituire valida ratio.

Con la stessa ordinanza - e con altra di più limitato contenuto - il giudice a quo ha sollevato anche questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 97, primo comma, Cost., dell'art. 83, n.11, quinto comma, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nel testo di cui all'art.2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, "nella parte in cui, non derogando ai sistemi probatori ordinari del giudizio avanti alle magistrature amministrative, limita, nei giudizi elettorali, alle risultanze documentali i mezzi fruibili per la definizione del merito".

Al riguardo nelle ordinanze di rimessione si sostiene che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, enunciato dall'art. 97 Cost., va riferito anche all'attività giurisdizionale e sarebbe leso dalla impossibilità di utilizzare, nei giudizi dinanzi ai giudici amministrativi, prove diverse da quelle documentali.

3. Va in linea preliminare respinta l'eccezione proposta - in relazione alla prima delle suddette questioni - dalla parte privata costituita in giudizio, sotto il profilo del difetto di rilevanza, avendo essa infondatamente dedotto di avere compiuto nei termini prescritti gli adempimenti previsti per la regolarità del ricorso dall'art. 83, n. 11, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nel testo di cui alla legge 23 dicembre 1966, n. 1147.

Secondo la prospettazione offerta, in materia di ricorsi elettorali, il citato art. 83, n. 11, prescrive che la notifica del ricorso ai controinteressati deve effettuarsi entro dieci giorni dalla data di conoscenza del provvedimento presidenziale di fissazione dell'udienza, e che nei successivi dieci giorni deve essere compiuto il deposito della copia del ricorso e del decreto con la prova dell'avvenuta notificazione.

Da tali prescrizioni deriverebbe che entro tale ultimo termine siano depositati il ricorso e il decreto e non anche, in caso di notificazione a mezzo posta, l'avviso di ricevimento. Avendo essa parte effettuato tempestivamente i detti adempimenti, la questione proposta sarebbe inammissibile, difettandone la rilevanza.

L'eccezione, è infondata, se la si valuta attraverso il precetto posto dall'art. 83, n. 11 del d.P.R. n. 570 del 1960, e dall'art.4, terzo comma, della legge n. 890 del 1982.

La prima di tali norme dispone, nel secondo comma, che nei dieci giorni dalla notificazione, copia del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza siano depositati dal ricorrente presso la segreteria del giudice adito, "con la prova dell'avvenuta notificazione".

Questo termine è espressamente dichiarato perentorio dal terzo comma, che commina per la sua inosservanza la decadenza dal ricorso. Il citato art. 4, della legge n. 890 del 1982, a sua volta, dispone che "l'avviso di ricevimento costituisce prova dell'eseguita notificazione".

Sulla base di quest'ultima norma la giurisprudenza prevalente ha ritenuto che l'avviso di ricevimento costituisce la sola prova dell'eseguita notificazione a mezzo posta, con la conseguenza che, per il combinato disposto delle due norme su menzionate, occorre depositare anche tale avviso, a pena d'irricevibilità del ricorso, entro lo stesso termine perentorio, Ne deriva la rilevanza della questione, motivata dal giudice a quo in base all'allegazione del mancato rispetto dei termini di deposito previsti dall'art. 83 già ricordato.

4. Quanto al merito della prima delle due questioni, va premesso che l'impugnato art. 5 della legge 20 novembre 1982, n. 890, dispone che "la parte può, anche prima del ritorno dell'avviso di ricevimento, farsi consegnare dall'ufficiale giudiziario l'originale dell'atto, per ottenere l'iscrizione della causa a ruolo o per eseguire il deposito del ricorso o controricorso nei giudizi di cassazione: peraltro, la causa non potrà essere messa in decisione se non sia allegato agli atti l'avviso di ricevimento, salvo che il convenuto si costituisca".

Contrariamente a quanto rileva l'Avvocatura generale dello Stato, tale norma, per la sua chiara lettera, non è applicabile ai giudizi dinanzi ai giudici amministrativi, e in tal senso, infatti, essi si sono pronunciati, anche sulla base di argomenti di ordine sistematico.

La disposizione dell'art. 5 della legge n. 890 del 1982 - sostanzialmente analoga a quella dell'art. 5 del R.D. 21 ottobre 1923, n.2393, che regolava in precedenza le notificazioni a mezzo posta - trova la sua ratio nella necessità d'impedire che la parte interessata, dopo avere provveduto alla notificazione dell'atto di citazione, dell'appello, o del ricorso o controricorso nei giudizi di cassazione, si trovi nell'impossibilità di compiere gli adempimenti processuali successivi (iscrizione della causa a ruolo e deposito del ricorso o controricorso), finchè non sia in possesso dell'originale dell'atto notificato e della ricevuta di ritorno, con le conseguenze sfavorevoli a suo carico.

Tali conseguenze, nel caso del ricorso e del controricorso relativi ai giudizi di cassazione, consistono (art. 369 c.p.c.) nella improcedibilità, ove il deposito non avvenga entro venti giorni dall'ultima notificazione eseguita.

Situazione analoga si verifica nei giudizi dinanzi ai Tribunali amministrativi ed al Consiglio di Stato, poichè a norma dell'art.36 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 e all'art. 21 della l. 6 dicembre 1971, n.1034 - nonchè, come si è visto per i giudizi in materia elettorale a norma dell'art. 83, n. 11, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nel testo di cui alla l. 23 dicembre 1966, n. 1147 - il ricorrente deve depositare l'originale del ricorso presso la segreteria del giudice adito, con la prova delle eseguite notificazioni, entro un breve termine, stabilito a pena di decadenza. Ne deriva che sotto tale aspetto sussiste, in relazione alla necessità di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale, omogeneità di situazioni, tra adempimenti (e sanzioni) relativi al giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, e adempimenti (e sanzioni) relativi ai giudizi dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato, non avendo rilievo, sotto questo aspetto, la diversità dell'oggetto del giudizio.

Da ciò consegue che la mancata estensione, nei giudizi amministrativi, della disciplina posta dall'art. 5, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, contrasta con l'art. 3 Cost., come prospettato dal giudice a quo, non trovando, in presenza di un'eadem ratio, alcuna ragionevole giustificazione, la normativa differenziata nella materia de qua, in relazione ad adempimenti procedurali in tutto analoghi, per finalità, contenuto e modalità.

L'art. 5, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, deve essere pertanto dichiarato illegittimo, nella parte in cui non prevede la sua applicabilità anche ai giudizi dinanzi ai giudici amministrativi, ivi compresi i giudizi elettorali.

5. Non fondata è, invece, l'altra questione, sollevata con riguardo all'art. 97, primo comma, Cost., relativa all'art. 83, n. 11, quinto comma, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nel testo di cui all'art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, in quanto, "non derogando ai sistemi probatori ordinari nel giudizio avanti alle magistrature amministrative", limita, nei giudizi elettorali, alle risultanze documentali i mezzi di prova utilizzabili.

Nella Costituzione l'"ordinamento giurisdizionale" è disciplinato nella parte seconda, titolo quarto, sezione prima, dagli artt. 101 e segg., e le "norme sulla giurisdizione" sono contenute nella seconda sezione di tale titolo, negli artt. 111 e segg..

Questa Corte ha affermato che l'art. 97, primo comma, della Costituzione (che fa parte del titolo primo della parte seconda ed è collocato nella sezione riguardante la pubblica amministrazione), disponendo che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che sia assicurato il buon andamento dell'amministrazione, va riferito anche alla disciplina dell'organizzazione giudiziaria (sentenza n. 86 del 1982). Tale disciplina si applica, oltre che agli uffici amministrativi in senso stretto, anche all'aspetto organizzativo degli uffici preposti all'attività giurisdizionale (sentenza n. 18 del 1989).

Essa concerne la ora detta "organizzazione giudiziaria" in senso stretto, intesa come apprestamento di mezzi personali e strumentali per rendere possibile nel miglior modo l'attuazione della funzione giurisdizionale. In tale concetto di organizzazione non è compreso, in via normale, l'esercizio della funzione. A questo esercizio, dunque, non è riferibile l'art. 97 della Costituzione: il processo, infatti, è momento e modo di attuazione di valori, la cui tutela è assicurata da norme costituzionali secondo principi del tutto specifici, volti a regolare da un lato il diritto di azione e il diritto di difesa, garantendone alle parti l'effettività (artt. 24 e 113 Cost.); dall'altro, a dettare le regole fondamentali relative al concreto esplicarsi della giuridizione, assicurando l'indipendenza e l'imparzialità del giudice (artt. 101 e segg.), la motivazione e il controllo di legalità delle decisioni (art.111).

La disciplina processuale delle prove nei giudizi elettorali, pertanto, non può essere valutata, in sede di giudizio di legittimità costituzionale in relazione al parametro dell'art. 97 della Costituzione, indicato dal giudice a quo.

La questione sollevata sotto tale profilo, deve essere quindi dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, terzo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari), nella parte in cui non prevede la sua applicabilità ai giudizi dinanzi ai giudici amministrativi, ivi compresi i giudizi elettorali;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.83, n. 11, quinto comma, del d.P.R. 16 maggio 1960, n.570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), così come sostituito dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni delle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), sollevata in riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/03/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 30 marzo del 1992.