SENTENZA N. 364
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 35, terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori), promosso con ordinanza emessa il 28 gennaio 1991 dal Pretore di Firenze nel procedimento civile vertente tra Cuomo Gaetano e S.p.A. Lloyd Triestino di Navigazione, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di costituzione di Cuomo Gaetano;
Udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
Udito l'avvocato Giulio Cevolotto per Cuomo Gaetano;
Ritenuto in fatto
Il Pretore di Firenze - nel corso di un procedimento civile avente ad oggetto l'impugnazione del licenziamento di un lavoratore marittimo che si asseriva avvenuto per motivi disciplinari, senza la preventiva contestazione dell'addebito - con ordinanza 28 gennaio 1991 ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 35, terzo comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300.
Nell'ordinanza si rileva che l'art. 35, terzo comma, suddetto rende applicabile la normativa dell'art. 7 della stessa legge alle imprese di navigazione solo nei limiti e modi previsti dai contratti collettivi. Il contratto collettivo applicabile nel caso di specie attribuisce al lavoratore, licenziato per motivi disciplinari, una tutela successiva e, pertanto, meno efficace di quella prevista in via generale dall'art. 7.
La rimessione alla contrattazione collettiva della tutela del lavoratore marittimo, in relazione alle sanzioni disciplinari, secondo il giudice a quo, appare lesiva dell'art. 3 Cost., consentendo deroghe ingiustificate al principio generale dell'ordinamento - comune al diritto pubblico e al diritto privato - della preventiva contestazione degli addebiti ai fini dell'irrogazione di sanzioni disciplinari. Ciò tanto più dopo che la Corte costituzionale ha affermato l'inidoneità della contrattazione collettiva, esplicatasi ai sensi dell'art. 35, terzo comma, della l. n. 300 del 1970, a tutelare diritti soggettivi essenziali dei lavoratori, nonostante la sostanziale omogeneità tra la posizione, oggetto di garanzia, dei lavoratori marittimi rispetto alla generalità degli altri lavoratori.
Si è costituito dinanzi a questa Corte il lavoratore marittimo che aveva promosso il giudizio a quo, sottolineando che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha ritenuto già applicabili, in ogni caso, anche ai lavoratori marittimi la garanzia della previa contestazione dell'addebito disciplinare e del termine per difendersi. Ha chiesto, pertanto, che la questione sia dichiarata non fondata, con sentenza interpretativa di rigetto, la quale tenga conto del già avvenuto riconoscimento, anche ai lavoratori nautici, delle garanzie in questione. In via subordinata conclude per la declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 35, terzo comma, della l. n. 300 del 1970, nella parte impugnata. Nella discussione orale ha specificato la richiesta insistendo nella declaratoria di incostituzionalità della norma anzidetta.
Considerato in diritto
1. - La questione sottoposta alla Corte consiste nello stabilire se l'art. 35, terzo comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300, nella parte in cui non consente l'immediata applicabilità al personale navigante delle imprese di navigazione, dell'art. 7, commi primo, secondo e terzo, della stessa legge, contrasti con l'art. 3 Cost., discriminando ingiustificatamente rispetto agli altri lavoratori il personale navigante, al quale le garanzie previste dall'art. 7 sarebbero applicabili se e nei limiti in cui lo preveda la contrattazione collettiva.
Per meglio chiarire l'oggetto della questione, è da porre in luce che l'art. 7 della l. n. 300 cit., nel primo comma, stabilisce il principio della pubblicità delle infrazioni e delle sanzioni disciplinari; nel secondo comma, la garanzia della preventiva contestazione dell'addebito e della difesa; nel terzo comma, afferma il principio dell'assistenza dell'associazione sindacale.
A sua volta, l'art. 35, terzo comma, della l. n. 300 statuisce (sempre nei confronti del personale navigante delle "imprese di navigazione") la immediata operatività di alcune norme dello statuto dei lavoratori, rimettendo ai contratti collettivi l'applicazione dei principi posti da altri articoli dello stesso statuto: tra essi, quelli contenuti nell'art. 7. Di qui la lamentata discriminazione del personale navigante rispetto agli altri lavoratori, nei confronti dei quali l'art. 7 cit. è pienamente operante.
2. - La questione è fondata.
Con la sentenza n. 204 del 1982 questa Corte affermò la illegittimità, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 7 della l. n. 300 del 1970, interpretati nel senso della loro inapplicabilità ai licenziamenti disciplinari, quando non fossero stati espressamente richiamati dalla disciplina posta dalla legge, dalla contrattazione collettiva o (validamente) dal datore di lavoro.
I princìpi, che sono a fondamento di questa decisione, indussero la Corte di cassazione ad approfondire il tema della qualificazione del licenziamento disciplinare ("di per sé la più grave delle sanzioni disciplinari") e a precisare che il rispetto dei princìpi costituzionali non può essere subordinato alla esistenza di un dato puramente formale, quale l'espresso richiamo dell'art. 7 dello statuto, come era ritenuto dalla giurisprudenza anteriore. Si pervenne così a sancire la natura "ontologica" del licenziamento disciplinare, riferito ai comportamenti imputabili a titolo di colpa (intesa in senso generico) al lavoratore. Tale licenziamento veniva a coprire sia l'area del licenziamento per giustificato motivo soggettivo (notevole inadempimento), sia, in parte, quella del licenziamento per giusta causa. Esso si qualificava "come disciplinare" indipendentemente dalla sua inclusione tra le sanzioni disciplinari e non poteva effettuarsi senza le garanzie previste per le misure (disciplinari) non espulsive.
3. - È opportuno, poi, rilevare che la Cassazione, interpretando con visione avanzata l'indirizzo segnato dalla Corte costituzionale, ha già ritenuto in alcune sentenze la immediata applicabilità al personale navigante delle "imprese di navigazione" delle garanzie previste dai primi tre commi dell'art. 7 della l. n. 300 del 1970. E ciò ha indotto il marittimo (cambusiere), del cui licenziamento si discute, a richiedere una pronuncia interpretativa.
Osserva la Corte che la questione non è, di per sé, risolvibile in conseguenza delle sentenze n. 96 del 1987 e n. 41 del 1991, dato che tali decisioni si sono riferite, la prima, al licenziamento ad nutum, con riguardo agli artt. 10 della l. n. 604 del 1966 e 35, terzo comma, della l. n. 300 del 1970, nella parte in cui escludono l'applicabilità al personale marittimo navigante delle "imprese di navigazione" della intera legge n. 604 del 1966 e dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori; la seconda, all'applicabilità al personale navigante del complesso normativo ora indicato e, in particolare, dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori, come modificato dall'art. 1 della l. 11 maggio 1990, n. 108. Inoltre, la sentenza n. 41 del 1991 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 916 c.nav. e, di conseguenza, in base all'art. 27 della l. n. 87 del 1953, dell'art. 345 c.nav.: queste norme attribuivano all'esercente e all'armatore la facoltà di risolvere "in qualunque tempo e luogo" il contratto di lavoro a bordo.
Dal quadro giurisprudenziale, così riassunto, emerge l'attuale operatività dell'art. 35, terzo comma, della l. n. 300 cit.; esso è norma del diritto speciale, che non è stata toccata dall'art. 6, primo comma, della l. n. 108 del 1990 (cfr. sent. n. 41 del 1991 di questa Corte). L'attuale impugnativa si riferisce alla parte della disposizione che rinvia ai contratti collettivi di lavoro per l'applicabilità al personale navigante dei principi sanciti dall'art. 7 dello statuto in materia disciplinare.
Quest'ultima norma, per effetto del terzo comma dell'art. 35 dello stesso statuto, continua a non essere operante nei confronti di tale personale, in carenza della contrattazione collettiva.
Il carattere speciale della norma la fa prevalere, in base all'art. 1 c.nav., sulla disciplina dello statuto dei lavoratori, che è legge generale (cfr. sent. n. 41 del 1991 cit.). Ne risulta un ostacolo all'attuazione della tutela, in caso di provvedimenti disciplinari nei confronti del personale navigante, compreso tra essi il licenziamento "ontologicamente" disciplinare, del quale si discute nel caso concreto.
Viene in essere, così, una situazione, che, oltre a porsi in contrasto con fondamentali esigenze di garanzia del lavoratore, appare sprovvista di tutela perfino nel momento del contraddittorio, che esprime un valore essenziale per la persona del lavoratore.
Questa specifica mancanza di tutela (insieme con le omissioni in materia di informazione, di pubblicità, di procedimento e di assistenza) concerne diritti inviolabili e fa emergere l'esigenza, già sancita da questa Corte, di non affidarne l'attuazione, nei riguardi del personale navigante, alla mediazione dei contratti collettivi.
Il rinvio operato dal legislatore a tali contratti confligge sicuramente con l'art. 3 della Costituzione, in quanto condiziona la garanzia in materia disciplinare alla produzione dell'autonomia collettiva che, oltre ad essere eventuale, non si è finora rivelata idonea (anche per la disparità, eccepita in causa, tra il regime dell'armamento c.d. pubblico e di quello privato) ad evitare una ingiustificata discriminazione dei lavoratori nautici rispetto a quelli comuni.
Gli artt. 2 e 24 della Costituzione esigono che al personale navigante, in caso di licenziamento disciplinare, sia garantita la pretesa alla tutela, sostanziale e procedimentale assicurata dalla legge ai lavoratori comuni. Ne deriva la illegittimità costituzionale dell'art. 35, terzo comma, dello statuto dei lavoratori, per la mancata diretta applicabilità, che esso determina, dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 7 dello stesso statuto al personale navigante delle "imprese di navigazione".
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, terzo comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori) nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al personale navigante delle "imprese di navigazione" dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 7 della medesima legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 23 luglio 1991.