SENTENZA N. 284
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Prof. Giuseppe BORZELLINO “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 2- bis del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 1990, n. 403, promossi con ricorsi delle Regioni Toscana, Lombardia e Liguria, notificati il 28 gennaio 1991, depositati in cancelleria il 1°, 4 e 5 febbraio 1991 ed iscritti ai nn. 2, 3 e 4 del registro ricorsi 1991;
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 1991 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
Uditi gli Avvocati Alberto Predieri per la Regione Toscana, Valerio Onida per la Regione Lombardia, Paolo Zanchini per la Regione Liguria e l'Avvocato dello Stato Sergio La Porta per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2- bis del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), nel testo introdotto dalla legge di conversione 22 dicembre 1990, n. 403, per contrasto con gli artt. 3, 28, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
La disposizione impugnata prevede che, per il periodo compreso tra il 1987 e il 1990, le regioni - in vista del ripiano dei disavanzi delle aziende di trasporto pubbliche, private e in concessione, cui non sia stata assicurata copertura con i sistemi di finanziamento disposti dalla legge-quadro sui trasporti pubblici (legge n. 151 del 1981) e dall'art. 2 dello stesso decreto-legge n. 310 del 1990 - possono contrarre mutui decennali, anche al di fuori dei limiti consentiti dalle leggi vigenti, assumendo i relativi oneri di ammortamento a carico dei propri bilanci e osservando le procedure e i criteri da stabilirsi con decreto del Ministro del tesoro.
Ad avviso della ricorrente, tale disposizione violerebbe, innanzitutto, le competenze regionali in materia di trasporti pubblici, garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché il principio di autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione) e quello della copertura obbligatoria delle nuove spese (art. 81, quarto comma, della Costituzione). Secondo la Regione, l'art. 2- bis contiene una disciplina, la quale produrrebbe un'inversione di rotta rispetto alla disciplina previgente, comportante l'ingiustificata introduzione della responsabilità finanziaria regionale, in luogo di quella statale, relativamente al risanamento del disavanzo delle aziende di trasporto (v., in particolare, artt. 6 e 9 della legge n. 151 del 1981, nonché l'art. 1 del decreto-legge n. 833 del 1986 e gli artt. 1 del decreto-legge n. 77 del 1989 e 4 della legge n. 385 del 1990).
Oltre a contrastare con il legittimo affidamento delle regioni riguardo all'imputazione allo Stato della responsabilità del ripianamento del disavanzo, l'art. 2- bis conterrebbe una disposizione intrinsecamente contraddittoria, laddove prevede per le aziende di trasporto pubbliche, private e in gestione diretta un intervento successivo a quello degli enti locali, con una conseguente confusione dei rispettivi ruoli contrastante con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione). La stessa disposizione violerebbe anche i principi di ragionevolezza e di responsabilità dei dipendenti pubblici (artt. 3 e 28 della Costituzione) a causa della previsione di un meccanismo di risanamento svincolato da un sistema di sanzioni a carico di chi ha causato il disavanzo.
Infine, la stessa Regione contesta la costituzionalità dell'art. 2- bis, secondo comma, il quale rinvia a un decreto ministeriale la determinazione dei criteri e delle procedure per l'assunzione di mutui, sul presupposto che tale disposizione violi l'art. 119 della Costituzione nel consentire a un provvedimento amministrativo d'intervenire in materia di competenza regionale e, in particolare, di regolare l'erogazione di mutui posti a carico dei bilanci regionali.
2. - La Regione Lombardia, con ricorso regolarmente notificato e depositato, ha contestato la legittimità costituzionale dell'art. 2-bis del decreto-legge n. 310 del 1990, nel testo conseguente alla legge di conversione n. 403 del 1990, per violazione degli artt. 81, 117, 118 e 119 della Costituzione, adducendo ragioni analoghe a quelle formulate nel ricorso della Regione Toscana per i corrispondenti profili.
In particolare, la ricorrente sottolinea che l'art. 2 dello stesso decreto-legge, nel prevedere la responsabilità degli enti locali per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche, private e in gestione diretta e nel subordinare tale intervento a un piano di risanamento economico-finanziario finalizzato al raggiungimento dell'equilibrio di bilancio entro il 31 dicembre 1966, appare del tutto coerente con il disegno presente nella legislazione previgente, per il quale le regioni sarebbero tenute a erogare soltanto i contributi di esercizio in base a criteri fissati da leggi statali e mediante utilizzo delle quote del Fondo nazionale assegnate a ciascuna di esse, mentre la copertura di disavanzi ulteriori sarebbe sempre posta a carico degli enti locali e delle imprese concessionarie, salvo interventi di ripianamento da parte dello Stato. Al contrario, l'impugnato art. 2- bis sarebbe stato introdotto in sede di conversione al solo scopo di riproporre la manovra di inopinato addossamento alle regioni degli oneri di disavanzo, la quale è sempre stata dichiarata incostituzionale da questa Corte (v. sentt. nn. 307 del 1983, 245 del 1984 e 452 del 1989).
Infine, la stessa Regione osserva che l'alternatività dell'intervento regionale rispetto a quello degli enti locali ne cancellerebbe nei fatti la presunta facoltatività, la quale, se fosse vera, non avrebbe bisogno, peraltro, di un'espressa previsione legislativa (essendo implicitamente compresa nell'autonomia di scelta delle regioni stesse), né sarebbe coerente con il rinvio a un decreto del Ministro del tesoro per la disciplina delle procedure e dei criteri relativi.
3. - La Regione Liguria, con ricorso regolarmente notificato e depositato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 2- bis del decreto-legge n. 310 del 1990, come convertiti dalla legge n. 403 del 1990, in riferimento agli artt. 5, 81, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.
Oltre ad addurre motivi analoghi a quelli formulati dalle altre ricorrenti, la Regione Liguria afferma che l'autonomia regionale garantita dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e il principio della copertura finanziaria di nuove spese, stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, sarebbero lesi sotto l'ulteriore profilo relativo alla totale esclusione delle regioni dall'approvazione dei piani di risanamento delle aziende di trasporto previsti dall'art. 2 dell'impugnato decreto-legge, con la conseguenza che l'intervento di ripiano dei bilanci delle aziende di trasporto, sulla facoltatività del quale anche la Regione Liguria nutre dubbi sia sotto il profilo normativo sia sotto quello fattuale, risulterebbe attribuito alla responsabilità delle regioni senza che a queste siano riconosciuti poteri di controllo sulle relative attività di gestione.
Da ultimo, la Regione Liguria assume che le disposizioni impugnate contrastano anche con gli artt. 5 e 115 della Costituzione, per violazione dei principi di autonomia costituzionale delle regioni nel quadro dei rapporti tra enti egualmente autonomi, espressi dai predetti articoli.
4. - In tutti e tre i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri con atti di intervento di identico contenuto, per chiedere il rigetto delle questioni sollevate.
Premesso che, come risulta dalla relazione illustrativa del disegno di legge per la conversione del decreto-legge n. 310 del 1990, il sistema delineato dalle disposizioni impugnate mira a risolvere il problema dei cospicui disavanzi delle aziende di trasporto, anche in risposta a precise sollecitazioni delle grandi città metropolitane, l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che la facoltà attribuita alle regioni dall'art. 2- bis dovrebbe essere messa in relazione con l'art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, nel senso che dovrebbe esser interpretata come rimozione del limite previsto da tale norma, che consente alle regioni di assumere mutui per provvedere esclusivamente a spese di investimento. L'art. 2- bis, in altri termini, sarebbe soltanto una norma autorizzatoria, che non implicherebbe alcuna coartazione per le regioni e alcuna previsione di nuove spese a carico dei bilanci regionali, con conseguente salvezza dei principi enunciati nelle norme costituzionali invocate come parametro dei presenti giudizi. Infine, secondo l'Avvocatura dello Stato, la natura meramente facoltativa dell'intervento regionale escluderebbe qualsiasi violazione dei principi posti a base della sentenza n. 307 del 1983 di questa Corte e di quelle successive.
5. - In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie le regioni Toscana e Lombardia, le quali, oltre e ribadire argomenti già espressi, contengono repliche alle deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato. In particolare, la Regione Toscana, pur contestando il valore interpretativo dei lavori preparatori, osserva che dalla lettura di questi si trae, se mai, ulteriore conferma dell'irragionevolezza delle misure introdotte con l'art. 2- bis in considerazione dell'inadeguatezza dei bilanci degli enti locali e di quelli regionali in rapporto all'entità dei disavanzi prodottisi nelle aziende di trasporto e dovuti al concorso determinante dei provvedimenti statali sulle tariffe. Di qui deriverebbe la conseguenza che quello del disavanzo delle aziende di trasporto è un problema d'interesse nazionale, che, come tale, non può essere messo a carico delle regioni. Queste conclusioni sono condivise anche dalla Regione Lombardia, la quale insiste in particolare sulla natura obbligatoria dell'intervento regionale (sottolineata pure dalla Regione Toscana), osservando che una norma meramente autorizzatoria per l'assunzione di mutui a copertura di spese correnti non sarebbe più necessaria dopo la modifica apportata dall'art. 22 della legge n. 335 del 1976 all'art. 10 della legge n. 281 del 1970.
6. - Nel corso della discussione le parti hanno insistito su alcuni punti particolari. La Regione Lombardia ha sottolineato che l'obbligatorietà dell'intervento regionale sarebbe la conseguenza logica della natura obbligatoria dell'intervento degli enti locali, chiaramente desumibile dall'art. 2, primo comma. Le Regioni Liguria e Toscana hanno insistito sull'irrazionalità di un sistema che, creando debito su debito, finirebbe per comportare un maggior aggravio di spesa pubblica. L'Avvocatura dello Stato, invece, dopo aver ricordato che il disavanzo si è prodotto soprattutto a causa dell'eccesso di personale impiegato e, quindi, a causa di una politica dissennata degli enti locali, ha osservato che la previsione dell'intervento facoltativo delle regioni troverebbe la sua giustificazione in vari poteri che le regioni hanno in materia di trasporti pubblici e, in particolare, in quelli previsti dagli artt. 2, 3 e 6 della legge n. 151 del 1981. La stessa Avvocatura, infine, ha sottolineato che le censure mosse sotto il profilo dell'irragionevolezza sarebbero in realtà rilievi di merito o, se pure non lo fossero, sarebbero inammissibili, in quanto le regioni non potrebbero far valere il profilo della irragionevolezza in sede di giudizio di legittimità costituzionale da esse promosso.
Considerato in diritto
1. - Con distinti ricorsi, regolarmente notificati e depositati, le Regioni Toscana, Lombardia e Liguria hanno contestato la legittimità costituzionale della previsione che le regioni possono contrarre mutui decennali per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche, private e in concessione, la quale è contenuta nel decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), convertito dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403.
Sebbene la norma impugnata sia sostanzialmente la medesima, le ricorrenti hanno tuttavia sollevato questioni di costituzionalità i cui termini formali variano leggermente fra di loro. La Regione Toscana, infatti, ha impugnato l'art. 2- bis, introdotto in sede di conversione, per violazione delle competenze regionali in materia di trasporti pubblici (artt. 117 e 118 della Costituzione), dell'autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione), del principio di copertura delle nuove spese (art. 81, quarto comma, della Costituzione), nonché dei principi di ragionevolezza, del buon andamento della pubblica amministrazione e della responsabilità dei pubblici funzionari o dipendenti (rispettivamente artt. 3, 97 e 28 della Costituzione). La Regione Lombardia ha anch'essa impugnato soltanto l'art. 2- bis circoscrivendo le sue censure ai profili relativi agli artt. 81, quarto comma, 117, 118 e 119 della Costituzione. Infine, la Regione Liguria ha prospettato la medesima questione ponendo la norma impugnata nella più ampia cornice dell'intero meccanismo previsto dagli artt. 2 e 2- bis del decreto-legge n. 310 del 1990, e sospettandone il contrasto, oltreché con gli articoli della Costituzione da ultimo menzionati, con i principi dell'autonomia costituzionale delle regioni nel quadro dei rapporti con gli enti locali, stabiliti dagli artt. 5 e 115 della Costituzione.
A causa dell'evidente e oggettiva connessione, i giudizi promossi dai ricorsi appena ricordati possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.
2. - Le questioni di legittimità costituzionale relative alle norme che prevedono la possibilità di contrarre mutui da parte delle regioni per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche, private e in concessione (art. 2- bis, primo comma) non sono fondate sotto i vari profili sollevati.
2.1. - La disposizione impugnata prevede che "le regioni possono contrarre mutui decennali, nei limiti delle perdite risultanti dai bilanci redatti e approvati ai sensi delle norme vigenti relativamente agli anni 1987, 1988, 1989 e 1990, per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche, private e in concessione, che non hanno trovato copertura con i contributi di cui all'art. 6 della legge 10 aprile 1981, n. 151, nonché limitatamente agli importi residuati dopo l'applicazione dei commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 2 del presente decreto". Come risulta chiaramente dal tenore letterale della disposizione ("le regioni possono contrarre mutui") e come si può agevolmente dedurre dal sistema normativo in cui è inserito l'impugnato art. 2- bis, la contrazione dei mutui ivi previsti corrisponde a una facoltà che le regioni possono esercitare, ove lo ritengano opportuno, successivamente agli interventi degli enti locali (e a quelli delle singole aziende di trasporto) e in relazione agli ampi poteri che le medesime regioni posseggono in ordine all'organizzazione, anche economica e finanziaria, dei trasporti pubblici locali. In considerazione di tale natura, che presuppone l'imputazione dell'intervento previsto all'autonomia di spesa che le regioni hanno nelle materie sottoposte alle proprie competenze, si deve ritenere, come ha correttamente sostenuto l'Avvocatura dello Stato, che l'art. 2- bis non si ponga in contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
Più in particolare, occorre considerare che la facoltà delle regioni di contrarre mutui decennali per il ripianamento dei disavanzi risultanti dai bilanci delle aziende di trasporto relativi agli esercizi 1987-1990 è circoscritta dall'impugnato art. 2 - bis alle perdite che non abbiano trovato copertura sia a seguito dell'erogazione da parte delle regioni dei contributi di esercizio di cui all'art. 6 della legge 10 aprile 1981, n. 151, sia in conseguenza dei mutui decennali stipulati dagli enti locali a norma dell'art. 2, commi primo, secondo, terzo e quarto, del medesimo decreto-legge n. 310 del 1990. In altri termini, le regioni hanno la possibilità di determinarsi a coprire le somme residue dei disavanzi mediante la contrazione di mutui con oneri di ammortamento a carico dei propri bilanci soltanto dopo aver valutato se le aziende di trasporto e gli enti locali abbiano operato, nell'ambito dei rispettivi poteri, nel modo più efficiente e più rigoroso al fine di perseguire il risanamento del cospicuo disavanzo verificatosi negli anni 1987-1990 nella gestione dei servizi di trasporto. Infatti, tanto i contributi di esercizio erogati con legge regionale, quanto l'assunzione dei mutui da parte degli enti locali sono sottoposti a precise condizioni concernenti la gestione economica e finanziaria delle aziende di trasporto: i primi sono vincolati dall'art. 6 della legge n. 151 del 1981 all'obiettivo "di conseguire l'equilibrio economico dei bilanci dei servizi di trasporto" sulla base di criteri dettagliatamente indicati nello stesso articolo; i mutui degli enti locali, invece, possono essere assunti, a norma dell'art. 2, comma sesto, del decreto-legge n. 310 del 1990, soltanto subordinatamente "all'adozione, entro il 30 giugno 1991, da parte degli enti locali interessati, su proposta dell'azienda ove ricorra, di un piano di risanamento economico-finanziario che preveda il raggiungimento dell'equilibrio di bilancio entro il termine del 31 dicembre 1996".
Quello previsto dalla disposizione impugnata è, dunque, un intervento che, per il carattere facoltativo e residuale del relativo potere e per essere frutto di una decisione collegata al discrezionale apprezzamento dei comportamenti delle aziende di trasporto e degli enti locali, risponde alla posizione costituzionale e alla responsabilità politica che le regioni hanno in materia di trasporti pubblici locali. Infatti, come ha sottolineato l'Avvocatura dello Stato nella discussione orale, non può trascurarsi il rilievo che, oltre al potere di erogare i contributi di esercizio prima ricordati e di dettare in concreto le correlative condizioni, le regioni, in base alla legge-quadro sui trasporti pubblici locali (artt. 2 e 3 della legge n. 151 del 1981), posseggono ampi poteri programmatori, d'indirizzo e di controllo, aventi ad oggetto gli aspetti fondamentali del trasporto pubblico e, in particolare, l'organizzazione, la ristrutturazione, il potenziamento del servizio, le attività di investimento e l'esercizio dei trasporti (v., specialmente, l'art. 2, lettera c, della legge appena citata: "le regioni, nell'ambito delle loro competenze (.. .. ..) adottano programmi pluriennali o annuali di intervento, sia per gli investimenti sia per l'esercizio dei trasporti pubblici locali").
Da tutto ciò derivano la sostanziale differenza della questione sollevata con i ricorsi in esame rispetto a quelli già decisi da questa Corte ed erroneamente invocati dalle regioni come precedenti (v. sentt. nn. 307 del 1983, 245 del 1984 e 452 del 1989) e la giustificazione, sotto il profilo costituzionale, della previsione legislativa della possibilità di un concorso delle regioni, ove queste lo ritengano, al risanamento economico-finanziario di un settore rispetto al quale non sono prive di responsabilità, se pure (a differenza degli enti locali) su un piano diverso da quello della gestione e della programmazione aziendale.
Né, al fine di dimostrare la presunta obbligatorietà dell'intervento regionale contestato, sono sufficienti le argomentazioni formulate da alcune ricorrenti, secondo le quali una disposizione facoltizzante, come quella impugnata, sarebbe superflua e non richiederebbe un'espressa previsione, dal momento che il relativo potere sarebbe ricompreso fra quelli connessi all'autonomia di scelta delle regioni stesse. In realtà, tale ragionamento trascura il rilievo che l'art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281 - il quale non ha subi'to modifiche, sotto i profili che qui interessano, ad opera dell'art. 22 della legge 19 maggio 1976, n. 335 - autorizza le regioni a contrarre mutui esclusivamente per provvedere a spese di investimento. Sicché la "giustificazione" della disposizione impugnata sta nel fatto di costituire (tra l'altro) una deroga alla regola stabilita dal ricordato art. 10, nel senso di permettere alle regioni di esercitare la facoltà di contrarre mutui per spese di gestione al limitato scopo di coprire i disavanzi registrati nelle aziende di trasporto negli anni 1987-1990.
Tantomeno può riconoscersi valore ad altri "indizi" addotti dalle ricorrenti al fine di dimostrare il carattere non-facoltativo dell'intervento contestato, quali la obbligatorietà del potere degli enti locali di assumere mutui ai sensi dell'art. 2, primo comma, o l'attribuzione al Ministro del tesoro del potere di stabilire le procedure e i criteri per l'assunzione dei mutui da parte delle regioni a norma dell'art. 2- bis: l'uno e l'altro potere, infatti, non possono avere alcuna influenza sulla definizione del carattere, facoltativo o meno, della contrazione dei mutui sottoposta a contestazione.
La rilevata facoltatività dell'intervento regionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto comporta il venir meno del dubbio di legittimità costituzionale prospettato dalla Regione Liguria relativamente all'art. 2, nella parte in cui esclude le regioni dall'approvazione del piano di risanamento aziendale ivi previsto.
2.2. - Le considerazioni svolte portano a escludere l'illegittimità costituzionale dell'art. 2- bis, primo comma, anche sotto i restanti profili.
Non risulta violato l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, poiché la facoltatività dell'accollo da parte regionale dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto registrati negli anni 1987-1990 non può comportare alcun onere a carico delle regioni che non sia conseguente a una futura scelta di bilancio autonomamente determinata dalle regioni stesse. Per gli stessi motivi non può configurarsi alcuna violazione delle norme costituzionali poste a tutela dell'autonomia regionale (artt. 5 e 115), considerato che la contrazione dei mutui è prevista come frutto di un'autonoma decisione regionale. Né, sempre a motivo del carattere facoltativo dell'intervento previsto, è ipotizzabile un contrasto della disposizione impugnata con i principi della responsabilità dei dipendenti pubblici e del buon andamento dell'azione amministrativa, rispettivamente garantiti dagli artt. 28 e 97 della Costituzione.
Va, del pari, respinta la censura d'irragionevolezza mossa alla disposizione impugnata, che, contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura dello Stato, deve comunque esser considerata ammissibile, dal momento che l'eventuale vizio di irragionevolezza di norme statali vincolanti lo svolgimento di potestà legislative o di funzioni amministrative delle regioni, o comunque incidenti sullo stesso, non potrebbe non riflettersi sull'integrità delle competenze regionali o sul legittimo esercizio delle medesime. Il carattere facoltativo e residuale dell'intervento previsto e la connessione di quest'ultimo con le responsabilità programmatorie, d'indirizzo o di controllo regionali escludono in ogni caso l'arbitrarietà della disposizione impugnata.
Ciò non toglie, tuttavia, che questa Corte non possa esimersi dal sottolineare che l'esistenza di cospicui disavanzi finanziari nell'esercizio del servizio pubblico essenziale del trasporto locale, se pone indubbiamente questioni di gestione, solleva anche complessi problemi sulla finanza regionale e degli enti locali, che in ipotesi sono evidenziati dalla notoria sottostima del Fondo nazionale previsto dall'art. 9 della legge n. 151 del 1981 e dalla relativa incapienza dei bilanci degli enti locali. Si tratta di problemi che soltanto in via temporanea possono essere risolti con provvedimenti-tampone, come quello impugnato, e con misure di emergenza, come l'eccezionale assunzione di mutui per spese di esercizio. Tali risposte, infatti, ove dovessero ripetersi, rischierebbero nel lungo periodo di aggravare la situazione della finanza locale e di allontanare quest'ultima da un modello razionale di finanza responsabile, ponendosi così in contrasto con i principi costituzionali sull'autonomia finanziaria delle regioni.
3. - Va, infine, accolta la questione di legittimità costituzionale che la Regione Toscana ha sollevato nei confronti dell'art. 2- bis, secondo comma, secondo periodo, laddove è stabilito che il Ministro del tesoro fissa con un proprio decreto le procedure e i criteri per l'assunzione dei mutui da parte delle regioni ai sensi del primo comma dello stesso articolo.
La disposizione impugnata contrasta con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, per il fatto che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v., da ultimo, sent. n. 283 del 1991), nell'esercizio di funzioni attribuite alla competenza delle regioni e, in particolare, in relazione all'assunzione di mutui a totale carico dei bilanci regionali, lo Stato non ha alcuno spazio di determinazione mediante decreti ministeriali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2- bis, secondo comma, secondo periodo ("le relative procedure e criteri sono stabiliti con decreti del Ministro del tesoro") del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310;
Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 2- bis, primo comma, del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 300, sollevate, in riferimento agli artt. 117, 118, 119, 81, 3, 5, 28, 97 e 115 della Costituzione, con i ricorsi delle Regioni Toscana, Lombardia e Liguria indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 23 maggio 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 18 giugno 1991.