SENTENZA N. 182
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 37, secondo comma, e 39 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promosso con ordinanza emessa il 25 giugno 1990 dal Tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna in Bologna nel procedimento penale a carico di Caravello Pietro, iscritta al n. 637 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1990;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 20 marzo 1991 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di procedimento penale a carico di un minore nei confronti del quale il Pubblico Ministero aveva richiesto l'applicazione in via provvisoria di una misura di sicurezza, il Tribunale per i minorenni di Bologna, con ordinanza emessa in data 25 giugno 1990, ha sollevato, in relazione all'art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 37, secondo comma, e 39 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni).
Il giudice a quo osserva che i fatti per i quali si procede ed il comportamento contestato all'imputato - oltre ai reati di furto aggravato e guida senza patente, specificamente l'incendio di un cassonetto della nettezza urbana - rientrano nella normale delinquenza minorile e non denotano quella proclività ad attentare alla "sicurezza collettiva" richiesta dalla legge per l'applicazione della misura. Ciò motiverebbe il rigetto della richiesta del Pubblico Ministero".
Tuttavia, secondo il Tribunale, la circostanza che le norme impugnate abbiano circoscritto la possibilità di ricorrere alle misure di sicurezza (non essendo più sufficiente la tradizionale pericolosità sociale, ma richiedendosi la più accentuata tendenza ad attentare alla sicurezza collettiva) rappresenterebbe uno "sconfinamento" rispetto ai poteri conferiti dalla delega.
In proposito l'art. 3 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, pur contenendo, con riguardo al processo minorile, la previsione di adeguamento ed integrazione dei principi” generali del nuovo processo, non contemplerebbe le misure di sicurezza.
2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione in ragione dell'ampiezza della delega, da intendersi estesa a tutti gli istituti suscettibili di applicazione nel processo.
A parere dell'Autorità intervenuta, le norme impugnate rispondono all'esigenza di rendere espliciti i parametri di valutazione della pericolosità, nonché di armonizzare la disciplina delle misure di sicurezza con altri istituti analoghi.
Considerato in diritto
1. - Sono impugnati gli artt. 37, secondo comma, e 39 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), concernenti, rispettivamente, l'applicazione provvisoria e quella disposta nel dibattimento delle misure di sicurezza a carico degli imputati minorenni.
Secondo il Tribunale rimettente l'aver circoscritto a ben delimitate ipotesi i presupposti per tale applicazione concreterebbe una modificazione di carattere sostanziale e non già soltanto processuale della normativa, con conseguente violazione dell'art. 76 della Costituzione, per l'asserito eccesso dall'ambito della delega di cui all'art. 3 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale).
2. - La questione concerne quindi due ben distinti profili, ma soltanto il primo di questi viene in evidenza nel giudizio a quo, il cui oggetto è l'accertamento della pericolosità del minore al fine dell'applicazione provvisoria della misura di sicurezza. A tale giudizio il Tribunale è chiamato per effetto della trasmissione degli atti disposta dal giudice delle indagini preliminari - ex art. 37, terzo comma, della legge n. 448 del 1988 - dopo che questi, con decreto di archiviazione del procedimento penale ha contestualmente respinto la richiesta di misura di sicurezza in via provvisoria formulata dal Pubblico Ministero.
È evidente quindi come il tema dell'applicazione in via definitiva, prevista cioè con sentenza dibattimentale di assoluzione o di condanna, sia estraneo alla fattispecie di rinvio e come la relativa questione - risultando irrilevante - vada dichiarata inammissibile.
3. - Non fondata è invece la questione concernente il denunciato eccesso di delega nella individuazione dei presupposti della misura di sicurezza, ai fini dell'applicazione provvisoria.
La direttiva di cui al n. 96 dell'art. 2 della legge di delegazione impone un "giudizio di effettiva pericolosità ove questa debba essere accertata per l'applicazione, l'esecuzione o la revoca delle misure di sicurezza". Con riferimento specifico all'imputato minorenne, il Governo è altresì delegato - ex art. 3 della legge citata - a porre una disciplina "secondo i principi' generali del nuovo processo penale, con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalla esigenza della sua educazione". Ancor più in particolare, la medesima norma individua al punto e), tra i principi' informatori del processo, il "dovere del giudice di valutare compiutamente la personalità del minore sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale".
Il sistema risultante dalla legge 22 settembre 1988, n. 448 appare, in subiecta materia, pienamente informato ai principi' della delega: il momento processuale nel quale, necessariamente, si realizza l'applicazione della misura di sicurezza è adeguato alle esigenze educative ed alle finalità di recupero sociale che connotano la specificità minorile. L'istituto della misura di sicurezza viene rapportato a tali istanze fondamentali attraverso un'accentuazione del carattere giurisdizionale del procedimento, in tutti i passaggi descritti dall'art. 37 e, per di più, con il richiamo espresso al procedimento di sorveglianza. Ma tale funzionalizzazione dei meccanismi processuali alla personalità del minore si coglie ancor meglio nella valutazione della pericolosità.
In tale fase, quale presupposto per l'applicazione della misura è richiesto, oltre alle condizioni di cui all'art. 224 del codice penale, anche il concreto pericolo - per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato - "che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata".
Tutto ciò non soltanto non contraddice il quadro normativo descritto dal codice penale, ma si pone in quella prospettiva evolutiva che, a seguito dell'ampia giurisprudenza di questa Corte in tema di pericolosità presunta, aveva condotto all'emanazione dell'art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 con l'imposizione dell'effettivo accertamento della pericolosità.
Il collegamento finalistico tra l'accertamento della personalità del minore e la decisione da assumere, reso esplicito dall'art. 9 della citata legge n. 448 del 1988 e di cui la norma impugnata è uno dei casi, partecipa della complessiva aspirazione rieducativa del processo. È il sistema nel suo insieme ad appagare quelle esigenze di "prognosi (.. .. ..) individualizzate in ordine alle prospettive di recupero del minore deviante" già avvertite da questa Corte fin dalla sentenza n. 46 del 1978 ed inscrivibili nel più ampio ambito del diritto alla valutazione della stessa capacità dell'imputato minorenne, quale espressione del principio di tutela del minore ex art. 31 della Costituzione, affermato nella sentenza n. 128 del 1987.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), sollevata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Bologna con l'ordinanza in epigrafe;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, secondo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, sollevata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Bologna con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 29 aprile 1991.