SENTENZA N. 179
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 15 ottobre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale Militare di La Spezia, nel procedimento penale a carico di Bellini Roberto ed altri, iscritta al n. 753 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri;
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 15 ottobre 1990 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace ("furto d'uso"), in riferimento agli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione.
Espone il giudice remittente che i fatti al suo esame configurano una fattispecie del tutto analoga a quella prevista dall'art. 626, primo comma, n. 1, del codice penale, dichiarato illegittimo, con sentenza n. 1085 del 1988 di questa Corte, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista all'ipotesi di mancata restituzione della cosa sottratta, dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Oggetto del giudizio è infatti una fattispecie di furto (sottrazione di un'auto al solo scopo di farne uso momentaneo, e impossibilità di restituirla per un fatto indipendente dalla volontà dell'agente) in relazione alla quale dovrebbe configurarsi il più grave reato di furto militare ex art. 230 del codice penale militare di pace, non potendo ipotizzarsi, a causa della mancata restituzione della cosa sottratta, quella più lieve di furto d'uso.
In più, prosegue il giudice remittente, nel caso di specie dovrebbe considerarsi un ulteriore aspetto, e cioè che il fatto impeditivo della restituzione della cosa sottratta (incidente automobilistico nel corso del quale l'auto è stata completamente distrutta) è almeno in parte riconducibile alla colpa di uno dei coimputati, quale conducente del veicolo.
2. - Ciò premesso, e richiamati i principi affermati nella citata sentenza n. 1085 del 1988, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia dubita della legittimità costituzionale della norma sotto i seguenti profili:
a) in primo luogo, in riferimento all'art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione, in quanto, in base ai principi della "personalità" della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena, non può escludersi la configurabilità del furto d'uso militare in caso di mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Inoltre, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, perché la diversa disciplina del furto d'uso militare rispetto a quello comune, a seguito della citata sentenza n. 1085 del 1988, si traduce in una ingiustificata lesione del principio di eguaglianza;
b) in secondo luogo, e sempre in relazione agli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione, in quanto la disciplina del furto d'uso militare non comprende l'ipotesi della mancata restituzione del bene dovuta a colpa dell'agente. Irragionevole e sproporzionata appare infatti, ad avviso del remittente, l'attribuzione di un fatto più grave - punibile per legge esclusivamente a titolo di dolo - a causa del verificarsi di un evento avvenuto solo per colpa del soggetto stesso, senza che questi abbia mutato la propria originaria intenzione di commettere altro meno grave reato.
Considerato in diritto
1. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace in riferimento agli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione.
L'ordinanza di rimessione prospetta due distinte questioni che vanno separatamente esaminate.
2. - In primo luogo il giudice a quo censura l'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace (furto d'uso) nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista all'ipotesi di mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Il remittente richiama espressamente la sentenza n. 1085 del 1988 che ha riconosciuto fondata identica questione in ordine al furto d'uso previsto dall'art. 626, primo comma, n. 1 del codice penale.
Posteriormente all'ordinanza di rimessione, con sentenza n. 2 del 1991, questa Corte ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale del predetto art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta. La questione, pertanto, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
3.1 - In secondo luogo il giudice remittente, dopo aver dato per scontato - come in effetti è avvenuto con la sentenza n. 2 del 1991 - che la Corte non avrebbe potuto non estendere all'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace la pronuncia di illegittimità costituzionale emanata con la sentenza n. 1085 del 1988 in ordine all'art. 626, primo comma, n. 1, del codice penale, dubita che anche la non estensione della disciplina del furto d'uso (militare) all'ipotesi di mancata restituzione della cosa sottratta per colpa del soggetto agente sia in contrasto con gli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione.
L'argomentazione si fonda sulla lettura della sentenza n. 1085 del 1988 secondo la quale "è la presenza nel reo della specifica intenzione di restituire la cosa immediatamente dopo l'uso momentaneo.. .. .. che caratterizza, in relazione al furto comune, e sin dall'origine, il furto d'uso", ed inoltre "soltanto un mutamento di volontà del soggetto attivo del fatto in ordine alla restituzione della cosa sottratta può rendere applicabile la disciplina del furto ordinario". Ne seguirebbe - ad avviso del giudice a quo - che la mancata restituzione della cosa sottratta non può essere addebitata al reo, per contestargli il più grave reato di furto (militare) anziché di quello di furto d'uso, non soltanto nell'ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, ma anche qualora tale evento sia a lui addebitabile a titolo di colpa.
3.2 - La sentenza citata va letta nel suo complesso: è vero che nell'ipotesi di mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a caso fortuito o forza maggiore viene sottolineato che non è mutata la volontà del soggetto intesa a restituire la cosa dopo averla momentaneamente usata, senonché questa argomentazione non basta a far ritenere costituzionalmente illegittima anche la configurazione del più grave reato di furto ordinario nell'ipotesi di mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a colpa (o concorso di colpa) del soggetto agente.
La motivazione della sentenza n. 1085 parte dal convincimento che la restituzione non costituisce evento del furto d'uso: è la mancata restituzione, negativamente valutata dal legislatore, a far divenire applicabili le più gravi sanzioni previste per il furto ordinario. La mancata restituzione va trattata dunque in maniera analoga all'omissione: ne consegue che prevedere la responsabilità del soggetto per un'omissione dovuta a caso fortuito o forza maggiore determina una violazione dell'art. 27, primo comma, della Costituzione. Siffatto riconoscimento discende dall'interpretazione - che la Corte stessa ha dato con la sentenza n. 364 del 1988 - del predetto dettato costituzionale, nel senso che esso richiede quale "essenziale requisito subiettivo d'imputazione, oltre alla coscienza e volontà dell'azione od omissione, almeno la colpa quale collegamento subiettivo tra l'autore del fatto ed il dato significativo (sia esso evento oppure no) addebitato". In coerenza con tale enunciazione la sentenza n. 1085 del 1988 afferma che nella fattispecie tipica di furto d'uso vanno analizzati, in sede di colpevolezza, i diversi dati, i singoli elementi che contribuiscono a contrassegnarne il disvalore oggettivo, ed in relazione a ciascuno di tali elementi va ravvisata la rimproverabilità dell'autore del fatto, perché possa concludersi per la sua personale responsabilità penale. Nel furto d'uso due sono le condotte (sottrarre e restituire) valutate dal legislatore, l'una negativamente e l'altra positivamente; nell'ipotesi invece della sottrazione e della mancata restituzione della cosa sottratta, si hanno due condotte strutturalmente distinte fra loro, ambedue negativamente valutate. Perché si integri quella illiceità che escludendo il furto d'uso viene ricondotta al furto ordinario è indispensabile ravvisare, in relazione a ciascuna delle due condotte (sottrazione e mancata restituzione), gli elementi subiettivi idonei a generare il rimprovero richiesto dall'art. 27, primo comma, della Costituzione.
La mancata restituzione, pertanto, se dovuta a caso fortuito o forza maggiore, non è addebitabile al soggetto: il caso fortuito e la forza maggiore non consentono il rimprovero di colpevolezza attinente all'oggettiva mancata restituzione della cosa sottratta, di guisa che non può essere chiamato a rispondere di furto ordinario colui che non abbia potuto restituire la cosa sottratta per esserne stato impedito da caso fortuito o forza maggiore. Perché la responsabilità penale sia autenticamente personale, come prescrive l'art. 27, primo comma, della Costituzione è necessario che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all'agente (siano cioè investiti dal dolo o dalla colpa) ed allo stesso agente rimproverabili.
3.3 - Alla luce dei principi e delle argomentazioni così in sintesi richiamate va ora esaminata, in riferimento al medesimo parametro costituzionale (art. 27, primo comma), l'ipotesi della mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a colpa del soggetto agente.
Nella fattispecie in esame il giudice remittente, escluso ogni dubbio circa l'intenzione degli imputati di far un uso momentaneo della cosa sottratta, rileva come il fatto che ha impedito la restituzione della cosa sia almeno in parte riconducibile alla colpa di uno degli imputati.
Ma la condotta dell'imputato in ordine alla mancata restituzione della cosa sottratta è certamente a lui rimproverabile, essendo la colpa sufficiente ad integrare il collegamento subiettivo fra l'autore del fatto ed il dato significativo addebitato (cfr. sent. n. 364 del 1988). Si può anche osservare come l'agente il quale voglia, dopo averne fatto uso momentaneo, restituire la cosa sottratta - e la sussistenza di tale elemento intenzionale fin dal momento dell'appropriazione della cosa caratterizza appunto il furto d'uso - sia evidentemente tenuto ad adoperare quanto meno una normale prudenza e diligenza nell'uso e nella conservazione della cosa medesima affinché ne sia possibile la restituzione. Ove la restituzione non avvenga, perché la cosa sottratta viene distrutta (o anche soltanto deteriorata) in conseguenza di una condotta colposa dell'agente, che questi sia chiamato a rispondere della mancata restituzione non contrasta con l'art. 27, primo comma, della Costituzione. Né la responsabilità personale del soggetto può essere esclusa, - secondo l'argomentazione del giudice a quo - per il fatto che non sia avvenuta nessuna modificazione nella volontà del soggetto stesso per quanto riguarda l'intenzione di restituire la cosa sottratta: è stato sopra ricordato - richiamando la sentenza n. 1085 del 1988 - come nel reato di furto d'uso due siano le condotte da valutarsi distintamente, e cioè il sottrarre e il restituire. Vero è che il dolo della sottrazione e dell'impossessamento non può estendersi alla condotta di mancata restituzione della cosa, ed è per questo che tale mancata restituzione se dovuta a caso fortuito o forza maggiore non è addebitabile al soggetto agente; ma la conclusione non può che essere diversa quando la mancata restituzione sia collegabile in tutto o in parte ad una condotta colposa del medesimo.
Invero la responsabilità per colpa è pur sempre una responsabilità personale, e la rilevanza penale di una condotta colposa non fuoriesce dai limiti statuiti dall'art. 27, primo comma, della Costituzione.
4. - L'ordinanza di rimessione fa riferimento anche all'art. 27, terzo comma, e all'art. 3 della Costituzione.
Sull'art. 27, terzo comma, l'ordinanza è carente di qualsiasi specifica motivazione: del resto esso potrebbe essere invocato soltanto in collegamento all'art. 27, primo comma, in quanto, ove non fosse rispettato il principio della responsabilità personale, le pene non potrebbero tendere alla rieducazione del condannato (cfr. sent. n. 364/1988). La riconosciuta infondatezza del riferimento all'art. 27, primo comma, si estende quindi anche al riferimento al terzo comma del medesimo articolo della Costituzione.
Parimenti infondato è il richiamo all'art. 3 della Costituzione, formulato sotto il profilo della irragionevolezza e della sproporzione che sussisterebbe nella punibilità a titolo di furto ordinario (militare) della sottrazione della cosa compiuta per farne uso momentaneo, quando la mancata restituzione della stessa sia dovuta a colpa dell'agente.
Invero non è di per sé irragionevole che nella fattispecie assuma rilievo penale anche la condotta colposa del soggetto, e, nel caso, spetta al giudice di merito tenerne conto nella applicazione della pena, che offre comunque nella previsione del furto ordinario (militare) larghi margini di gradualità.
5. - Il giudice a quo ha però osservato che, nel caso in esame di mancata restituzione per colpa, il soggetto agente non potrebbe rispondere del più grave reato di furto (militare) perché il dolo specifico presente nel medesimo rimane quello di furto d'uso; non essendo intervenuta alcuna modificazione nella volontà del soggetto, non potrebbe essergli imputato - necessariamente a titolo di dolo - il fatto di reato più grave (art. 230, secondo comma, anziché art. 233 del codice penale militare di pace).
Ma, una volta escluso che la punibilità a titolo di furto ordinario di chi si è impossessato della cosa altrui per farne uso momentaneo, quando la mancata restituzione si verifica per sua colpa, integri alcuno dei denunciati profili di illegittimità costituzionale, spetta allo stesso giudice di merito risolvere il caso alla stregua delle vigenti norme del codice penale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n. 1 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia con l'ordinanza in epigrafe, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore della cosa sottratta, per essere stata già dichiarata la illegittimità costituzionale in parte qua della norma suddetta con sentenza n. 2 del 1991;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace, sollevata dallo stesso giudice in relazione agli artt. 27, primo e terzo comma, e 3 della Costituzione, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a colpa del soggetto agente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 29 aprile 1991.