ORDINANZA N. 223
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Prof. Giuseppe BORZELLINO “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 63 del codice di procedura penale del 1930, in relazione all'art. 241 delle disposizioni transitorie del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 novembre 1990 dalla Corte d'appello di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Ciambrone Francesco ed altri, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 1991 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;
Ritenuto che nel corso di un procedimento penale due componenti della Corte d'appello di Catanzaro avevano proposto dichiarazione di astensione per asserita incompatibilità (avendo esercitato, in relazione allo stesso procedimento, rispettivamente, le funzioni di Giudice istruttore e di Pubblico Ministero), ma l'istanza in tal senso era stata respinta dal Presidente della Corte stessa con decreti motivati dalla considerazione che le funzioni svolte dagli istanti non avevano mai implicato attività valutativa circa la responsabilità degli imputati;
che il collegio, composto in maggioranza dagli interessati, ha quindi sollevato, con ordinanza emessa il 13 novembre 1990, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 2 della Costituzione, dell'art. 63 del codice di procedura penale del 1930, in relazione all'art. 241 delle disposizioni transitorie del nuovo codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il magistrato, il quale abbia presentato dichiarazione d'astensione, possa poi proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del Presidente della Corte d'appello (o del Tribunale) che l'abbia rigettata;
che il giudice a quo osserva come la legge consenta in caso di ricusazione che l'interessato possa proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide circa la relativa dichiarazione, così riconoscendogli la titolarità di un autonomo interesse nel procedimento incidentale e garantendogli quella serenità di giudizio che la norma impugnata, viceversa, sacrificherebbe;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, preliminarmente eccependo l'inammissibilità e concludendo nel merito per l'infondatezza in ragione dell'obiettiva diversità tra l'ipotesi considerata e la ricusazione.
Considerato che il giudice a quo ha sollevato la questione allorché avrebbe dovuto pronunciarsi circa l'ulteriore corso del dibattimento e cioè in una fase processuale in cui il procedimento incidentale d'astensione si era ormai concluso, con l'emissione del relativo provvedimento da parte del Presidente della Corte;
che, pertanto, non il collegio rimettente ma i magistrati che presentarono dichiarazione di astensione avrebbero potuto, se del caso, proporre, uti singuli, ricorso per cassazione avverso il provvedimento presidenziale, e richiedere nel giudizio davanti alla suprema Corte, proprio perché normativamente inammissibile, che fosse sollevato il dubbio di legittimità sul punto;
che, stante l'autonomia del giudizio incidentale di ricusazione rispetto a quello principale, questa Corte si è già espressa nel senso di escludere che il giudice del procedimento principale possa prospettare questioni attinenti alla normativa regolatrice dell'incidente che personalmente lo riguarda (sentenza n. 138 del 1983), sicché analogo principio deve a fortiori valere nel caso della astensione, trattandosi di un istituto che configura un dovere del giudice, che precede e prevale rispetto alla ricusazione, riservata all'impulso delle parti;
che la questione è perciò manifestamente inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 63 del codice di procedura penale del 1930, in relazione all'art. 241 delle disposizioni transitorie del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 2 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Catanzaro con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 24 maggio 1991.