Ordinanza n. 234 del 1991

 

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ORDINANZA N. 234

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                  Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 418, primo comma, 419, quinto e sesto comma, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 21 dicembre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Foggia (n. 1 ordinanza) ed il 14 e 15 dicembre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona (n. 5 ordinanze), iscritte rispettivamente ai nn. 100, 102, 103, 106, 107 e 108 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 9 e 10, prima serie speciale dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 1991 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

Ritenuto:

A) che il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Foggia, con ordinanza emessa il 21 dicembre 1990 (R.O. n. 100/1991) nel procedimento penale contro Battaglino Francesco, il quale aveva rinunciato all'udienza preliminare, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, 102, primo comma, 107, terzo comma, e 112 della Costituzione, dell'art. 419, sesto comma, del codice di procedura penale, in quanto non prevede che il giudice emetta il decreto di giudizio immediato, su richiesta dell'imputato, (solo) quando la prova risulta evidente;

che il giudice a quo censura il carattere vincolante della scelta unilaterale di giudizio immediato compiuta dall'imputato, ritenendolo incoerente con l'impostazione generale del codice, che, mentre aderisce al modello accusatorio, ancorato alla parità delle parti, stabilisce in via generale l'indefettibilità del controllo ad opera del giudice terzo, così come avviene in particolare per la richiesta di giudizio immediato da parte del pubblico ministero (il cui accoglimento è subordinato al concorso di taluni presupposti, verificabili dal giudice per le indagini preliminari: artt. 453, 454 e 455 codice di procedura penale), nonché nel caso di applicazione di pena su richiesta (art. 444, secondo comma, stesso codice) e di giudizio abbreviato (art. 440 stesso codice);

che il predetto carattere vincolante, attribuito alla sola richiesta dell'imputato, per un verso limiterebbe i poteri del pubblico ministero, inerenti all'attività di ricerca della prova prima o nel corso dell'udienza preliminare, ai fini della conclusione dell'udienza stessa, con conseguente lesione del princìpio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione), e con violazione del princìpio dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 della Costituzione), e per altro verso priverebbe il giudice per le indagini preliminari di potestà discrezionale valutativa, coessenziale alla funzione giurisdizionale (artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione) relativamente alla scelta delle strategie processuali e relativamente al concorso delle condizioni sostanziali della scelta, non potendosi ammettere che l'udienza preliminare sia prevista solo in funzione di garanzia dell'imputato, atteso che con questa concorre, ed è anzi prevalente, l'esigenza deflattiva dei carichi giudiziari;

B) che il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona, con ordinanza emessa il 13 dicembre 1990 (R.O. n. 106/1991), nel procedimento penale contro Peverieri Francesco, ritenendo che sarebbe stata più opportuna, in luogo della richiesta di rinvio a giudizio previa udienza preliminare ex art. 416 e seguenti del codice di procedura penale, la richiesta, da parte del pubblico ministero, del giudizio immediato ai sensi dell'art. 453 e seguenti dello stesso codice, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione, degli artt. 418, primo comma, e 419, commi quinto e sesto, del codice di procedura penale;

che, ad avviso del giudice a quo, l'art. 418, primo comma, determinerebbe un "intasamento qualitativo-quantitativo dell'udienza preliminare", riducendola a "meccanismo rituale obbligato", in quanto inibisce al giudice ogni controllo sulla scelta operata dal pubblico ministero, laddove l'art. 455 dello stesso codice gli consente di rigettare la richiesta di giudizio immediato formulata dal pubblico ministero; mentre l'art. 419, commi quinto e sesto, sarebbe lesivo dei suindicati precetti costituzionali, in quanto subordina alla discrezionalità dell'imputato il rifiuto dell'udienza preliminare;

C) che analoghe questioni lo stesso giudice ha sollevato con ordinanza emessa il 15 dicembre 1991 (R.O. n. 108/1991) nel procedimento penale a carico di Perini Pasquale, con motivazione conforme;

D) che analoghe questioni lo stesso giudice ha sollevato con altre tre ordinanze, emesse in data 14 dicembre 1990, nei procedimenti penali contro Orazi Giuliana (R.O. n. 102/1991), Tosi Domenico (R.O. n. 103/1991) e Gagliardi Luciano (R.O. n. 107/1991), motivando con riferimento ad altre ordinanze, che si dichiarano allegate;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha contestato la fondatezza delle questioni;

Considerato che:

1) quanto alle questioni sub D, poiché le ordinanze sono motivate, in punto di non manifesta infondatezza e di rilevanza, per relationem, mediante rinvio ad altri provvedimenti, esse vanno dichiarate manifestamente inammissibili, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ordd. nn. 148, 466 e 521 del 1989);

2) che la questione concernente l'art. 419, quinto e sesto comma, del codice di procedura penale, sollevata con le ordinanze nn. 106 e 108/1991, menzionate sub B e C, del pari va dichiarata manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, atteso che non risulta dall'ordinanza che nei relativi giudizi l'imputato avesse rinunciato all'udienza preliminare e richiesto il giudizio immediato;

3) che, quanto alla questione sollevata con l'ordinanza n. 100/1991, menzionata sub A, contrariamente a quel che ritiene il giudice a quo, l'udienza preliminare, in coerenza con il modello accusatorio del processo, assolve soprattutto, ed anzi per quanto concerne la posizione delle parti esclusivamente, alla funzione di garanzia dell'imputato come vaglio della sostenibilità dell'accusa (all'imputato è estranea l'esigenza deflattiva dei dibattimenti, il cui perseguimento, peraltro, è fine solo eventuale e indiretto dell'udienza preliminare);

che, pertanto, la richiesta di giudizio immediato da parte dell'imputato, in quanto si sostanzia della rinunzia alla detta garanzia, si configura quale scelta libera e insindacabile dell'imputato stesso (di cui sono irrilevanti gli interni motivi), non subordinata come tale al concorso di specifici presupposti e quindi non soggetta al controllo dell'avveramento di essi da parte del giudice;

che ciò non offende i precetti di cui rispettivamente agli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, e non ammette il raffronto (art. 3 della Costituzione) con la disciplina della richiesta di giudizio immediato da parte del pubblico ministero, richiesta la quale, siccome tende a privare l'imputato della garanzia in parola, è altrettanto ragionevolmente subordinata invece al concorso di specifici presupposti (in particolare l'evidenza della prova, l'avvenuto interrogatorio dell'imputato o equipollenti, il mancato decorso di un dato termine) e assoggettata al controllo dell'avveramento di essi (artt. 453, 454, 455);

che analogamente va ritenuto in ordine alla denunciata diversità di disciplina fra richiesta di giudizio immediato da parte dell'imputato e richiesta, da parte dell'imputato stesso, di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444, secondo comma) o di giudizio abbreviato (art. 440);

che, invero, nel primo caso la legge, secondo quanto si è detto non illegittimamente, configura una scelta libera e insindacabile dell'imputato (rinunzia a una garanzia predisposta a suo favore), mentre negli altri due casi, non trattandosi di interesse esclusivo dell'imputato e da lui disponibile, la percorribilità dei relativi itinerari processuali è ovviamente subordinata all'avveramento di specifici presupposti (quali il consenso di entrambe le parti, la possibilità, per il giudizio abbreviato, della definizione allo stato degli atti ex art. 440, primo comma, e, per la applicazione della pena su richiesta, la corretta qualificazione giuridica del fatto e la corretta applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti ex art. 444, secondo comma), sicché appare necessario, a differenza che nel primo caso, il controllo del giudice sull'avveramento di essi;

che la censurata limitazione dei poteri di ulteriori indagini del pubblico ministero non altera l'equilibrio dei rapporti tra difesa e accusa a danno di questa, e ciò in quanto da un lato tali poteri, finalizzati al solo rafforzamento della sostenibilità dell'accusa in sede di vaglio della sostenibilità stessa mediante l'udienza preliminare, vengono meno in conseguenza della rinunzia unilaterale al vaglio da parte dell'imputato - rinunzia la cui previsione, secondo quanto è stato sopra detto, non è costituzionalmente illegittima - dall'altro lato, nel complessivo svolgimento del processo, in luogo di essi subentrano quelli relativi all'attività integrativa di indagine del pubblico ministero ai fini delle proprie richieste di merito nel dibattimento ai sensi dell'art. 430;

che non è pertinente il richiamo all'art. 112 della Costituzione, poiché il pubblico ministero, con la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416, ha già esercitato l'azione penale;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata;

4) che, per quanto attiene alla questione sollevata con le ordinanze nn. 106 e 108/1991, menzionate sub B e C, e relativa all'art. 418, primo comma, la denuncia di violazione dell'art. 2 della Costituzione non è sorretta da alcuna motivazione;

che la denuncia di violazione del principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) poggia sul raffronto fra due situazioni incomparabili, come sono la richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio previa udienza preliminare e la richiesta del pubblico ministero di giudizio immediato, e che la diversa strutturazione del controllo del giudice nelle due ipotesi trova la sua giustificazione nell'essere l'udienza preliminare essenzialmente preordinata a garanzia dell'imputato;

che, per quanto concerne gli altri parametri invocati, l'attribuzione alle parti della scelta del rito - attribuzione cui va ricondotta la lamentata indisponibilità dello stesso da parte del giudice (tale è la sostanza della censura) - non urta contro l'art. 97 della Costituzione neanche quando non riesce a realizzare in concreto la deflazione dei dibattimenti, in quanto il cennato precetto non impone ad ogni costo tale deflazione (che d'altronde, come già accennato, è fine solo eventuale e indiretto dell'udienza preliminare), né contro l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, il quale non esclude presupposti rimessi all'iniziativa delle parti del giudizio penale né impone l'unicità del rito o la riserva al giudice della scelta fra riti alternativi;

che pertanto la questione deve dichiararsi manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi:

1) dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione, degli artt. 418, primo comma, e 419, commi quinto e sesto, del codice di procedura penale, sollevate dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona con le ordinanze nn. 102, 103 e 107/1991;

2) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai suindicati parametri, dell'art. 419, commi quinto e sesto, del codice di procedura penale, sollevata dal medesimo giudice con le ordinanze nn. 106 e 108/1991;

3) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai suindicati parametri, dell'art. 418, primo comma, del codice di procedure penale, sollevata dal medesimo giudice con le ordinanze nn. 106 e 108/1991;

4) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, 102, primo comma, 107, terzo comma, e 112 della Costituzione, dell'art. 419, sesto comma, del codice di procedura penale, sollevata dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Foggia con l'ordinanza n. 100/1991.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 30 maggio 1991.