SENTENZA N. 283
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Prof. Giuseppe BORZELLINO "
Dott. Francesco GRECO "
Prof. Gabriele PESCATORE "
Avv. Ugo SPAGNOLI "
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA "
Prof. Antonio BALDASSARRE "
Prof. Vincenzo CAIANIELLO "
Avv. Mauro FERRI "
Prof. Luigi MENGONI "
Prof. Enzo CHELI "
Dott. Renato GRANATA "
Prof. Giuliano VASSALLI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, e relativa legge di conversione 19 novembre 1990, n. 334 (Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana, Liguria, Valle d'Aosta, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Provincia di Bolzano, Regione Campania, Provincia di Trento, Regioni Lazio e Sicilia, notificati rispettivamente il 16, 18, 19, 20 ottobre 1990, il 5 novembre 1990, il 10, 19, 17, 14, 18 e 19 dicembre 1990, depositati in cancelleria il 23, 24, 25, 27 ottobre 1990, il 14 novembre 1990, il 14, 20, 21, 28 dicembre 1990 ed iscritti ai nn. 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79 e 80 del registro ricorsi 1990, nonché nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del medesimo decreto-legge n. 262 del 1990, convertito nella legge n. 334 del 1990, promosso con ricorso della Regione Marche, notificato il 19 dicembre 1990, depositato in cancelleria il 7 gennaio 1991 ed iscritto al n. 1 del registro conflitti 1991;
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 26 febbraio 1991 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
Uditi gli Avvocati Alberto Predieri per la Regione Toscana, Gian Paolo Zanchini e Fausto Cuocolo per la Regione Liguria, Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta, Valerio Onida per le Regioni Lombardia e Piemonte e per la Provincia di Trento, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Roland Riz per la Provincia di Bolzano, Sergio Ferrari e Michele Scudiero per la Regione Campania, Giorgio Recchia per la Regione Lazio, Silvio De Fina e Giuseppe Fazio per la Regione Sicilia, Franco Gaetano Scoca per la Regione Marche e l'Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con sei distinti ricorsi, regolarmente depositati e notificati, le Regioni Toscana, Liguria, Valle d'Aosta, Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna hanno contestato la legittimità costituzionale del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262 (Misure urgenti per il finanziamento della maggior spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggior spesa sanitaria relativa al 1990).
Con ulteriori distinti ricorsi, regolarmente depositati e notificati, le medesime Regioni, più le Province autonome di Trento e di Bolzano e le Regioni Campania, Lazio e Sicilia hanno contestato la legittimità costituzionale della legge 19 novembre 1990, n. 334, che ha convertito in legge il suddetto decreto-legge.
2. - Le Regioni Toscana, Lazio e Valle d'Aosta hanno impugnato l'art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 262 del 1990, convertito senza modificazioni, il quale, riferendosi alle maggiori spese sanitarie indicate nell'art. 4 del decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8 (cioè al disavanzo sanitario per gli anni 1987 e 1988), dispone che la quota di finanziamento con oneri di ammortamento a carico dello Stato sia, per il 1990, del 20 per cento e, per il 1991, del 25 per cento. Secondo le ricorrenti, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 3, 81 e 119 della Costituzione, poiché in modo irragionevole e immotivato limiterebbe retroattivamente il concorso dello Stato al ripiano del disavanzo sanitario per gli anni 1987 e 1988, già determinato per l'anno 1990 nella misura del 35 per cento, senza che siano intervenuti, a partire dalla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 382 del 1989, mutamenti legislativi e di fatto tali da giustificare la diminuzione del predetto concorso. Ciò varrebbe tanto più ove si considerasse che la Corte costituzionale (v. sentt. nn. 245 del 1984 e 452 del 1989) ha più volte affermato che non possono essere addossati alle regioni oneri non imputabili a decisioni delle regioni stesse, oneri che nel caso, oltre ad essere non quantificati né quantificabili, sarebbero posti a carico delle ricorrenti senza la contestuale assegnazione delle risorse finanziarie necessarie a farvi fronte.
La sola Regione Toscana contesta altresì l'adozione della disposizione impugnata sotto il profilo della violazione dell'art. 97 della Costituzione, in combinato disposto con le norme costituzionali precedentemente invocate come parametro, dal momento che l'addossamento alle regioni di nuovi oneri con effetto immediato impedirebbe alle stesse una efficace e corretta manovra finanziaria.
Le Regioni Lombardia e Piemonte hanno impugnato la medesima disposizione in via meramente eventuale, nel senso che, ove essa dovesse essere interpretata come vòlta a prevedere l'assunzione solo parziale da parte dello Stato dell'onere di ammortamento dei mutui a ripiano del disavanzo per gli anni 1987 e 1988, e non già come norma riguardante la sola quota dei disavanzi della gestione sanitaria (45 per cento) da ripianare attraverso mutui con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, l'art. 1, primo comma, violerebbe l'art. 81, quarto comma, e l'art. 119 della Costituzione, anche in relazione all'art. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e all'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158, in quanto dalla disposizone impugnata conseguirebbe l'addossamento alle regioni della parte residua.
3. - Le Regioni Lombardia, Piemonte e Campania censurano l'ultima parte del secondo comma dell'art. 1, laddove si dispone che per l'assunzione dei mutui previsti dal primo comma dello stesso articolo non si applicano i limiti vigenti in materia per le regioni e le province autonome. Secondo le ricorrenti, ove fosse interpretata nel senso di ritenere che gli oneri relativi ai mutui disciplinati dal primo comma concorrano a determinare il "tetto" dell'indebitamento delle regioni, la disposizione impugnata lederebbe l'art. 119 della Costituzione, dal momento che l'autonomia finanziaria ivi assicurata dovrebbe essere ritenuta comprensiva della garanzia della capacità di indebitamento, nonché l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, in riferimento all'art. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e all'art. 3 della legge 14 giugno 1990, n. 158, dal momento che "l'assorbimento di una capacità di indebitamento residua della regione si tradurrebbe indirettamente in un accollo di un onere alla regione per la copertura dei deficit delle unità sanitarie locali, nuovo onere cui non corrisponde l'attribuzione di nuove risorse".
4. - La legittimità costituzionale dell'art. 2-bis, introdotto in sede di conversione, è contestata sotto vari profili dalle Regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Lazio, nonché dalla Province autonome di Trento e di Bolzano.
4.1. - Le nominate ricorrenti (ad eccezione della Provincia di Bolzano) dubitano che sia violato tanto il principio della certezza dei bilanci (art. 81, quarto comma, della Costituzione), quanto l'autonomia finanziaria - garantita alle regioni ordinarie dall'art. 119 della Costituzione e a quelle speciali dai relativi articoli di Statuto - per effetto della disposizione, contenuta nell'art. 2-bis, primo periodo, la quale prevede che le eccedenze di spesa per il 1989, rispetto alle entrate complessive registrate dalle unità sanitarie locali e dagli altri enti del settore, siano coperte in via prioritaria con i proventi derivanti dall'alienazione totale o parziale dei beni patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, che non siano soggetti a vincoli di qualsiasi natura (beni dei disciolti enti mutualistici attribuiti ai comuni con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali; beni già di pertinenza degli enti locali con destinazione ai servizi igienico-sanitari trasferiti ai comuni con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali). Secondo le ricorrenti, l'illegittimità costituzionale di tale disposizione deriverebbe dal fatto che essa porrebbe a carico delle regioni oneri la cui copertura sarebbe meramente eventuale e, comunque, fondata su beni appartenenti ai comuni e dei quali le regioni non avrebbero la disponibilità.
Le Regioni Lombardia e Piemonte e la Provincia autonoma di Trento dubitano, altresì, che sia violato il principio costituzionale di ragionevolezza, in quanto il meccanismo di ripianamento del disavanzo previsto dall'art. 2- bis del decreto-legge n. 262 del 1990 sarebbe palesemente irrazionale considerato che la riduzione del patrimonio non potrebbe non comportare una riduzione delle entrate ovvero un aumento delle spese in relazione alla tipologia dei beni interessati alla alienazione.
Le Regioni Lazio e Valle d'Aosta, nonché la Provincia di Trento, eccepiscono l'illegittimità costituzionale della medesima disposizione anche in riferimento alle norme che attribuiscono loro la competenza legislativa in materia di beni destinati allo svolgimento delle funzioni di assistenza sanitaria e ospedaliera (rispettivamente: artt. 117 della Costituzione; 3 dello Statuto per la Valle d'Aosta; 9 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige). Tale competenza, peraltro già esercitata, risulterebbe lesa in relazione alla disciplina relativa all'alienazione dei beni patrimoniali (procedure, regole sul reimpiego del ricavato, etc.).
4.2. - Le Regioni Piemonte e Lombardia, nonché la Provincia di Trento, impugnano altresì l'art. 2-bis, secondo periodo, il quale prevede che i disavanzi delle unità sanitarie locali e degli altri enti sanitari non suscettibili di copertura mediante alienazione dei beni siano ripianati attraverso operazioni di mutuo da stipularsi con gli istituti indicati dal Ministro del tesoro e alle condizioni stabilite dallo stesso Ministro. Tale disposizione lederebbe l'autonomia finanziaria e contabile delle regioni, le quali non solo sarebbero tenute a indebitarsi, ma dovrebbero farlo anche alle condizioni fissate dal Ministro.
4.3. - Le stesse ricorrenti di cui al punto precedente contestano la legittimità costituzionale anche dell'art. 2-bis, terzo periodo, il quale dispone che agli oneri di ammortamento relativi ai mutui di cui al periodo precedente dello stesso articolo, valutati in lire 1500 miliardi a decorrere dal 1993, le regioni debbano far fronte con specifiche quote del Fondo sanitario nazionale all'uopo previste e vincolate a decorrere dall'anno 1993. Secondo le ricorrenti, tale disposizione lederebbe il principio della copertura del bilancio, desumibile dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, dal momento che al relativo onere non farebbe riscontro alcuna attribuzione di risorse, tale non potendosi considerare, per la sua genericità, ipoteticità ed eventualità, il ricordato riferimento alle quote del Fondo sanitario nazionale.
4.4. - Un'ultima censura all'art. 2- bis è formulata, in relazione all'ultimo periodo, dalle Regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Lazio e dalle Province di Trento e di Bolzano. Ad avviso delle ricorrenti, la previsione di una commissione di vigilanza sugli atti di alienazione "nominata dalla regione o provincia autonoma e presieduta da un magistrato delle giurisdizioni amministrative che si avvale della valutazione dei locali uffici tecnici erariali", lederebbe le competenze legislative - di tipo esclusivo per le regioni speciali e le province autonome (artt. 2, lett. a), dello Statuto della Valle d'Aosta; 8, n. 1, dello Statuto per il Trentino-Alto Adige) e di tipo concorrente per le regioni ordinarie (art. 117 della Costituzione) - ed amministrative (art. 118 della Costituzione; art. 4 dello Statuto valdostano e art. 16 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige) ad esse attribuite in materia di organizzazione dei propri uffici.
La stessa disposizione è censurata dalla Provincia di Bolzano in riferimento ai medesimi parametri, nonché all'art. 54, primo comma, n. 3 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, anche per la previsione che le commissioni di vigilanza debbono avvalersi delle valutazioni tecniche degli uffici statali anziché di quelle dei corrispondenti uffici provinciali.
5. - Tutte le ricorrenti contestano la legittimità costituzionale dell'art. 3 sotto svariati profili.
Tale articolo, al comma primo, stabilisce che le regioni possono autorizzare le unità sanitarie locali e gli altri enti gestori di servizi sanitari finanziati con quote del Fondo sanitario nazionale "ad assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione, per provvedere a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza entro limiti prequantificati dalle regioni stesse per ciascun ente". Nella formulazione originaria del decreto-legge, siffatto meccanismo autorizzatorio era collegato a un sistema di ripianamento, previsto al terzo comma, in base al quale le spese effettivamente sostenute a fronte delle autorizzazioni concesse dalle regioni o dalle province autonome venivano finanziate dalle stesse regioni o province con mezzi propri di bilancio ovvero mediante l'alienazione dei beni patrimoniali disponibili ovvero mediante la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito, da assumere, anche in deroga alle vigenti disposizioni, avvalendosi per la copertura delle relative rate di ammortamento anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge n. 158 del 1990. In sede di conversione l'art. 3 è stato modificato al terzo comma con la previsione che le spese effettivamente sostenute in conseguenza delle autorizzazioni di cui al primo comma sono assunte a carico delle regioni e delle province autonome e finanziate con operazioni di mutuo i cui oneri di ammortamento, fino alla concorrenza di lire 90.000 per cittadino residente, sono a carico dello Stato, mentre la differenza residua della spesa, per il 25 per cento, è addossata alle regioni e alle province autonome, le quali vi provvedono con gli stessi mezzi già previsti nel testo originario del comma modificato, e, per il restante 75 per cento, viene coperta mediante l'accensione di mutui con oneri di ammortamento a carico dello Stato.
5.1. - Le ricorrenti, pur riconoscendo che le modifiche introdotte in sede di conversione siano senz'altro meno gravose delle disposizioni contenute nel testo originario, ritengono tuttavia che anche alla versione definitiva debbano estendersi i dubbi di legittimità costituzionale fatti valere originariamente nei confronti del decreto-legge, i quali si basano sul principio, presente nella giurisprudenza costituzionale, secondo cui non possono essere addossati alle regioni oneri relativi a spese delle quali le stesse regioni non hanno alcuna responsabilità. Ed è noto, continuano le ricorrenti, che la spesa sanitaria, per un verso, dipende da decisioni assunte al livello statale (spesa farmaceutica, convenzioni, personale) e, per altro verso, è legata alla soddisfazione di esigenze connesse al godimento di diritti fondamentali dei cittadini, primo fra tutti il diritto alla salute garantito dall'art. 32 della Costituzione. Per tali ragioni e a causa della insufficiente stima del fabbisogno del Fondo sanitario nazionale, concludono le ricorrenti, il disavanzo sarebbe inevitabile, non quantificabile e non imputabile a scelte regionali. Di qui deriverebbe, dunque, la lesione dell'autonomia finanziaria garantita alle regioni e alle province autonome (artt. 119 della Costituzione; titolo VI dello Statuto per il Trentino-Alto Adige e legge 30 novembre 1989, n. 386; titolo III dello Statuto valdostano e legge 26 novembre 1981, n. 690; titolo V dello Statuto siciliano), nonché la violazione delle norme costituzionali attributive di competenza in materia sanitaria (artt. 117 e 118 della Costituzione, artt. 9, n. 10, e 16 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige; artt. 3, lett. l), e 4 dello Statuto valdostano; art. 17, lett. b) e c) dello Statuto siciliano) e la lesione del principio di copertura finanziaria (art. 81, quarto comma, della Costituzione) e di quello di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione).
5.2. - Inoltre, riguardo alla censura relativa all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, le ricorrenti, con varia accentuazione, rilevano come si sia in presenza di nuovi oneri per le regioni e come, quindi, la legge avrebbe dovuto prevederne idonea copertura. A loro avviso, quest'ultima non è affatto assicurata dall'impugnato art. 3, il quale, mentre riconoscerebbe che si tratta di nuovi oneri laddove indica nuovi mezzi di copertura, non provvederebbe tuttavia a fornire le risorse adeguate. Tali, infatti, non sarebbero, certo, gli ordinari mezzi di bilancio delle regioni (e delle province autonome), né, la quota del Fondo sanitario nazionale all'uopo prevista e vincolata di cui all'art. 3, comma 3-quater (essendo destinata ad altre spese sanitarie delle stesse regioni e province autonome), né l'alienazione dei beni patrimoniali (che, oltre a dover essere disposta dagli enti proprietari, darebbe luogo a una diminuzione patrimoniale o a minori entrate nel caso di beni da reddito), né, tantomeno, le entrate tributarie previste dalla legge n. 158 del 1990 (la quale, peraltro, non era applicabile alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto impugnato, non essendo stati emanati a quella data i decreti legislativi delegati, e dalla quale, comunque, deriverebbero introiti inferiori ai disavanzi e agli oneri di ammortamento da coprire). Queste ultime entrate tributarie, peraltro, non sarebbero riferibili alle regioni ad autonomia speciale e alle province autonome, poiché, come sottolineano le difese di tali enti, la legge n. 158 del 1990 è espressamente limitata alle regioni a statuto ordinario.
Sulla predetta base, comune a tutte le ricorrenti, alcune fra queste ultime innestano poi argomenti più particolari e profili di incostituzionalità ulteriori, di cui si dà conto nei sottoparagrafi seguenti.
5.3. - Le Regioni Toscana, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Sicilia e la Provincia autonoma di Trento si soffermano sul significato da attribuire alla disposizione per la quale le regioni (e le province autonome) "possono autorizzare" l'assunzione di impegni in eccedenza alla quota del Fondo sanitario spettante alle unità sanitarie locali.
Premesso, come sottolinea in particolare la Regione Toscana, che l'imposizione di un onere a carico delle regioni ad esercizio finanziario 1990 ormai quasi concluso appare palesemente arbitraria e irrazionale, questo elemento - unito al rilievo (sottolineato da tutte le ricorrenti indicate all'inizio di questo sottoparagrafo) che il meccanismo autorizzatorio previsto concerne "spese improcrastinabili e di assoluta urgenza", e perciò non adottabili in base a scelte discrezionali, ma inevitabili al fine del corretto espletamento del servizio sanitario - porterebbe alla ulteriore conclusione, esplicitata soprattutto dalle Regioni Piemonte e Lombardia, che l'autorizzazione regionale non sembra essere una vera e propria autorizzazione a spendere, ma appare piuttosto consistere in una mera autorizzazione a contabilizzare e a pagare spese e debiti già assunti. Si tratterebbe, pertanto, non già di un insieme di misure volte al contenimento della spesa sanitaria, ma piuttosto della ripartizione tra Stato e regioni di un disavanzo già verificatosi, disavanzo che, anche se non fosse "autorizzato" dalle regioni, ricadrebbe sullo Stato, titolare di un servizio (quello sanitario) di cui le regioni sono semplicemente enti organizzatori. Se così è, come ha in particolare osservato la Regione Siciliana, la prevista "autorizzazione" non sarebbe altro che "un mero atto di controllo preventivo dello Stato affidato alle regioni sulla rispondenza delle spese alle caratteristiche con le quali la norma le ha qualificate".
Né varrebbe obiettare, come precisa in particolare la Regione Emilia-Romagna, che, poiché alle regioni viene fatto carico "soltanto" di una quota pari a circa il 20 per cento del deficit, si sarebbe rispettato in tal modo il principio presente nella giurisprudenza costituzionale, secondo il quale allo Stato deve esser addossata la parte essenziale della spesa sanitaria, ma non necessariamente tutta la spesa. Infatti, a parte il rilievo che si tratterebbe comunque di una cifra elevata per enti aventi una finanza sostanzialmente derivata, in realtà si potrebbe far carico alle regioni di quella parte che, diversamente dal caso in questione, potrebbe essere imputata all'esercizio o al mancato esercizio delle potestà regionali sulla base di criteri prestabiliti, verificabili e, comunque, ragionevoli.
5.4. - La Regione Valle d'Aosta prospetta alcuni profili di legittimità costituzionale dell'art. 3 non sollevati da altre ricorrenti. Oltre alla lesione dei parametri già indicati, la predetta Regione deduce la violazione degli artt. 38, quarto comma, e 116 della Costituzione, nonché degli artt. 6 e 12 del proprio Statuto.
Mentre l'art. 116 della Costituzione viene invocato come norma posta generalmente a tutela della specialità dell'autonomia della ricorrente, l'art. 38, quarto comma, della Costituzione viene specificamente invocato sul presupposto che l'assistenza per malattia, rientrando pacificamente nella sicurezza sociale, dovrebbe essere annoverato fra le attività la cui soddisfazione costituisce un dovere costituzionale dello Stato (v. sent. n. 91 del 1972). Sicché, considerato che la Valle d'Aosta ha potestà legislativa integrativa e attuativa soltanto riguardo all'assistenza ospedaliera, appare illegittimo l'obbligo di ripianamento dei disavanzi per un servizio i cui costi dovrebbero invece gravare, per l'art. 38, sullo Stato.
Inoltre, la Regione Valle d'Aosta deduce la violazione dell'art. 12 del proprio Statuto, il quale dispone che per provvedere a scopi determinati che non rientrano nelle funzioni normali della Valle, come nel caso del ripianamento del deficit delle unità sanitarie locali, lo Stato assegna con legge alla stessa Regione contributi speciali.
5.5. - Censure più particolari avverso il medesimo art. 3 sono state prospettate dalla Regione Siciliana, la quale - oltre alla lesione dei parametri costituzionali sul bilancio e sull'autonomia finanziaria (artt. 81 e 119) e a quelli statutari sulle proprie potestà in materia di sanità, di deliberazione sui bilanci, di beni patrimoniali disponibili, di autonomia finanziaria e di assorbimento delle entrate dovute dallo Stato a titolo di contributo di solidarietà (artt. 17, lettere b) e c), 19, 34, 36, 38) - prospetta la lesione degli artt. 32 e 97 della Costituzione. Il primo, infatti, sarebbe violato in quanto, nel tutelare la salute, oltreché come diritto fondamentale, come interesse della collettività, collettività che non può essere impersonata che dallo Stato, comporterebbe l'obbligo di quest'ultimo di sostenere l'onere finanziario per assicurare la salute dei cittadini. L'art. 97 della Costituzione sarebbe, invece, violato in quanto le disposizioni impugnate mortificherebbero il principio del buon andamento dell'azione amministrativa ivi sancito.
6. - In tutti i giudizi promossi tanto nei confronti del decreto-legge quanto nei confronti della relativa legge di conversione si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.
Dopo aver ricordato che gli attiimpugnati costituiscono il completamento di una complessiva manovra, avviata con la legge n. 37 del 1989, vòlta a realizzare il contenimento della spesa sanitaria, l'Avvocatura dello Stato rileva, in via generale, che il riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, operato da tutte le ricorrenti in relazione a ciascuna censura, sarebbe del tutto improprio, dal momento che, ad avviso della parte resistente, nel caso "non si tratta della copertura di maggiori spese derivanti dalla nuova legge (.. .. ..), ma del ripianamento di oneri finanziari derivanti dal vertiginoso accrescersi delle spese per il servizio sanitario nazionale", dovuto a "un complesso di ragioni sociali ed economiche sopravvenute e non prima prevedibili".
Con riferimento alle censure mosse all'art. 1, l'Avvocatura dello Stato, riprendendo un'interpretazione prospettata nel ricorso della Regione Emilia-Romagna, osserva che l'articolo impugnato contiene disposizioni dirette, non già a modificare retroattivamente, ma a completare l'intervento finanziario statale per l'integrale ripiano dei disavanzi delle unità sanitarie locali per il biennio 1987-1988, già avviato con il decreto-legge n. 382 del 1989, convertito nella legge n. 8 del 1990.
In relazione all'art. 2-bis, introdotto in sede di conversione, l'Avvocatura dello Stato rileva che la previsione della copertura delle eccedenze di spesa per il 1989 mediante l'alienazione dei beni patrimoniali indicati negli artt. 61, 65 e 66 della legge n. 833 del 1978 non potrebbe essere considerata lesiva di alcuna competenza regionale (o provinciale), dal momento che si tratta di beni appartenenti al patrimonio dei comuni, e non già delle regioni o delle province autonome, beni che non sono direttamente destinati al soddisfacimento delle finalità sanitarie e ospedaliere. Sicché, conclude sul punto l'Avvocatura, "l'attività di coordinamento locale chiesta in merito dal legislatore alle regioni e alle province autonome, appare pienamente in linea con le prerogative degli enti ricorrenti".
Riguardo alle censure formulate avverso l'art. 3, l'Avvocatura dello Stato osserva che tale articolo "ha soltanto facoltizzato e non obbligato le regioni e le province autonome ad assumere impegni in eccedenza agli stanziamenti di bilancio entro peraltro i limiti prequantificati dalle medesime regioni per spese improcrastinabili e di assoluta urgenza". Ne consegue, per l'Avvocatura, che l'applicabilità della preettta disposizione "è ovviamente subordinata alle autonome valutazioni regionali e provinciali di recepire o meno l'invito a cooperare attivamente e responsabilmente in un settore, qual'è quello sanitario, caratterizzato da particolari rapporti fra le varie specie di enti ed organizzazioni cooperanti ed interagenti nella medesima materia". E, conclude l'Avvocatura, proprio perché contiene disposizioni meramente autorizzatorie, prive di alcuna efficacia impositiva di nuovi oneri e dirette al fine di rispettare le scelte delle regioni, l'art. 3 ha coerentemente indicato tutte le possibili forme di copertura della maggior spesa sanitaria verificatasi per il 1990.
In altre parole, prosegue la resistente, di fronte a un vertiginoso espandersi della spesa sanitaria, il legislatore, dovendo bilanciare vari interessi di carattere primario, ha scelto di autorizzare le regioni ad adottare autonome scelte, prevedendo i necessari mezzi tecnici e procedimentali per il caso in cui le stesse regioni addivengano alle determinazioni previste dalle disposizioni impugnate. Né è vera, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, l'affermazione delle ricorrenti secondo la quale le regioni non avrebbero alcun potere di controllo sulla spesa sanitaria, dal momento che gli oneri che le regioni possono addossarsi in conseguenza dell'applicazione dell'art. 3 sarebbero tutti controllabili in quanto strettamente connessi alle verifiche che esse sono tenute a compiere sulle unità sanitarie locali. In ogni caso, conclude l'Avvocatura, poiché la percentuale del disavanzo presunto per il 1990 deriverebbe da impegni autorizzati dalle regioni o dalle province autonome in eccedenza agli stanziamenti (e, pertanto, riguarderebbe parte di una spesa che un'accurata gestione dei controlli in sede locale potrebbe annullare o contenere), sarebbe fuori luogo affermare che l'art. 3 addossa alle regioni e alle province autonome una quota di spesa sanitaria che dovrebbe essere a carico dello Stato.
In ordine alle più particolari censure mosse dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome in riferimento alle norme statutarie che le riguardano, l'Avvocatura dello Stato osserva che le predette regioni e province autonome sono legittimate a svolgere la propria attività legislativa d'integrazione e di attuazione nella materia in questione ove ritengano di voler concorrere alla solidarietà richiesta, ma non imposta, dal legislatore.
7. - Con ricorso notificato il 19 dicembre 1990 e depositato il 7 gennaio 1991, la Regione Marche ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al decreto legge n. 262 del 1990, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, e, in particolare, all'art. 3 del medesimo decreto come risultante dopo la conversione.
Secondo la ricorrente, la lesione delle proprie competenze deriverebbe dal fatto che l'atto impugnato pone a carico delle regioni, al termine di un esercizio finanziario, spese ed oneri non previsti e non prevedibili all'inizio dello stesso esercizio, trattandosi di oneri cui avrebbe dovuto far fronte interamente il Servizio sanitario nazionale. In secondo luogo, l'atto impugnato si porrebbe contro i principi cui si ispira la disciplina del Servizio stesso, tanto più che la spesa eccedentaria rispetto alle previsioni per il 1990 riguarda la parte corrente e non è connessa ad alcun intervento o mancato intervento delle regioni, ma è imputabile allo Stato, il quale, per un verso, ha sottostimato le previsioni di spesa e, per un altro, ha adottato provvedimenti che hanno aumentato il volume della spesa per il 1990.
8. - Anche nel giudizio per conflitto di attribuzione si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha svolto difese identiche a quelle contenute nei precedenti atti di costituzione (v. punto n. 6).
9. - In prossimità dell'udienza hanno depositato ulteriori memorie difensive le Regioni Toscana, Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano, le quali, oltre a ribadire argomenti già svolti nei primi scritti difensivi, ne hanno formulato di nuovi.
Pressoché tutte le ricorrenti, al fine di ribadire l'irrazionalità del sistema previsto, sottolineano, innanzitutto, come il provvedimento impugnato configuri in realtà un intervento "tampone" vòlto ad addossare retroattivamente ad esercizio finanziario quasi concluso oneri relativi a disavanzi già formatisi. Questo elemento, se, per un verso, dimostrerebbe come sia improprio parlare di autorizzazione o di facoltà di effettuare le operazioni previste, trattandosi piuttosto di un potere-dovere, come lo definisce la Regione Liguria, comportante scelte per nulla discrezionali collegate a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza, per altro verso, proverebbe l'arbitrarietà con cui è stata determinata la quota di spesa sanitaria posta a carico delle regioni, tanto più se si considera che il costo medio pro-capite è sensibilmente superiore alle 90.000 lire indicate nel decreto impugnato (solo due regioni sarebbero, infatti, attestate su tale livello). Allo stesso fine, le ricorrenti e, in particolare, la Regione Toscana, rilevano l'irrazionalità della previsione di mutui per ripianare spese correnti - previsione che comporterebbe un inutile spreco di denaro pubblico, con violazione dell'art. 97 della Costituzione - nonché l'arbitrarietà dell'obbligo per le regioni di quantificare per ogni ente le spese fatte prima di procedere a nuove autorizzazioni, trattandosi di adempimenti che è impossibile espletare prima della fine dell'esercizio.
In replica alle osservazioni dell'Avvocatura dello Stato in riferimento alle censure relative all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, le ricorrenti, e in particolare le Regioni Piemonte e Lombardia, nonché la Provincia di Trento, rilevano che, ai fini del rispetto del predetto precetto costituzionale, appare indifferente che un onere venga evidenziato realisticamente per attività ancora da svolgere ovvero che venga disposto a posteriori il ripiano dei disavanzi, essendo rilevante, piuttosto, che nel provvedimento adottato non risulti la contestuale previsione di idonea copertura o, quantomeno, non sussista un'adeguata garanzia circa l'entità della quota aggiuntiva del Fondo sanitario nazionale che a quegli oneri dovrebbe far fronte.
Infine, la Regione Emilia-Romagna insiste soprattutto sul rilievo che non potrebbe propriamente parlarsi di una specifica responsabilità delle regioni per la spesa sanitaria laddove non sia possibile per queste ultime esperire idonei controlli (anziché meri controlli di legittimità), mentre la Regione Lazio ribadisce che lo Stato non potrebbe autorizzare la vendita di beni immobili di proprietà dei comuni, beni che, pertanto, potrebbero essere alienati dai proprietari stessi, salva l'intesa con la regione (come prescrive appunto una legge vigente nella stessa regione ricorrente).
Considerato in diritto
1. - Le Regioni a statuto ordinario Toscana, Liguria, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e la Regione a statuto speciale Valle d'Aosta hanno presentato distinti ricorsi con i quali contestano la legittimità costituzionale del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, intitolato "Misure urgenti per il finanziamento della maggior spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988, e disposizioni per il finanziamento della maggior spesa sanitaria relativa al 1990".
Le stesse Regioni, nonché le Regioni Campania, Lazio e Sicilia, e le Province autonome di Trento e di Bolzano, hanno presentato distinti ricorsi di legittimità costituzionale avverso la legge 19 novembre 1990, n. 334, che ha convertito in legge, con modificazioni ed integrazioni, il predetto decreto-legge.
Infine, la Regione Marche, con ricorso notificato il 19 dicembre 1990 e depositato il 7 gennaio 1991, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione allo stesso decreto-legge n. 262 del 1990, convertito nella legge n. 334 del 1990.
Poiché tutti i ricorsi menzionati hanno ad oggetto disposizioni identiche o fra loro connesse, contenute nel decreto-legge n. 262 del 1990, convertito con modificazioni nella legge n. 334 del 1990, i relativi giudizi possono essere trattati congiuntamente per essere decisi con un'unica sentenza.
2. - Non fondata è la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 262 del 1990, articolo che è stato convertito senza modificazioni dalla legge n. 334 del 1990.
Nel riferirsi alla "maggior spesa sanitaria di cui all'art. 4 del decreto-legee 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, non coperta con le operazioni di finanziamento ivi previste", la disposizione impugnata stabilisce che il disavanzo così risultante (relativo agli anni 1987 e 1988) va finanziato "mediante ulteriori operazioni di mutuo, con onere di ammortamento a carico del bilancio dello Stato, entro i limiti del 20 per cento e del 25 per cento da assumere, rispettivamente, entro gli anni 1990 e 1991 da parte delle regioni e delle province autonome con le aziende ed istituti di credito ordinario e speciale, individuati ai sensi dell'art. 4, comma secondo, lettera b), del citato decreto-legge 25 novembre 1989, n. 382, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, e secondo condizioni, durata e modalità stabilite ai sensi della predetta disposizione".
Ad avviso delle Regioni Toscana e Lazio, la disposizione ora riferita violerebbe gli artt. 3, 81, quarto comma, e 119 della Costituzione, sia in quanto limiterebbe retroattivamente il concorso dello Stato al ripiano del disavanzo sanitario relativo agli anni 1987 e 1988 senza alcuna ragionevole motivazione e senza che sia intervenuto, a partire dalla data di entrata in vigore del precedente decreto-legge n. 382 del 1989, alcun fatto nuovo giustificativo della ricordata limitazione, sia in quanto addosserebbe ai bilanci delle regioni oneri non imputabili a decisioni di queste ultime e privi della relativa copertura finanziaria. Sulla base di un'identica interpretazione dell'art. 1, primo comma, quest'ultimo è altresì impugnato con analoghi argomenti dalla Regione Valle d'Aosta, la quale invoca come parametri di legittimità costituzionale che si presumono violati gli artt. 81, quarto comma, e 116 della Costituzione, nonché il titolo III del proprio Statuto speciale (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4).
La stessa disposizione contenuta nell'art. 1, primo comma, è impugnata in via eventuale dalle Regioni Lombardia e Piemonte le quali ipotizzano la violazione del principio della copertura finanziaria (art. 81, quarto comma, in riferimento anche all'art. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e all'art. 3 della legge 14 giugno 1990, n. 158) e dell'autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione), ove la disposizione impugnata fosse interpretata, contrariamente a quel che appare, come vòlta a limitare il prestabilito accollo, da parte dello Stato, degli oneri di ammortamento dei mutui diretti al ripiano del disavanzo della spesa sanitaria relativo agli anni 1987 e 1988.
Una censura particolare è, infine, proposta dalla Regione Toscana nei confronti del medesimo articolo 1, primo comma, in riferimento all'art. 97 della Costituzione, perché l'addossamento alle regioni di nuovi oneri, con effetto immediato, impedirebbe alle stesse una efficace e corretta manovra finanziaria.
Nessuna delle censure appena riferite può essere accolta poiché non si può condividere l'interpretazione dell'art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 262 del 1990, sulla quale si sorreggono le relative impugnazioni. Come ha affermato l'Avvocatura dello Stato, l'art. 1, primo comma, è chiaramente diretto a completare la manovra di ripianamento del disavanzo sanitario relativo al 1987 e al 1988 che era stata avviata con il precedente decreto-legge n. 382 del 1989, convertito nella legge n. 8 del 1990. Quest'ultimo, infatti, all'art. 4, secondo comma, prevedeva la copertura del disavanzo mediante mutui con oneri di ammortamento a carico del bilancio dello Stato limitatamente al 20 per cento con operazioni di mutuo da attivare entro il 31 dicembre 1989 e al 35 per cento con operazioni da attivare nell'anno 1990. In altri termini, la misura dell'intervento previsto dal precedente decreto-legge riguardava complessivamente il 55 per cento del disavanzo prodottosi nella spesa sanitaria negli anni 1987-1988. La disposizione impugnata, invece, prevede un intervento finanziario diretto a coprire il restante 45 per cento del disavanzo della spesa sanitaria degli stessi anni, come risulta chiaramente dal rilievo che la misura dell'intervento ivi configurato è limitato al 20 per cento del disavanzo per le operazioni da assumere nel 1990 e al 25 per cento per quelle da attivare nel 1991. Sicché deve escludersi che l'art. 1, primo comma, del decreto-legge impugnato preveda un intervento finanziario sostitutivo del precedente o, comunque, diretto a modificare (retroattivamente) quello già disposto. Al contrario, l'intervento contestato si aggiunge e integra il precedente senza comportare alcun onere aggiuntivo a carico dei bilanci delle regioni o delle province autonome, di modo che viene meno la premessa interpretativa sulla quale si basano tutte le censure mosse all'art. 1, primo comma, del decreto-legge n. 262 del 1990.
3. - Non fondata è anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, ultimo periodo, laddove dispone che, in relazione alle operazioni di cui al comma precedente, "non si applicano i limiti per l'assunzione di mutui previsti dalle vigenti disposizioni per le regioni e le province autonome".
Secondo le Regioni Lombardia, Piemonte e Campania, tale disposizione, potendo essere interpretata nel senso che i mutui assumibili a norma dell'art. 1, primo comma, concorrono a determinare il "tetto" di indebitamento delle regioni stesse, verrebbe a ledere l'autonomia finanziaria costituzionalmente assicurata alle ricorrenti (art. 119 della Costituzione), sotto specie di illegittima limitazione alla capacità di indebitamento delle medesime regioni, nonché l'art. 81, ultimo comma, della Costituzione, in riferimento agli artt. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 3 della legge 14 giugno 1990, n. 158, in quanto l'eventuale compressione della capacità di indebitamento si tradurrebbe in un accollo alle regioni dell'onere per la copertura dei deficit delle unità sanitarie locali, onere al quale non corrisponde l'attribuzione di nuove risorse. Anche in tal caso, tuttavia, l'interpretazione dalla quale muovono le ricorrenti non può essere ascritta alla disposizione impugnata. Quest'ultima, infatti, ha chiaramente il significato di escludere che i mutui assunti a norma del comma precedente possano essere computati tra quelli in relazione ai quali sono previsti limiti alla capacità di indebitamento.
Più precisamente, in considerazione del rilievo che la legislazione vigente preclude alle regioni di assumere mutui per il finanziamento di spese correnti (v.: art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281; art. 22 della legge 19 maggio 1976, n. 335), l'art. 1 del decreto-legge impugnato, dopo aver autorizzato l'accensione di mutui per il ripiano del disavanzo, si limita a esplicitare, con la disposizione in esame, l'estraneità dei predetti mutui a quelli per i quali è ammesso l'indebitamento regionale e, quindi, l'inapplicabilità dei limiti relativi a quest'ultimo. Del resto, in relazione a mutui, come quelli considerati, i cui oneri di ammortamento sono a totale carico dello Stato, non avrebbe senso affermare l'applicabilità dei limiti legali di indebitamento previsti per le regioni, non essendo queste ultime i soggetti sui quali viene addossato il relativo carico finanziario. Di qui deriva la non fondatezza di qualsivoglia dubbio relativo all'asserito contrasto della disposizione impugnata con l'autonomia finanziaria garantita alle regioni dall'art. 119 della Costituzione e con il principio di cui all'art. 81, ultimo comma, della Costituzione.
4. - Non fondate sono le varie questioni di legittimità costituzionale che numerose ricorrenti hanno sollevato in relazione all'art. 2-bis, introdotto in sede di conversione dalla legge n. 334 del 1990.
4.1. - L'art. 2- bis è impugnato dalle Regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Lazio e dalla Provincia autonoma di Trento in relazione al primo periodo, laddove si dispone che "le eccedenze di spesa rispetto alle entrate complessive, registrate dalle unità sanitarie locali e dagli altri enti che erogano assistenza sanitaria per l'esercizio 1989, sono coperte in via prioritaria con i proventi derivanti dall'alienazione totale o parziale dei beni patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, non soggetti a vincoli di qualsiasi natura".
Secondo le menzionate ricorrenti, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto tanto con le norme costituzionali attributive di competenza in materia sanitaria e di disposizione dei propri beni patrimoniali (art. 117 della Costituzione, artt. 3, lett. l) e 4, primo comma, dello Statuto della Valle d'Aosta, artt. 9, n. 10, e 16 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige) quanto con i principi di certezza dei bilanci (art. 81 della Costituzione) e dell'autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione; art. 3, lett. f) e titolo III dello Statuto della Valle d'Aosta; titolo VI dello Statuto per il Trentino-Alto Adige e legge 30 novembre 1989, n. 386), dal momento che addosserebbe alle regioni oneri la cui copertura risulterebbe meramente eventuale, essendo legata all'alienazione di beni dei quali le regioni non avrebbero alcuna disponibilità e che in ogni caso sono stati trasferiti ai comuni con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali. La stessa disposizione è altresì impugnata dalla Provincia autonoma di Trento per lesione della propria autonomia finanziaria e patrimoniale (titolo VI dello Statuto per il Trentino-Alto Adige), dal momento che i beni di cui si dispone l'alienazione apparterrebbero, secondo le norme vigenti nell'ordinamento provinciale, al patrimonio della medesima ricorrente. Infine, la disposizione in esame è impugnata dalle Regioni Lombardia e Piemonte, nonché dalla Provincia autonoma di Trento, sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, sul presupposto che un meccanismo di ripianamento del disavanzo come quello previsto sarebbe palesemente irrazionale, in quanto alla riduzione del patrimonio degli enti interessati dovrebbe conseguire una riduzione delle entrate (nel caso di alienazione di beni da reddito) ovvero un aumento delle spese, dovuto alla sostituzione dei beni alienati con altri diretti all'uso cui quelli erano destinati.
Siffatte prospettazioni non possono essere condivise.
Contrariamente a quanto suppongono le ricorrenti, la disposizione impugnata, nel prevedere l'alienazione dei beni indicati negli artt. 61, 65 e 66 della legge n. 833 del 1978 "non soggetti a vincoli di qualsiasi natura", pone una norma più limitativa rispetto alla generale possibilità di alienazione dei beni patrimoniali indicati negli articoli appena citati, nel senso che, ai fini della copertura del disavanzo relativo al 1989, considera, non già tutti i beni una volta appartenenti a enti che prima del 1979 esercitavano forme di assistenza sanitaria, ma soltanto quelli fra i beni suddetti che a tale vincolo (come ad altri vincoli) siano sottratti o, comunque, non siano soggetti. In altri termini, oggetto della disposizione impugnata è l'alienazione di beni provenienti dagli enti che erogavano prestazioni sanitarie che, prima del decreto-legge impugnato, erano interessati al programma pluriennale di interventi sul patrimonio sanitario pubblico, di cui all'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e al d.m. 29 agosto 1989, n. 321, finalizzato alla ristrutturazione edilizia, ammodernamento tecnologico e realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti.
Rispetto a tali beni la disposizione impugnata si limita a stabilire che, nel reperire i mezzi finanziari necessari al disavanzo sanitario relativo all'esercizio 1989, la regione (o la provincia) dovrà fare riferimento prioritario ai beni da ultimo menzionati, sempreché ovviamente siano attualmente posseduti dai comuni situati nel proprio territorio o, nel caso della Provincia di Trento, dalla Provincia medesima o dai comprensori. L'art. 2-bis, primo periodo, pertanto, lascia del tutto impregiudicate le regole e le procedure vigenti a proposito dell'alienazione dei predetti beni patrimoniali, né impone in alcun modo alle regioni lo svincolo degli stessi beni dalla loro attuale destinazione per far fronte alle esigenze connesse al servizio sanitario. In sostanza, mentre gli artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978 prevedono "il reimpiego e il reinvestimento in opere di realizzazione e di ammodernamento dei presidi sanitari dei capitali ricavati" dalla alienazione dei beni svincolati, la disposizione impugnata pone semplicemente una direttiva di politica finanziaria che impegna le regioni e le province autonome, allorquando raccolgano le risorse necessarie per provvedere al ripiano del disavanzo relativo al 1989, a reperire prioritariamente i fondi occorrenti attraverso l'alienazione dei beni indicati negli artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978 che non siano soggetti a vincoli di qualsiasi natura, compreso quello della destinazione alle unità sanitarie locali.
Sotto questo profilo, l'art. 2-bis, primo periodo, integra, seppure in via del tutto temporanea e straordinaria, il disposto contenuto negli artt. 65, secondo comma, e 66, ultimo comma, della legge n. 833 del 1978, i quali riservano al legislatore regionale (o provinciale) la disciplina della destinazione, del reimpiego e del reinvestimento dei proventi dell'eventuale alienazione dei beni indicati negli stessi articoli, anteponendo la finalità della riduzione del disavanzo delle unità sanitarie locali al reimpiego delle somme ricavate dalla vendita dei beni svincolati.
Sulla base delle considerazioni svolte, non sono fondate le censure mosse dalle ricorrenti all'art. 2-bis, primo periodo, dal momento che non possono considerarsi lese le competenze regionali (e provinciali) in materia sanitaria e quelle relative alla disposizione del proprio patrimonio. Né può ritenersi violata l'autonomia finanziaria regionale (e provinciale) da una disposizione che, di fronte a un disavanzo che incide pesantemente sul deficit pubblico nazionale, dà priorità al suo risanamento rispetto a progetti di reimpiego e reinvestimento. Né, tantomeno, può riconoscersi alcun fondamento alla pretesa lesione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, poiché, di fronte a una disposizione che stabilisce un ordine prioritario nel reperimento delle risorse da utilizzare per coprire un disavanzo di spesa, non può correttamente parlarsi di legge di spesa ai sensi del ricordato art. 81.
4.2. - Priva di fondamento è altresì la questione di legittimità costituzionale che le Regioni Lombardia e Piemonte e la Provincia autonoma di Trento hanno sollevato nei confronti dell'art. 2-bis, secondo periodo, laddove si dispone che "i disavanzi delle unità sanitarie locali e degli altri enti che erogano assistenza sanitaria che non dispongono di beni patrimoniali alienabili e le eventuali eccedenze che non sia possibile coprire con le alienazioni di cui sopra, determinati dalle regioni e province autonome con criteri e modalità da definirsi con decreto del Ministro della sanità di concerto con quello del tesoro, sono ripianati dalle regioni mediante operazioni di mutuo, da stipulare nel secondo semestre dell'anno 1992, con le aziende e gli istituti di credito ordinario e speciale individuati da apposito decreto del Ministro del tesoro, che ne definisce anche la durata e le modalità". Secondo le ricorrenti, tale disposizione lederebbe la loro autonomia finanziaria e contabile, in quanto le costringerebbe a contrarre debiti con gli istituti indicati dal Ministro del tesoro e alle condizioni stabilite dallo stesso Ministro.
In realtà, non può ravvisarsi alcuna lesione dell'autonomia finanziaria e contabile delle regioni e delle province autonome ad opera di una disposizione, la quale, pur prevedendo l'assunzione da parte delle stesse regioni (e province autonome) di mutui per ripianare le eccedenze di disavanzo non coperte dalle alienazioni considerate al punto precedente, ne addossa gli oneri di ammortamento allo Stato. Infatti, come risulta evidente dal periodo successivo del medesimo articolo, l'imputazione dei predetti oneri a specifiche quote del Fondo sanitario nazionale esclude ogni dubbio che anche per i mutui ora considerati i relativi oneri di ammortamento debbano essere addossati al bilancio dello Stato. Sicché non è affatto illegittimo che la disposizione impugnata affidi al Ministro del tesoro il compito di individuare gli istituti di credito con i quali contrarre gli anzidetti mutui e di fissare le modalità relative alla determinazione e al pagamento degli oneri di ammortamento.
4.3. - Non fondato è, altresì, il dubbio di costituzionalità sollevato, in riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, dalle Regioni Lombardia e Piemonte e dalla Provincia autonoma di Trento riguardo all'art. 2-bis, terzo periodo, il quale dispone che "le regioni e le province autonome fanno fronte agli oneri di ammortamento, valutati in lire 1.500 miliardi a decorrere dal 1993, con specifiche quote del Fondo sanitario nazionale all'uopo previste e vincolate a decorrere dall'anno 1993".
Secondo le ricorrenti tale disposizione violerebbe il principio della copertura del bilancio, dal momento che essa non conterrebbe alcuna garanzia riguardo alla effettiva destinazione di quote del Fondo sanitario nazionale alla copertura degli oneri di ammortamento concernenti i mutui a ripiano assunti dalle regioni (e dalle province autonome) e alla precisa indicazione delle risorse finanziarie da destinare alla predetta copertura. Questo assunto, tuttavia, non può essere condiviso, poiché gli oneri di ammortamento cui si riferisce la disposizione impugnata, ancorché concernenti il ripiano del disavanzo sanitario dell'anno 1989, ineriscono a mutui da stipulare soltanto nel secondo semestre del 1992 (v. art. 2-bis, secondo periodo) e, pertanto, come espressamente prevede la disposizione impugnata, dovranno essere finanziati soltanto a decorrere dal 1993 con "specifiche quote del Fondo sanitario nazionale all'uopo previste e vincolate". In altri termini, in considerazione del fatto che questa Corte ha già affermato che riguardo agli oneri relativi ad esercizi futuri l'adempimento del dovere costituzionale della precisa indicazione dei mezzi di copertura va valutato con minor rigore (v. sent. n. 12 del 1987), non si può ritenere che la disposizione impugnata si ponga in contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Del resto, ove nella concreta determinazione del Fondo sanitario nazionale per il 1993 non si provveda adeguatamente allo stanziamento delle somme necessarie a far fronte agli oneri di ammortamento dei mutui a ripiano del disavanzo per il 1989 assunti dalle regioni e dalle province autonome, queste ultime potranno allora far valere nelle forme dovute eventuali motivi d'illegittimità costituzionale.
4.4. - Non fondata è, infine, la questione di costituzionalità mossa nei confronti dell'ultimo periodo contenuto nell'art. 2-bis, il quale dispone che "sugli atti di alienazione vigila una commissione nominata dalla regione o provincia autonoma e presieduta da un magistrato delle giurisdizioni amministrative che si avvale delle valutazioni dei locali uffici tecnici erariali". Non può, infatti, condividersi l'assunto delle Regioni Piemonte, Lombardia, Valle d'Aosta, Lazio e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, secondo le quali la disposizione impugnata lederebbe le competenze ad esse assegnate in materia di organizzazione dei propri uffici (v. artt. 117 e 118 della Costituzione, per le regioni a statuto ordinario; nonché l'art. 2, lett. a) 4 dello Statuto della Valle d'Aosta e l'art. 8, n. 1, e 16 dello Statuto per il Trentino-Alto Adige, i quali imputano la predetta competenza alla potestà di tipo esclusivo).
In realtà, la norma contestata prevede l'istituzione di una forma di controllo-vigilanza diretta a conoscere e a verificare che gli atti di alienazione dei beni non vincolati di cui agli artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978 siano immuni da eventuali abusi e, in particolare, non diano luogo a eventuali vendite a prezzi sottostimati, che, comportando un apporto alla riduzione del deficit sanitario minore di quello preventivato dallo stesso art. 2-bis, finirebbe per danneggiare illegittimamente sia le finanze dello Stato (sulle quali è addossata la restante parte del deficit, sotto forma del pagamento degli oneri di ammortamento dei mutui), sia quelle delle altre regioni (le quali, in seguito a operazioni di vendita a prezzi sottostimati, vedrebbero illegittimamente aumentato l'ammontare della quota del Fondo sanitario nazionale destinata alla copertura dell'onere di ammortamento dei mutui). In altri termini, la disposizione impugnata prevede una commissione la quale, operando in un contesto caratterizzato da una pluralità di apporti alla copertura del debito, è finalizzata alla garanzia di un corretto coordinamento finanziario (art. 119, primo comma, della Costituzione), una garanzia che, anche in considerazione della sua concreta disciplina, è ragionevolmente commisurata all'esigenza di un'equa ripartizione del deficit fra le unità sanitarie locali delle varie regioni e fra queste e lo Stato. La commissione prevista, infatti, è configurata come organo delle singole regioni (o province autonome), nel senso che è collocata all'interno dell'ente che ha il compito istituzionale di vigilare sugli atti delle unità sanitarie locali; è, inoltre, presieduta da un magistrato delle giurisdizioni amministrative, al chiaro scopo di connotarne l'operato in direzione di un'attività di garanzia imparziale e neutrale; è, infine, vincolata ad avvalersi delle valutazioni dei locali uffici tecnici erariali, onde assicurare l'applicazione di parametri uniformi su tutto il territorio nazionale nelle stime dei beni da alienare.
Per gli stessi motivi ora enunciati va respinta anche la censura più particolare sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano, per la quale il vincolo ad avvalersi delle valutazioni dei locali uffici tecnici erariali, anziché di quelle degli analoghi uffici provinciali, lederebbe la competenza esclusiva della Provincia stessa in materia di organizzazione dei propri uffici (art. 8, n. 1, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
5. - Non fondate sono le questioni di legittimità costituzionale che tutte le ricorrenti hanno sollevato nei confronti dell'art. 3 del decreto-legge n. 262 del 1990, come modificato in sede di conversione dalla legge n. 334 del 1990.
L'articolo impugnato dispone al primo comma che "le regioni possono autorizzare le unità sanitarie locali e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari finanziati dalle quote regionali del Fondo sanitario nazionale ad assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione, per provvedere a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza entro limiti prequantificati dalle regioni stesse per ciascun ente". Lo stesso articolo, poi, stabilisce al terzo comma che le spese effettivamente sostenute in conseguenza delle autorizzazioni previste nel primo comma sono assunte a carico delle regioni e delle province autonome e sono finanziate con operazioni di mutuo, i cui oneri di ammortamento sono addossati a carico dello Stato fino alla concorrenza di lire 90.000 per cittadino residente, mentre, quanto alla differenza residua della spesa, sono coperti mediante accensione di mutui con oneri di ammortamento a carico dello Stato per il 75 per cento e, per il restante 25 per cento, sono posti a carico dei bilanci delle regioni e delle province autonome. Per tale parte, queste ultime, com'è precisato ancora nel comma 3-bis, "vi provvedono o con propri mezzi di bilancio o mediante alienazione di beni disponibili ovvero mediante la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito, da assumere anche in deroga alle limitazioni previste dalle vigenti disposizioni, avvalendosi, per la copertura delle relative rate di ammortamento, anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158".
Questo complesso di disposizioni è sospettato di incostituzionalità da parte di tutte le ricorrenti sotto un duplice profilo. In considerazione del fatto che le autorizzazioni previste nel primo comma si riferiscono a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza (e pertanto non costituirebbero esercizio di un potere discrezionale delle regioni e delle province autonome) e in considerazione del rilievo che la spesa sanitaria dipenderebbe totalmente da decisioni dello Stato o di singoli cittadini nel libero godimento di loro diritti fondamentali, le disposizioni impugnate violerebbero, innanzitutto, l'autonomia finanziaria costituzionalmente garantita alle regioni e alle province autonome, dal momento che queste ultime, contrariamente a quanto affermato più volte da questa Corte, sarebbero irragionevolmente tenute a far fronte ad oneri di spesa cui non avrebbero potuto concorrere con proprie scelte discrezionali. In secondo luogo, le stesse disposizioni contrasterebbero con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, dal momento che, a fronte della previsione di nuovi oneri, non provvederebbero a indicare i mezzi di copertura o, quantomeno, a indicarli in modo adeguato.
5.1. - Riguardo alla garanzia costituzionale dell'autonomia finanziaria delle regioni (e delle province autonome), questa Corte ha costantemente affermato il principio che non possono essere addossati ai bilanci regionali (o provinciali) gli oneri di spesa che non dipendano da decisioni imputabili alle regioni (o alle province autonome) medesime (v. sentt. nn. 245 del 1984 e 452 del 1989). E, a proposito del deficit sanitario, ha, anzi, precisato nelle stesse decisioni che non si può presupporre che le regioni (e le province autonome) siano interamente responsabili degli eventuali disavanzi delle unità sanitarie locali, dal momento che la spesa sanitaria deriva dalla esigenza di tutelare interessi pubblici o di soddisfare il godimento di diritti costituzionali dei cittadini, "la cui cura è affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla regione" (o alla provincia autonoma).
Le disposizioni oggetto dell'impugnazione in esame non si pongono in contrasto con i principi ora indicati, tenuto anche conto che la loro finalità è quella di non interrompere l'erogazione dell'assistenza sanitaria. Esse, infatti, prevedono, innanzitutto, che le unità sanitarie locali autorizzate dalle regioni o province autonome, possano sostenere spese correnti oltre gli stanziamenti di bilancio (per spese improcrastinabili e di assoluta urgenza); in secondo luogo, che i maggiori oneri siano coperti con anticipazioni di cassa; e, infine, che le regioni (e le province autonome) possano coprire i maggiori oneri per le spese sanitarie e il costo delle anticipazioni di cassa con mutui (altrimenti vietati) e con oneri a loro parziale carico. Tali disposizioni, cioè, lungi dal porre a carico delle regioni (e delle province autonome) tutte le eccedenze di spesa verificatesi in un determinato esercizio finanziario (come nel caso deciso con la sentenza n. 452 del 1989, relativa ad una disposizione la quale escludeva che le eccedenze di spesa nel settore delle prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno potessero essere addossate allo Stato), imputano ai bilanci regionali (e provinciali) soltanto una parte della spesa finanziata in eccedenza, al fine di corresponsabilizzare le unità sanitarie locali e le regioni (e province autonome) nel contenimento della spesa sanitaria. Le prime, infatti, dovranno coprire con risorse proprie le spese correnti superiori agli stanziamenti di bilancio non autorizzate dalle regioni (o province autonome); e le altre dovranno farsi carico di un quarto della spesa autorizzata, aumentata degli oneri delle anticipazioni di cassa e depurata della quota addebitabile alla sottostima del Fondo sanitario.
L'attuale indeterminatezza dei compiti e delle responsabilità dei soggetti che erogano il servizio sanitario impedisce a questa Corte una precisa quantificazione della quota del deficit sanitario riconducibile alla responsabilità di regioni (e province autonome) in relazione ai poteri che queste hanno in termini di regolazione, di vigilanza e di controllo; né le ricorrenti hanno dimostrato, davanti a questa Corte, che la quota di un quarto del deficit delle unità sanitarie locali, depurato dalla sottostima del Fondo sanitario nazionale, non corrisponde alla quota di spesa riconducibile ai propri comportamenti in materia. E, d'altra parte, non si può negare che alla formazione del deficit delle unità sanitarie locali concorrano, insieme a decisioni assunte a livello statale (riferibili, come tali, alla responsabilità dello Stato), decisioni imputabili alle regioni (e alle province autonome), come quelle vertenti in materia di piante organiche, di lavoro straordinario, di funzionamento dei servizi ispettivi e, più in generale, in tema di controlli. In questo contesto normativo e fattuale la disposizione impugnata non può essere ritenuta frutto di una irragionevole determinazione del legislatore nazionale, anche in considerazione del fatto che il decreto impugnato, come risulta dai lavori preparatori, è parte di una più ampia manovra in cui dovranno essere disegnate precise competenze accompagnate dalle corrispondenti responsabilità, anche in termini finanziari.
Né, sempre ai fini della dimostrazione relativa alla non irragionevolezza della determinazione della quota posta a carico delle regioni (e delle province autonome), può esser trascurato il rilievo che l'impugnato art. 3 prevede, al primo comma, che le regioni e le province autonome possono autorizzare le unità sanitarie locali ad assumere oneri eccedenti gli stanziamenti di spesa corrente contenuti nel bilancio di previsione soltanto se tali oneri si riferiscano a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza. Contrariamente a quanto suppongono le ricorrenti, siffatta limitazione non priva le regioni (e le province autonome) di qualsiasi potere decisionale in ordine alle spese in eccedenza da autorizzare, ma riconduce al livello regionale (e provinciale) la valutazione decisiva, tipicamente discrezionale, relativa alla ricorrenza in concreto degli estremi dell'effettiva improcrastinabilita'e dell'assoluta urgenza delle spese in eccedenza che le unità sanitarie locali intendono compiere. Si tratta, in altri termini, di una precisa previsione di corresponsabilità per le regioni (e le province autonome), diretta al fine, tutt'altro che irragionevole, di stimolare queste ultime ad effettuare severi ed effettivi controlli sulle eccedenze di spesa volute dalle unità sanitarie locali.
5.2. - Le medesime disposizioni non contrastano neppure con il principio di copertura finanziaria delle nuove spese, sancito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, per il semplice fatto che esse non pongono a carico delle regioni (e delle province autonome) oneri per i quali sussiste l'obbligo costituzionale di copertura. Infatti, se si riconosce, come si è precisato nel precedente punto della motivazione, che le regioni (e le province autonome) effettivamente dividono con lo Stato parte della responsabilità relativa alla determinazione della spesa sanitaria, non si può conseguentemente ritenere che la (non irragionevole) esplicitazione della quantificazione della quota in cui consiste tale effettiva compartecipazione costituisca un nuovo onere rispetto al quale lo Stato avrebbe dovuto indicare le risorse finanziarie per farvi fronte.
Né, al fine di dimostrare il contrario, può riconoscersi fondamento all'osservazione formulata dalle ricorrenti, secondo la quale è la stessa disposizione impugnata a presupporre che si tratti di nuovi oneri da coprire allorché indica, in modo ritenuto insufficiente, nuovi mezzi di copertura. In effetti, l'art. 3, comma 3-bis, lettera a), laddove fa riferimento agli ordinari mezzi di bilancio, all'alienazione di beni e alla contrazione di mutui o di prestiti, non indica le risorse previste per far fronte ai disavanzi di spesa, ma, più semplicemente, elenca le varie modalità attraverso le quali le regioni (e le province autonome) reperiranno, a loro discrezione, i mezzi di copertura per far fronte alla quota del disavanzo di cui sono (non irragionevolmente) ritenute responsabili.
Del pari, non può condividersi l'assunto delle ricorrenti circa l'irrazionalità e l'illegittimità dell'asserita imposizione alle regioni (e alle province autonome) di oneri riferentisi a disavanzi prodottisi nell'esercizio finanziario 1990, ormai pressoché concluso. In realtà, gli oneri di ammortamento dei mutui che le regioni (e le province autonome) contrarranno sulla base delle disposizioni impugnate, o qualsiasi altro mezzo di copertura che esse sceglieranno, dovranno essere imputati a bilanci relativi a esercizi finanziari futuri, di modo che gli oneri conseguenti potranno essere ripartiti in relazione alle risorse disponibili per lo svolgimento delle varie funzioni ad esse affidate. Viene meno, così, il rilievo sottolineato dalle ricorrenti, in base al quale le disposizioni impugnate comporterebbero un'alterazione degli impegni di spesa già legittimamente assunti in sede di bilancio di previsione per il 1990, tanto più che, come si è precedentemente ricordato, il ricorso ai mezzi di bilancio è considerato dall'art. 3, comma 3-bis, lettera a), soltanto come una delle possibili modalità, e non l'unica, da seguire per il reperimento dei mezzi di copertura finanziaria.
Allo stesso modo, per i motivi appena enunciati, perde significato il dubbio di costituzionalità, formulato dalle Regioni Lombardia e Piemonte e dalla Provincia di Trento, in base al quale la previsione che ai relativi oneri si faccia fronte "mediante utilizzo di quota parte del Fondo sanitario nazionale all'uopo prevista e vincolata" (art. 3, comma 3-quater) non conterrebbe alcuna garanzia circa l'effettiva destinazione delle predette quote alla copertura degli indicati oneri e si porrebbe, pertanto, in contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Infatti, analogamente a quanto osservato nel precedente punto 4.3 della motivazione riguardo a una simile censura mossa all'art. 2-bis, l'imputazione della copertura dei ricordati oneri a esercizi finanziari futuri non permette di valutare oggi quale sarà allora la dotazione del Fondo sanitario nazionale e, in particolare, non esige che sia prevista sin da oggi la precisa predisposizione e quantificazione dei mezzi per la relativa copertura finanziaria.
5.3. - Manifestamente non fondata è, poi, la questione di legittimità costituzionale che la Regione a statuto speciale Valle d'Aosta ha sollevato nei confronti del menzionato art. 3, nonché degli artt. 1 e 2- bis del decreto-legge n. 262 del 1990, per violazione dell'art. 38, quarto comma, della Costituzione, sul presupposto che la spesa per l'assistenza sanitaria e ospedaliera debba esser considerata totalmente a carico dello Stato, essendo relativa a un servizio imputabile soltanto a quest'ultimo. La ricorrente, infatti, muove dall'errata premessa che la disposizione costituzionale, secondo la quale "ai compiti previsti in questo articolo (scil.: assistenza per malattia) provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato", abbia l'effetto di cancellare la competenza concorrente che la Regione Valle d'Aosta possiede in materia di assistenza sanitaria per effetto dell'art. 3, lettera l), del proprio Statuto speciale, come attuato dall'art. 22 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182.
Manifestamente non fondata è, altresì, la questione di legittimità costituzionale che la Regione Valle d'Aosta ha sollevato nei confronti delle disposizioni del decreto-legge n. 262 del 1990 da ultimo citate in riferimento all'art. 12, terzo comma, del proprio Statuto speciale, il quale prevede che lo Stato assegni alla Regione contributi speciali per provvedere a scopi determinati che non rientrino nelle funzioni normali della Valle. In realtà, come si è appena detto, la ricorrente muove dall'errata premessa che l'assitenza sanitaria e ospedaliera non rientri nelle competenze "normali" della Regione e, pertanto, adduce a torto una lesione in effetti inesistente.
5.4. - Manifestamente non fondate sono, infine, le questioni più particolari che la Regione Siciliana ha sollevato nei confronti del medesimo art. 3. Non può, infatti, condividersi minimamente l'assunto che le disposizioni impugnate si pongano in contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), poiché, per i motivi già espressi nei punti precedenti, l'art. 3 mira, al contrario, a rendere più rigorosi i poteri di controllo che la Regione possiede in materia di spesa sanitaria. Né, sempre per gli stessi motivi enunciati al punto precedente, può riconoscersi alcun valore alla censura basata sull'asserito compito dello Stato di provvedere in via esclusiva alla tutela della salute dei cittadini; né a quella sul preteso assorbimento delle entrate dovute a titolo di contributo di solidarietà (art. 38 del proprio Statuto), trattandosi di oneri che la Regione deve sostenere per lo svolgimento di funzioni ad essa attribuite in una materia diversa da quella indicata nel citato art. 38.
6. - Va, infine, dichiarata la manifesta inammissibilità del conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Marche nei confronti dello Stato in relazione al decreto-legge n. 262 del 1990, convertito nella legge n. 334 del 1990, con particolare riferimento alle modificazioni introdotte in sede di conversione all'art. 3 del decreto-legge. Questa Corte, infatti, ha già escluso (v. sent. n. 314 del 1990) che il conflitto di attribuzione tra Stato e regioni possa avere ad oggetto atti aventi forza o valore di legge e non ha motivo di distaccarsi da tale orientamento. Occorre, poi, rilevare che il ricorso proposto dalla Regione Marche è parimenti inammissibile anche se lo si consideri, secondo un suo possibile significato sostanziale, come mezzo di proposizione in via principale di una questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 3. Esso, infatti, pur se è stato notificato tempestivamente al Presidente del Consiglio dei ministri, è stato depositato nella cancelleria di questa Corte il 7 gennaio 1991, e cioè oltre il termine di dieci giorni dalla notificazione, previsto dalle Norme integrative per i giudizi di legittimità costituzionale in via principale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262 ("Misure urgenti per il finanziamento della maggior spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988, e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa al 1990"), convertito, con modificazioni, nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 117, 118, 119, 3, 81, ultimo comma, e 97 della Costituzione, dalla Regione Lazio, in riferimento agli artt. 3, 81, ultimo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 3, 81, ultimo comma, e 116 della Costituzione, nonché al titolo III dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4) e dalle Regioni Lombardia e Piemonte, in riferimento agli artt. 119 e 81, ultimo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 3 della legge 14 giugno 1990, n. 158;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, ultima parte, del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Regioni Lombardia e Piemonte, in riferimento agli artt. 119 e 81, quarto comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158, e dalla Regione Campania, in riferimento all'art. 119 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2-bis, primo periodo, del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 116 della Costituzione, e 4, primo comma, e 3, lett. f) e l) dello Statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta; dalle Regioni Piemonte e Lombardia, in riferimento agli artt. 117, 118, 119, 3 e 81, quarto comma, della Costituzione; dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 3 e 81, quarto comma, della Costituzione, nonché agli artt. 9, n. 10, e 16 e al titolo VI (artt. 69-86) del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione; dalla Regione Lazio, in riferimento all'art. 117 della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2-bis, secondo periodo, del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Regioni Piemonte e Lombardia, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 della Costituzione, e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 9, n. 10, e 16 e all'intero titolo VI (artt. 69-86) del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2-bis, terzo periodo, del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Regioni Piemonte e Lombardia e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2-bis, ultimo periodo, del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 2 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta); dalle Regioni Piemonte, Lombardia e Lazio, in riferimento all'art. 117 della Costituzione; dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 8, n. 1, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione, e dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli artt. 8, n. 1, 9, n. 10, 16 e 54, primo comma, n. 3 del citato d.P.R. n. 670 del 1972 e relative norme di attuazione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito con modificazioni nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 116 della Costituzione, nonché agli artt. 3, lett. f) ed l), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta); dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli artt. 8, 9, n. 10, e 16 e al titolo VI (artt. 69-86) del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e relative norme di attuazione; dalle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, in riferimento all'art. 119 della Costituzione; dalla Regione Campania, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione; dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, anche in combinato disposto con gli artt. 3, primo comma, 81, quarto comma, e 97 della Costituzione; dalle Regioni Piemonte e Lombardia, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione, anche in relazione agli artt. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158; dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 9, n. 10, 8, n. 1, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), al titolo VI (artt. 69-86) del predetto d.P.R., all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, anche in relazione agli artt. 26 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990, n. 158, e 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386; dalla Regione Lazio, in riferimento agli artt. 117, 118, 119, 81, quarto comma, della Costituzione; dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 17, lett. b) e c), e 36 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana), nonché agli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma, 2- bis e 3 del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento all'art. 38 della Costituzione e all'art. 12 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto della Valle d'Aosta);
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione siciliana, in riferimento agli artt. 32 e 97 della Costituzione e all'art. 38 del r.d. lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana);
dichiara la manifesta inammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe, nei confronti dello Stato, in relazione al decreto-legge 15 settembre 1990, n. 262, convertito nella legge 19 novembre 1990, n. 334.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 23 maggio 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 18 giugno 1991.