SENTENZA N. 134
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 119, lett.a), della legge 26 marzo 1958, n. 425 (Stato giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 27 aprile 1990 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Pieri Franco contro l'Ente Ferrovie dello Stato, iscritta al n. 209 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nelle Gazzette ufficiali della Repubblica nn. 14 e 27, prime serie speciali, dell'anno 1991.
Visto l'atto di costituzione di Pieri Franco;
udito nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1992 il Giudice relatore Francesco Greco;
udito l'avvocato Luciano Ventura per Pieri Franco.
Ritenuto in fatto
1. - Franco Pieri, dipendente delle Ferrovie dello Stato, a seguito di condanna penale per associazione sovversiva e banda armata del 23 ottobre 1987, in base all'art. 119, lett. a), della legge 26 marzo 1958, n.425, era destituito di diritto con provvedimento del 1 aprile 1988.
Avverso il detto provvedimento ricorreva al Pretore di Firenze e, avendo questi rigettato il ricorso, appellava al Tribunale di Firenze che rigettava l'impugnazione. Ricorreva, quindi, per Cassazione.
La Corte, con ordinanza del 27 aprile 1990 (R.O. n. 209 del 1991) sollevava questione di legittimità costituzionale del detto art.119, lett. a), della legge n. 425 del 1958, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Osservava che gli effetti del provvedimento di destituzione, attesa la sua natura dichiarativa, risalivano al 23 ottobre 1987 e che all'epoca il rapporto di impiego de quo doveva ritenersi di natura prevalentemente pubblicistica, pur essendo intervenuta la riforma dell'Ente Ferrovie dello Stato con legge n. 210 del 1985, essendo stati emanati solo i regolamenti di organizzazione e non essendo stati ancora stipulati i contratti collettivi per effetto dei quali il rapporto era divenuto privato (3 febbraio 1988).
Conseguentemente, trovava applicazione la norma censurata la quale, però, era costituzionalmente illegittima perchè prevedeva la destituzione automatica del pubblico dipendente senza l'espletamento del procedimento disciplinare che avrebbe consentito l'applicazione del principio, di ordine generale, della graduazione della sanzione in relazione alla gravità del fatto e alle sue modalità (sent. n. 971 del 1988).
Nella postilla della stessa ordinanza riteneva che, non trattandosi di un rapporto di impiego pubblico, non era applicabile la legge n. 19 del 1990, che aveva modificato le norme regolatrici della destituzione di diritto dei pubblici dipendenti abolendo la destituzione automatica e prevedendo il previo esperimento del procedimento disciplinare.
2. - L'ordinanza era regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
2.1. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si costituiva il Pieri aderendo al petitum della Corte Suprema.
3. - Era disposta la trattazione del ricorso nella camera di consiglio, nella imminenza della quale il Pieri chiedeva la remissione alla udienza pubblica.
4. - Si è altresì disposta (7 giugno 1991) la ripubblicazione della ordinanza di rimessione, in quanto il testo pubblicato precedentemente era privo della postilla.
Considerato in diritto
1. - La Corte deve verificare se l'art. 119, lett. a, della legge 26 marzo 1958, n. 425, il quale prevede per i dipendenti dell'Ente Ferrovie, in caso di condanna definitiva per uno dei reati indicati nella stessa norma, la destituzione di diritto senza il previo esperimento del procedimento disciplinare, violi l'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che si verifica nei confronti di altri dipendenti pubblici per i quali è prevista la detta garanzia procedimentale.
2. - La questione è inammissibile.
La Corte remittente ha considerato che all'epoca del provvedimento di destituzione, risalente all'ottobre 1987, il rapporto di impiego del ricorrente con l'Ente Ferrovie era ancora di natura pubblicistica, perchè non era ancora operativa di effetti la riforma dell'Ente Ferrovie intervenuta con la legge n. 210 del 1985; infatti, erano stati emanati solo i regolamenti di organizzazione e non erano stati ancora stipulati i contratti collettivi, che hanno operato in concreto la trasformazione del rapporto da pubblico a privato ad iniziare dal 3 febbraio 1988.
In tale situazione, quindi, trova applicazione la legge 7 febbraio 1990, n.19, nonostante che la Corte remittente, nella postilla apposta all'ordinanza di remissione, abbia ritenuto, con evidente contraddizione, la inapplicabilità della detta legge non essendo il rapporto de quo di natura pubblicistica.
3. - Trovano, quindi, applicazione i principi già affermati da questa Corte (sent. n. 415 del 1991), secondo cui con la suddetta legge il legislatore ha inteso dare alla materia della destituzione del pubblico dipendente una generale ed uniforme disciplina e risolvere i problemi insorti a seguito della sentenza n. 971 del 1988, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme che, per rapporti di impiego pubblico, comminavano la destituzione di diritto senza il previo esperimento del procedimento disciplinare.
Si è trattato, in sostanza, di un complesso normativo che, ai suddetti fini, ha previsto misure che consentono una più equa considerazione delle ragioni del pubblico dipendente destituito e di quelle della pubblica amministrazione, dirette a condizionare il recupero dell'impiegato alle necessarie garanzie amministrative. Esse hanno come momento iniziale anzitutto l'abrogazione delle precedenti norme disciplinatrici della destituzione automatica, poi la cessazione della destituzione automatica, e, come momento finale, la rideterminazione dello status del dipendente a seguito della valutazione della sua condotta a mezzo di un procedimento disciplinare; sicchè, il dipendente è recuperato all'amministrazione se l'esito del procedimento disciplinare lo consente.
In particolare, per le posizioni caratterizzate, come quella in esame, dalla comminazione della destituzione, contro la quale sia stata proposta impugnativa ed il relativo giudizio sia ancora pendente, è del pari applicabile la nuova legge quale espressione di una esigenza di pubblico interesse alla concreta definizione delle situazioni pendenti e, come tale, regolatrice della materia con i limiti e i termini specifici del giudizio disciplinare.
3.1 - Pertanto, alla stregua della suddetta legge, la questione sollevata difetta di rilevanza, essendosi censurata una disposizione ormai abrogata, avendo la nuova disciplina sostituito integralmente quella precedente, sorretta dalla ratio dell'automatismo destitutivo, con un sistema sostanziale e procedimentale nuovo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 119, lett. a), della legge 26 marzo 1958, n. 425 (Stato giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/03/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Francesco GRECO, Redattore
Depositata in cancelleria il 27 marzo del 1992.