Sentenza n. 415 del 1991

 

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SENTENZA N. 415

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, lett. b) del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1990 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia sul ricorso proposto dal Questore di Ragusa p.t. ed altro contro Giacomo Pampallona, iscritta al n. 324 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale dell'anno 1991;

 

Udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

Nel prendere cognizione - in sede di appello - di un provvedimento di destituzione di diritto di un agente della polizia di Stato, emanato prima dell'entrata in vigore della legge 10 ottobre 1986, n. 668, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, con ordinanza 29 dicembre 1989, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, lett. b), del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, che prevedeva la destituzione di diritto del dipendente che, a seguito di condanna penale, fosse stato interdetto anche temporaneamente dai pubblici uffici.

 

Con ordinanza n. 403 del 1990, questa Corte restituiva gli atti all'anzidetto Consiglio per il riesame della rilevanza della questione alla luce della legge 7 febbraio 1990, n. 19, contenente una nuova disciplina della riammissione in servizio del dipendente destituito.

 

Il Consiglio di giustizia amministrativa, con ordinanza 20 dicembre 1990, ha nuovamente sollevato la stessa questione, osservando che l'eventuale declaratoria di illegittimità del già richiamato art. 8, nel suo testo originario, condurrebbe all'annullamento, da parte dello stesso Consiglio, del provvedimento di destituzione emanato il 29 gennaio 1985, col conseguente diritto dell'interessato alla integrale ricostruzione ex tunc della carriera. La riammissione in servizio, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 19 del 1990, comporta invece la reintegrazione nel ruolo "con la qualifica, il livello e l'anzianità posseduti alla data di cessazione dal servizio", operando quindi con effetto ex nunc. Permarrebbe dunque, ad avviso del giudice remittente, la rilevanza della questione, già sollevata in data 29 dicembre 1989 e ora riproposta.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, lett. b), del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, nel testo vigente prima dell'entrata in vigore delle leggi 10 ottobre 1986, n. 668, e 7 febbraio 1990, n. 19.

 

La norma impugnata prevedeva la destituzione di diritto dell'appartenente ai ruoli dall'Amministrazione della pubblica sicurezza a seguito di condanna penale che comportasse l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici.

 

La questione, pur dopo le menzionate leggi n. 668 del 1986 e n. 19 del 1990, conserverebbe la propria rilevanza perché l'eventuale accoglimento condurrebbe all'annullamento del provvedimento destitutivo, con il conseguente diritto dell'interessato ad una integrale ricostruzione ex tunc della carriera sotto il profilo sia giuridico che economico. L'applicazione dell'art. 10 della legge n. 19 del 1990 porterebbe invece alla meno favorevole reintegrazione nel ruolo con la qualifica, il livello e l'anzianità posseduti alla data di cessazione del servizio. Donde l'interesse del pubblico dipendente "a vedere decisa la questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza n. 504 del 1989".

 

2. - La questione è da dichiararsi irrilevante.

 

Con la normativa posta dalla legge n. 19 del 1990 il legislatore ha inteso dare una generale ed uniforme disciplina alla materia della destituzione del pubblico dipendente e risolvere altresì i problemi insorti a seguito della sentenza di questa Corte n. 971 del 1988 (preceduta da altre decisioni), che aveva dichiarato l'illegittimità di numerose norme che comminavano la destituzione di diritto, invece che l'apertura del procedimento disciplinare, con le possibili, diversificate sanzioni, in relazione alle specifiche situazioni.

 

A tal fine, la legge n. 19 provvede con gli articoli 9 e 10. Con il primo di essi definisce la nuova normativa, in base alla quale il pubblico dipendente può essere destituito a seguito di condanna penale soltanto all'esito del procedimento disciplinare, che viene assoggettato a termini rigorosi (centottanta giorni per il promovimento del giudizio disciplinare, novanta giorni per la sua definizione), diretti a limitare nel tempo la situazione di incertezza che tocca sia la p.a. che il soggetto implicato.

 

L'art. 10, a sua volta, detta una coerente disciplina intertemporale, che predispone un'adeguata tutela per il soggetto già incorso nella destituzione di diritto, prevedendone la riammissione in servizio, a domanda. Il legislatore si è preoccupato, contestualmente, di realizzare il pubblico interesse, inteso a conservare alla p.a. il personale, la cui condotta sia riconosciuta non incompatibile con le esigenze del servizio. Si tratta, in sostanza, di un complesso normativo, diretto ad attuare un assetto definitivo di situazioni, già definite con l'inflizione di un provvedimento destitutivo, contrastato dalle ricordate pronunce di incostituzionalità e dalla nuova legge, attraverso misure sorrette da una più equa considerazione delle ragioni del pubblico dipendente destituito e di quelle della p.a., volte a condizionare il recupero dell'impiegato alle necessarie garanzie amministrative, da definire con particolare rapidità.

 

Da tale normativa si desume innanzitutto che con la presentazione, da parte del pubblico dipendente destituito, della domanda di riammissione in servizio (art. 10, comma 2), cessa la sanzione inflitta e sorge la potestà della p.a. di promuovere un nuovo procedimento disciplinare entro i rapidi termini innanzi indicati.

 

La nuova disciplina sostituisce integralmente quelle precedenti, le quali erano sorrette dalla ratio dell'automatismo destitutivo, abrogato espressamente dalla legge n. 19 e integralmente sostituito dal nuovo sistema.

 

Si regola così in modo organico, generale ed uniforme la delicata materia della destituzione ex lege con riguardo ad ogni categoria di pubblici dipendenti.

 

3. - Sulla scorta della nuova normativa, posta dalla legge n. 19, appare opportuno fissare il quadro delle posizioni dei dipendenti destituiti.

 

Per le posizioni, già definite con il provvedimento destitutivo, l'amministrazione provvede all'apertura di un nuovo procedimento disciplinare, sul presupposto della estinzione della sanzione a seguito della presentazione della domanda di riammissione in servizio.

 

Il nuovo procedimento rientra nel dominio della legge n. 19, vigente fin dal momento della sua instaurazione. Tale legge, per effetto dell'espressa abrogazione, dalla sua entrata in vigore, di "ogni contraria disposizione di legge" (art. 9, primo comma, l. cit.) è la sola competente a regolare la materia oggetto del rinnovato giudizio.

 

Per le posizioni, rispetto alle quali il procedimento disciplinare è in corso (ad esse si riferiscono il secondo comma dell'art. 9 e il terzo comma dell'art. 10 della legge n. 19 quando fanno riferimento ai procedimenti che debbono essere "proseguiti"), è del pari applicabile alla legge n. 19, come è espressamente previsto dalle norme ora dette che stabiliscono - facendo riferimento al nuovo procedimento - che esso deve essere proseguito e definito nei termini ristretti e perentori dalle norme stesse sanciti.

 

Le situazioni in via di svolgimento vanno regolate secondo un disegno unitario e uniforme per tutte le categorie degli interessati, per pervenire a soluzioni eque e rapide, cessata ogni diversificazione di trattamento sostanziale e formale, consentita, invece, dalle precedenti normative.

 

Per le posizioni, infine, caratterizzate dall'inflizione della destituzione, contro la quale sia stata esperita impugnativa (e il relativo giudizio sia ancora pendente: situazione, questa, che caratterizza la fattispecie), è del pari applicabile la nuova legge, che - come si è posto in luce - è espressione di una rilevante esigenza di pubblico interesse alla concreta e rapida definizione delle situazioni pendenti e, come tale, regola la materia prevalendo su ogni altra precedente, fissando limiti e termini specifici al giudizio.

 

Si realizza così un sistema normativo, sostanziale e procedimentale, che ha come momento iniziale la cessazione dell'atto destitutivo e come momento finale la rideterminazione dello status del dipendente, a seguito della rinnovata valutazione della sua condotta. La nuova disciplina agevola il dipendente, facendo cessare la destituzione, e lo recupera all'amministrazione tutte le volte che il procedimento disciplinare lo consente. Si realizza, così, un trattamento unitario di tutte le pregresse posizioni di destituzione, con l'impossibilità di perseguire soluzioni differenziate dal modello descritto. Si impedisce inoltre la prosecuzione dell'impugnativa in corso con le (eventuali) pronunce di annullamento. Anche le posizioni ad esse relative vengono assorbite nel disegno unificatore, ispirato al perseguimento delle già dette esigenze pubbliche e si consente al dipendente, già destituito e riammesso ai sensi dell'art. 10, secondo e terzo comma, legge n. 19, di essere "reintegrato nel ruolo, con la qualifica, l livello e l'anzianità posseduti alla data di cessazione del servizio" (art. 10 cit., quarto comma).

 

Il contenuto e gli effetti della normativa posta dalla nuova legge costituiscono l'elemento fondamentale del giudizio di rilevanza della questione di costituzionalità proposta alla Corte. Il giudice a quo si è limitato a considerare l'interesse del dipendente ad ottenere i benefici della eventuale pronuncia di annullamento. Vale in segno contrario, oltre a quanto si è già osservato, il richiamo all'insegnamento di questa Corte, la quale ha affermato, (cfr. sent. 20 luglio 1990, n. 344) che "secondo una giurisprudenza consolidata, la rilevanza di una determinata questione di costituzionalità va valutata, non già in relazione agli ipotetici vantaggi di cui potrebbero beneficiare le parti in causa, ma, piuttosto, in relazione alla semplice applicabilità nel giudizio a quo della legge di cui si contesta la legittimità costituzionale e, quindi, alla influenza che sotto tale profilo il giudizio di costituzionalità può esercitare su quello dal quale proviene la questione".

 

Non appare, quindi, pertinente l'argomentazione del giudice a quo circa la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'abrogato art. 8, primo comma, lett. b) del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, lett. b) del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 6 novembre 1991.

 

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 19 novembre 1991.