SENTENZA N. 423
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 5 marzo 1963, n. 246 (Istituzione di una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili; modificazioni al testo unico per la finanza locale, approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, e al regio decreto-legge 28 novembre 1938, n. 2000 convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739), promosso con ordinanza emessa il 21 febbraio 1991 dal Tribunale di Genova nel procedimento vertente tra il Comune di Arenzano e De Filippo Enrico ed altri, iscritta al n. 354 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visti gli atti di costituzione di De Filippi Enrico ed altri e del Comune di Arenzano;
Udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1991 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;
Uditi l'avv. Paride Costa per De Filippi Enrico ed altri e l'avv. Cesare Glendi per il Comune di Arenzano;
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 21 febbraio 1991 il Tribunale di Genova, nel procedimento civile vertente tra il Comune di Arenzano e De Filippo Enrico ed altri, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5 della legge 5 marzo 1963, n. 246 (Istituzione di una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili; modificazioni al testo unico per la finanza locale, approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, e al regio decreto-legge 28 novembre 1938, n. 2000, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739), nonché della legge nel suo complesso, nella parte in cui, stabilendosi che l'incremento di valore imponibile è dato dalla differenza tra il valore iniziale ed il valore finale, non è previsto "che venga detratto da detta differenza l'ammontare percentuale corrispondente, anche se in parte, alla diminuzione che ha subito il valore della moneta per l'effetto dell'inflazione tra il momento a cui si riferisce il valore iniziale e il momento a cui si riferisce il valore finale; nonché nella parte in cui consente ai comuni di determinare autonomamente e liberamente il momento iniziale, per contrasto con gli artt. 3, 23 e 53 Cost.".
Il Collegio a quo assume che l'imposta in questione finisce inevitabilmente per colpire l'aumento dovuto alla sola svalutazione, prescindendo da un incremento realmente esistente.
Viene richiamata la successiva vicenda relativa alla istituzione dell'imposta comunale per incremento di valore sugli immobili (INVIM), ravvisata per molti aspetti analoga, in merito alla quale la Corte ritenne di respingere dubbi di costituzionalità simili a quelli odierni (sentenza n. 126 del 1979), considerandosi che nel caso odierno non sarebbe stata prevista alcuna detrazione, quale correttivo del fenomeno inflattivo, in violazione quindi dell'art. 53 Cost.
La normativa impugnata sarebbe infine incostituzionale anche sotto il profilo dell'ampia possibilità da parte del Comune di fissare il valore iniziale di riferimento in un arco temporale "abbastanza esteso", con conseguente disparità di trattamento per contribuenti residenti in territori comunali diversi e in contrasto con gli artt. 3 e 23 Cost.
2. - Si sono costituiti in giudizio i contribuenti interessati associandosi alle censure espresse dall'ordinanza di rimessione. È stata posta in evidenza, in particolare, la disparità di trattamento derivante dall'adozione da parte dei Comuni di criteri differenti di valutazione del valore intermedio.
Il Comune di Arenzano, pure costituitosi, ha concluso per la manifesta infondatezza della questione sollevata.
Si deduce che "la tassazione dovuta al fenomeno inflattivo non è di per sé contraria al principio della capacità contributiva" (art. 53 Cost.) trovando, "al contrario, fondamento in una esigenza redistributiva"; "colpendo con uno specifico prelievo i soggetti che grazie alla titolarità dei beni-rifugio e in particolare dei beni immobili sono sfuggiti al prelievo inflazionistico subito da altri", si attuerebbero infatti proprio gli invocati principi di effettiva uguaglianza e di capacità contributiva.
Viene richiamata la sentenza della Corte n. 126 del 1979, osservando che comunque spetterebbe al legislatore, nell'ambito di scelte politiche riservate alla sua discrezionalità, di tener conto degli effetti della svalutazione della moneta ai fini della tassazione.
Quanto alla questione relativa ai poteri concessi ai Comuni di determinazione del momento iniziale ai fini del calcolo dell'imposta in parola, tali poteri troverebbero giustificazione nella diversità dei territori e quindi nella disomogeneità degli incrementi di valore. Inoltre sarebbero stati posti dal legislatore specifici limiti ("tipi di comuni" e "ambiti temporali del periodo di riferimento"), così che il margine di scelta in un regime di "predeterminazione normativa" non sarebbe in contrasto con l'art. 23 Cost.
Considerato in diritto
1.1 - La legge 5 marzo 1963, n. 246 istituì una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, dettando le relative modalità di applicazione.
Tale normativa venne abrogata, in tempo successivo, con l'art. 32 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e l'introduzione della diversa imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili (INVIM).
1.2 - Il Collegio a quo si duole che la legge non avesse tenuto conto, mediante appositi correttivi, dei valori dell'inflazione ed in particolare, poi, che fosse stato attribuito ai Comuni di stabilire autonomamente il momento iniziale di determinazione dell'incremento, sì da ingenerare, ai fini dei valori tassabili, differenze tra un ente impositore e l'altro.
Tutto ciò secondo l'ordinanza contrasterebbe quanto agli effetti inflattivi, di cui la norma non mostra d'avere tenuto conto, con l'art. 53 della Costituzione, mentre la diversità nei termini impositivi tra comuni avrebbe violato gli artt. 3 e 23 precedenti.
2.1 - La questione non è fondata.
La Corte ebbe già a ritenere la normativa in parola coerente con i contenuti degli artt. 3 e 23 della Costituzione. Si osservava (sentenza n. 44 del 1966) che il sistema adottato rispondeva ad assicurare una imposizione atta a rispecchiare la situazione propria a ciascun Comune, lungi in tal modo da pretese violazioni del principio d'eguaglianza. Né gli enti impositori avevano a fruire di un potere illimitato, tale da porsi in contrasto con la riserva di legge garantita dall'art. 23.
Le suesposte considerazioni vanno tuttora ritenute valide, nulla essendovi da manifestare in contrasto e, si badi bene, ora per allora.
2.2 - Non sussiste neppure l'asserita violazione dell'art. 53, dal momento che valgono le considerazioni in generale della richiamata sentenza n. 44 secondo cui l'aver assoggettato determinate categorie di contribuenti, obiettivamente determinate, al pagamento dell'imposta in parola non risultava, per ciò stesso, in violazione dei principi tutelati con il ridetto art. 53.
D'altronde, se è vero che la successiva normazione dal 1972, sopra richiamata, riconobbe e introdusse meccanismi di salvaguardia dei fenomeni inflattivi, con le vicende che ne seguirono (cfr. sentenze n. 126 del 1979 e n. 239 del 1983) tutto questo concerne un sistema d'imposizione successivo e diverso che non può certo essere riferito - come sembra invece trasparire dall'ordinanza di rimessione - ai contenuti di una normativa antecedente - quella ora in esame - recante criteri applicativi propri alle finalità cui era chiamata ad assolvere.
Conclusivamente, pertanto, la questione va dichiarata non fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5 della legge 5 marzo 1963, n. 246 (Istituzione di una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili; modificazioni al testo unico per la finanza locale, approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, e al regio decreto-legge 28 novembre 1938, n. 2000, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739), nonché della legge nel suo complesso, in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Genova con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 22 novembre 1991.