SENTENZA N. 138
ANNO 1983
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 64 cod. proc. pen. (motivi di ricusazione) promosso con ordinanza emessa il 9 giugno 1976 dal Pretore di La Spezia, nel procedimento penale a carico di Dovicchi Sebastiano, iscritta al n. 710 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 12 gennaio 1977.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1983 il Giudice relatore Ettore Gallo;
udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un dibattimento penale, e subito dopo le formalità di apertura, il Pretore di La Spezia, dato atto che il giorno precedente l'imputato aveva presentato nella Cancelleria della Pretura dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'art. 64 nn. 2 e 3 cod. proc. pen., sollevava, con ord. 9 giugno 1976, questione di legittimità costituzionale dell'art. 64 cod. proc. pen. in relazione all'art. 107 terzo comma Cost.
Precisava il Pretore nell'ordinanza di avere rilevato, in sede di "individuazione", e non di valutazione, dei motivi addotti dal ricusante, che questi trovano il loro fondamento non nella sua attività di giudice, bensì in attività di mera natura accusatoria, in quanto da lui poste in essere quale organo cui spetta il promuovimento dell'azione penale, nell'ambito ovviamente dei reati di propria competenza.
Dopodiché, affermata l'assoluta identità di natura tra la funzione istruttoria pretorea e quella del pubblico ministero in ordine ai reati di sua competenza, ricorda il Pretore che, a norma dell'art. 73 cod. proc. pen., il rappresentante del p.m. non può essere ricusato per alcun motivo. Dal che deriva - secondo il giudice a quo - che a sostanziale identità di funzioni debba corrispondere identità di trattamento in ordine alla possibilità di ricusazione.
Pertanto, non apparirebbe manifestamente infondata l'impugnazione dell'art. 64 cod. proc. pen. in relazione all'art. 107, terzo comma, Cost., quando la ricusazione si riferisca ad attività svolte dal Pretore ai sensi degli artt. 74 e 398 cod. proc. pen.: e ciò in quanto il parametro costituzionale fonda appunto sulla diversità della funzione la distinzione fra magistrati.
Alla base della fondatezza starebbero le seguenti considerazioni: 1) che altrimenti il giudice verrebbe ad essere privato della facoltà di valutare l'opportunità di astenersi; 2) che sarebbe direttamente meritevole di tutela l'interesse del singolo giudice a non vedersi sottratti, senza giustificato motivo, procedimenti di cui sia stato investito; 3) che una diversa soluzione incrementerebbe ricusazioni reiterate e pretestuose, volte a ritardare la definizione di processi soggetti a termini di prescrizione brevi.
Quanto alla rilevanza, ritiene il Pretore che la soluzione della questione di legittimità costituzionale si ponga come preliminare rispetto agli stessi adempimenti di cui agli artt. 66 e s. cod. proc. pen.
Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, che la sollevata questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
In punto rilevanza, osserva infatti l'Avvocatura che il Pretore non é legittimato a proporre la questione dato che la competenza a decidere, anche sull'ammissibilità della dichiarazione di ricusazione, spetta al Tribunale. Né può essere ritenuta preliminare la risoluzione della questione rispetto a un mero adempimento dovuto, da parte del cancelliere, qual é la trasmissione della dichiarazione di ricusazione al Tribunale competente.
Quanto poi alla fondatezza, rileva l'Avvocatura che diverse sarebbero le funzioni pretoree rispetto a quelle esplicate dal p.m., per cui non sussisterebbe la lamentata differenza di trattamento: ed in realtà - si precisa - gli schemi dell'attuale orientamento dottrinario qualificano come "giurisdizionale" anche l'attività istruttoria del Pretore. D'altra parte, se il Pretore ritiene, invece, la identità di quelle funzioni con quelle del p.m., non essendovi norma che preveda la ricusazione in ordine alle dette funzioni, nulla impediva al Pretore - secondo l'Avvocatura - di non darsi carico della ricusazione, conseguentemente omettendo di sollevare la questione.
Dev'essere, infine, aggiunto, a precisazione della situazione di fatto, che agli atti non esiste copia della dichiarazione di ricusazione, né i motivi addotti risultano aliunde, se non dal laconico riferimento dell'ordinanza, di cui s'é detto. In proposito, però, dev'essere rilevato che mentre il Pretore allude soltanto a motivi che trovano il loro esclusivo fondamento nelle attività accusatorie, egli stesso, però, informa che la ricusazione investe i nn. 2 e 3 dell'art. 64 cod. proc. pen.; e - com'è noto - il n. 2 concerne comportamenti tenuti dal magistrato "fuori dall'esercizio delle funzioni giudiziarie", e il n. 3 contempla addirittura l'inimicizia grave fra il magistrato procedente, o alcuno dei suoi prossimi congiunti, e talune delle parti private del processo. Situazione quest'ultima che non può evidentemente riferirsi soltanto all'attività istruttoria.
Considerato in diritto
Va innanzitutto esaminata l'ammissibilità della questione sollevata.
Già dal testo dell'ordinanza affiorano le prime perplessità, in quanto non é dato assolutamente d'intendere se i motivi di ricusazione si riferiscano effettivamente all'attività accusatoria, come assume il Pretore. Ricorda, infatti, l'ordinanza, che l'istanza risulta, invece, fondata sui nn. 2 e 3 dell'art. 64 cod. proc. pen.; e le cause di ricusazione ivi previste si riferiscono a situazioni che coinvolgono non soltanto l'attività istruttoria, ma anche la fase del dibattimento.
Se il Pretore ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento "fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie", (n. 2), quand'anche storicamente ciò fosse avvenuto durante il periodo istruttorio, il motivo rimane fermo e coinvolge il Pretore anche quando si accinga a celebrare il dibattimento. Del tutto indipendente, poi, dagli stati del processo é la circostanza di cui al n. 3, che contempla la grave inimicizia del Pretore, o di taluno dei suoi prossimi congiunti, coll'imputato o colle altre parti private.
Ne deriva che una siffatta situazione d'incertezza e di contraddittorietà sui motivi della ricusazione renderebbe comunque impossibile valutare la fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale, determinandone l'inammissibilità.
Del resto, quand'anche fondati dovessero ritenersi i rilievi del Pretore in ordine all'irricusabilità del detto magistrato nella fase che precede il dibattimento per l'asserita assimilazione dell'inerente attività a quella del pubblico ministero (ma non dunque ove esplicasse le funzioni del giudice istruttore), non si capisce perché - né lo spiega l'ordinanza - venga impugnata la disposizione di cui all'art. 64 cod. proc. pen., che contempla esclusivamente i motivi di ricusazione e non i limiti dell'istituto della ricusazione.
Senonché, poi, ben altre e più penetranti ragioni convincono comunque dell'inammissibilità della sollevata questione. Secondo il Pretore, la soluzione della questione di legittimità si porrebbe come preliminare rispetto agli adempimenti di cui agli artt. 66 e seg. cod. proc. pen. Senonché, nel detto articolo non si leggono adempimenti che concernano attività giurisdizionale del Pretore nell'ambito della procedura di ricusazione. L'art. 66 citato prevede soltanto che la dichiarazione di ricusazione sia presentata, assieme ai documenti che vi si riferiscono, al cancelliere del Giudice che istruisce o che procede al dibattimento o che deve deliberare in Camera di Consiglio.
Il magistrato ricusato, pertanto, non é destinatario della presentazione stessa, e tantomeno dell'atto di ricusazione sul quale, à sensi dell'art. 68 cod. proc. pen., sono competenti a giudicare Organi diversi.
Quegli adempimenti, pertanto, si sostanziano nell'atto dovuto della mera trasmissione del fascicolo concernente la ricusazione al giudice competente, ad iniziativa ed opera del Cancelliere: e non può esservi, quindi, rispetto ad essi, veruna pregiudizialità. Questo assunto trova conferma proprio nel sistema delineato dal codice di rito che non ammette sospensione del processo principale in corso per il solo fatto della presentazione dell'atto di ricusazione.
Secondo il disposto di cui all'art. 69 cod. proc. pen., infatti, dopo che il giudice competente a giudicare sulla ricusazione ne abbia riconosciuto l'ammissibilità, e ordinato che ne sia avvertito il giudice ricusato, questi - dopo tale notizia - può compiere soltanto atti urgenti d'istruzione. Il che significa che, salvo tali atti, solo da quel momento il processo principale resta di fatto sospeso, fino a quando l'incidente di ricusazione non sia stato comunque risolto. Infatti, se la ricusazione venisse accolta, il giudice che l'ha decisa, designerebbe altro magistrato a surrogare il ricusato (art. 70, terzo comma cod. proc. pen.).
Ammettendo il giudice a quo a sollevare questioni di legittimità costituzionale in ordine all'incidente di ricusazione che lo riguarda, gli si consentirebbe d'infrangere virtualmente un siffatto sistema, in quanto si farebbe dipendere dalla sua discrezione la sospensione del processo principale, che il legislatore ha invece riservato di fatto all'intervento del giudice competente dopo la valutazione dell'ammissibilità dell'atto di ricusazione.
Tutto ciò, d'altra parte, é conseguenza dell'autonomia del giudizio incidentale di ricusazione rispetto a quello del processo principale. Infatti, se il giudice della ricusazione, favorevolmente valutata l'ammissibilità, ritenesse di sollevare a quel punto la questione di legittimità costituzionale, sarebbe l'incidente di ricusazione a rimanere sospeso. I1 processo principale, invece, resterebbe sospeso di fatto e soltanto indirettamente, salvo gli atti indifferibili, sempre a causa della notizia del positivo giudizio di ammissibilità della ricusazione pronunziata dal giudice competente.
Anche in tal caso, quindi, la conseguente indiretta sospensione del processo principale resterebbe comunque affidata al provvedimento del giudice della ricusazione e alla notizia che questi ne fa dare al giudice ricusato.
Del resto, anche a tener conto di quella parte non pacifica della giurisprudenza ordinaria secondo cui al giudice ricusato competerebbe la delibazione delle palmari cause di inammissibilità ictu oculi, non può disconoscersi che una questione di legittimità che coinvolge ardue e contrastate problematiche sulla complessa natura dell'attività pretorea non può in alcun modo essere paragonata a quelle situazioni d'intuitiva evidenza.
Altro é, infatti, dichiarare l'inammissibilità di un'istanza di ricusazione sicuramente presentata fuori termine, o da chi manifestamente non é legittimato, per proseguire nel giudizio principale, altro é invece, sospenderlo per investire la Corte Costituzionale a seguito di un giudizio di non manifesta infondatezza
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 64 cod. proc. pen. sollevata dal Pretore di La Spezia, con ordinanza 9 giugno 1976, in riferimento all'art. 107, terzo comma, Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 1983.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 16 maggio 1983.