Sentenza n. 50 del 1992

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SENTENZA N. 50

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni in materia postale di bancoposta e di telecomunicazioni) promosso con ordinanza emessa il 28 dicembre 1990 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra S.p.a. LI.CO.SA. (Libre Commissionaria Sansoni) e Ministero delle Poste e telecomunicazioni iscritta al n. 208 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di costituzione della S.p.a. LI.CO.SA.;

udito nell'udienza pubblica del 19 novembre 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'avvocato Umberto Fortini per la S.p.a. LI.CO.SA.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio civile, promosso dalla S.p.a. LI.CO.SA. (Libreria Commissionaria Sansoni) contro il Ministero delle poste e telecomunicazioni per ottenere il risarcimento del danno sofferto a causa del mancato arrivo a destinazione di due lettere raccomandate contenenti assegni bancari, poi risultati incassati da persone diverse dai beneficiari, il Pretore di Firenze, con ordinanza del 28 dicembre 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (c.d. codice postale).

Le norme denunciate limitano la responsabilità dell'Amministrazione postale per la perdita di corrispondenze raccomandate al pagamento di una indennità, attualmente fissata nella misura di dieci volte l'importo del diritto fisso di raccomandazione. Ad avviso del giudice remittente, esse violano: a) l'art. 3 Cost. perchè attribuiscono all'Amministrazione un privilegio ingiustificato, attesa la natura contrattuale del rapporto con gli utenti del servizio; b) l'art. 28 Cost., perchè l'Amministrazione non risponde dei danni conseguenti alla perdita delle raccomandate nemmeno nel caso che essa abbia "luogo per fatto criminoso dei suoi dipendenti nell'esercizio delle loro funzioni"; c) l'art. 113 Cost., giacchè i limiti di responsabilità sottraggono determinati atti e comportamenti della pubblica amministrazione al sindacato (e alla tutela) giurisdizionale.

A sostegno della censura sub a) viene invocata la sentenza n.303 del 1988 di questa Corte.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la Società attrice, sviluppando argomentazioni analoghe a quelle dell'ordinanza di rimessione e integrandone i richiami di giurisprudenza con riferimenti anche alla successiva sentenza n. 1104 del 1988, nonchè a pronunce della Corte di cassazione che ribadiscono la natura privatistica dei rapporti tra gli utenti e l'Amministrazione postale.

Considerato in diritto

1. Dal Pretore di Firenze è sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (codice postale), "per possibile contrasto con gli artt. 3, primo comma, 28 e 113 della Costituzione, in quanto stabiliscono che il Ministero delle poste e telecomunicazioni non è tenuto ad alcuna forma di risarcimento verso l'utenza oltre l'indennità prevista dall'art. 28 dello stesso decreto presidenziale, nel caso di mancato recapito o manomissione di raccomandata".

2. In riferimento agli artt. 3 e 113 Cost. la questione non è fondata.

Che il rapporto dell'Amministrazione delle poste con gli utenti abbia natura contrattuale e sia perciò fondamentalmente soggetto al regime del diritto privato (sent. n. 303 del 1988) non è una premessa sufficiente per dedurre che, in caso di perdita di una corrispondenza raccomandata, l'Amministrazione deve essere assoggettata a responsabilità per il pieno risarcimento dei danni, secondo la regola generale dell'art. 1218 cod. civ.

Come ha precisato ulteriormente la sent. n. 1104 del 1988, questo dato non conduce di per sè ad escludere la possibilità di configurare una disciplina speciale, ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria in rapporto tanto alla complessità tecnica della gestione quanto all'esigenza del contenimento dei costi. Non vale richiamare il precedente della sentenza n. 303 del 1988, perchè il caso su cui verte il giudizio a quo non può essere paragonato al caso che ha dato luogo a quella sentenza, nel quale il mittente (Banca d'Italia) era legalmente tenuto a usare la forma della corrispondenza raccomandata.

Nè si può obiettare che le norme denunciate, in quanto riducono la responsabilità dell'Amministrazione a una somma pari a dieci volte l'importo del diritto di raccomandazione, non rispettano la condizione che la somma-limite della responsabilità sia fissata in misura tale da garantire in ogni caso un ristoro serio e non fittizio del danno.

La misura dell'indennizzo (conforme all'art. 50, n. 4, della Convenzione postale universale, resa esecutiva con d.P.R. 11 febbraio 1981, n. 358) è correlativa al basso prezzo del servizio di raccomandazione, la cui funzione istituzionale è quella di fornire un mezzo di prova facilmente accessibile della spedizione e dell'arrivo a destinazione di una lettera o di un plico, non la funzione di mezzo di trasporto di oggetti di valore. Se l'utente include nella corrispondenza raccomandata carte-valore, pur nei limiti in cui ciò non è vietato dall'art. 83 del codice postale (che vieta solo l'inclusione di titoli esigibili al portatore), egli usa il servizio per uno scopo estraneo alla causa del contratto, e quindi a suo rischio e pericolo.

Se non intende correre questo rischio e garantire il contenuto della corrispondenza deve scegliere, pagando un corrispettivo adeguato, la forma dell'assicurazione convenzionale, che comporta l'assunzione, da parte dell'Amministrazione, di responsabilità commisurata al valore dichiarato.

L'art. 113 Cost. è richiamato fuori di proposito. Le norme denunciate non impediscono la tutela giurisdizionale del diritto dell'utente contro atti dell'Amministrazione postale, bensì limitano il diritto per il quale la tutela può essere invocata.

3. In riferimento all'art. 28 Cost. la questione è inammissibile per difetto di rilevanza.

Nel corso della sua argomentazione il giudice remittente osserva che l'Amministrazione postale è esonerata da responsabilità per il pieno risarcimento dei danni "pure nell'ipotesi che la perdita delle raccomandate abbia luogo per fatto criminoso dei suoi dipendenti, nell'esercizio delle loro mansioni". Ma egli non formula una autonoma questione di legittimità costituzionale riferita a questo caso specifico, nè dalla narrativa di fatto risulta in qualche modo che di questo caso si tratti nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle disposizioni in materia postale di bancoposta e di telecomunicazioni), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dei medesimi articoli del testo unico citato, sollevata, in riferimento all'art.28 della Costituzione, dal Pretore sopra nominato con la stessa ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/02/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 febbraio del 1992.