SENTENZA N.2
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO Giudice
Dott. Aldo CORASANITI “
Prof. Giuseppe BORZELLINO “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n.1, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 10 gennaio 1990 dal Tribunale militare di Padova nel processo penale a carico di Cortellazzi Luciano, iscritta al n. 209 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.19, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Udito nella camera di consiglio del 28 novembre 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale militare di Padova, con ordinanza del 10 gennaio 1990, emessa nel processo penale a carico di Cortellazzi Luciano, ha sollevato questione di legittimità dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace, in relazione all'art. 626, primo comma, n. 1, dei codice penale, per contrasto con gli artt. 3 e 27, primo comma, della Costituzione.
Premette il giudice a quo di avere accertato che il Cortellazzi, imputato del delitto di furto militare, era intenzionato a restituire la cosa sottratta, ma che la restituzione si era resa impossibile, essendo stata la cosa stessa rinvenuta durante una periodica "rivista al corredo" svoltasi poco tempo dopo la sottrazione.
Nonostante ciò, il fatto addebitato non sarebbe riconducibile nell'ambito dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace (delitto di furto militare d'uso), mancando nella specie la restituzione della cosa.
Né, con riguardo alla fattispecie prevista dalla norma ora ricordata, potrebbero utilmente operare le statuizioni della sentenza n. 1085 del 1988, dal momento che con tale decisione la Corte si é limitata a dichiarare "l'illegittimità costituzionale dell'art. 626 c. 1 n. 1 c.p. nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore della cosa sottratta".
2.- Quanto alla violazione del principio della responsabilità penale personale, il giudice a quo puntualizza come, con la sentenza n. 1085 del 1988, sia stato "ampiamente chiarito, pronunciandosi sulla norma penale "parallela" di cui all'art. 626, primo comma, n. 1, del c.p., di uguale testuale formulazione, che la regola di rimproverabilità contenuta nell'art. 27, primo comma, della Costituzione impone che, in sede di valutazione della colpevolezza, i singoli elementi che costituiscono la pur unitaria fattispecie penale debbono essere singolarmente valutati ai fini del giudizio di rimprovero": un giudizio che solo se sussistente "in relazione a ciascuno di essi soddisfa il requisito della personalità della responsabilità penale". In particolare, essendo l'impossessamento della cosa elemento sia della fattispecie di furto militare sia della fattispecie di furto militare d'uso, é soltanto l'avvenuta restituzione a determinare "l'applicazione del più mite trattamento sanzionatorio previsto da tale ultima fattispecie criminosa". Il rispetto dell'art. 27, primo comma, della Costituzione fa sì che, pure con riguardo all'adempimento dell'obbligo di restituire la cosa sottratta per un uso momentaneo, "acquisisca rilievo l'atteggiamento psicologico del soggetto".
3.- Quanto alla dedotta violazione del principio di eguaglianza, il giudice a quo censura la disparità di trattamento venutasi a creare, in seguito alla ricordata sentenza n. 1085 del 1988, tra il civile ed il militare che, impossessatisi della cosa mobile altrui con l'intenzione di usarla momentaneamente e di restituirla subito dopo l'uso, non riescano per caso fortuito o per forza maggiore a realizzare tale intento. La violazione dell'art. 3 della Costituzione diventerebbe ancor più evidente considerando come il civile che concorra con un militare nell'impossessamento in luogo militare di cosa mobile appartenente ad altro militare o all'amministrazione militare, pur nell'intento, non realizzatosi per caso fortuito o per forza maggiore, di restituirla, dovrebbe rispondere di furto militare e non di furto militare d'uso: viceversa, la fattispecie criminosa "parallela" a quest'ultima (art. 626, primo comma, n. 1, del codice penale) gli verrebbe addebitata in caso di concorso con altro soggetto non avente la qualità di militare.
4.- L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 19, prima serie speciale, del 1990.
5.- Nel giudizio non si é costituita la parte privata né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza di rimessione censura l'art. 233, primo comma, n.1, del codice penale militare di pace, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo comma, della Costituzione.
Più in particolare, il giudice a quo lamenta che la mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta comporti l'applicazione dell'art. 230 del codice penale militare di pace (furto militare) e non, invece, dell'art. 233, primo comma, n. 1, anche quando l'impossessamento sia avvenuto con l'intenzione di restituire la cosa subito dopo l'uso. E ciò in forza dell'operatività, nel caso di specie, del principio qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu, un principio già disatteso da questa Corte con la sentenza n. 1085 del 1988, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 626, primo comma, n. 1, del codice penale, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione della cosa sottratta, dovuta a caso fortuito o forza maggiore. Poiché, pero, tale sentenza non e applicabile in via interpretativa alla fattispecie prevista dall'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace, l'ordinanza di rimessione solleva questione di legittimità costituzionale relativamente all'impossibilità di estendere l'ambito di applicazione di tale articolo anche all'ipotesi di mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta.
2. - La questione e fondata.
Con la più volte ricordata sentenza n. 1085 del 1988, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 626, primo comma, n. 1, del codice penale, per contrasto con l'art. 27, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta.
Poiché non si ravvisano valide esigenze, proprie del consorzio militare, tali da rendere razionalmente giustificabile la cosi sopravvenuta diversificazione di disciplina del furto militare d'uso rispetto al furto d'uso comune, lo stesso tipo di pronuncia va adottato anche nei riguardi dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace.
La condizione alla quale si ricollega la fattispecie del delitto di furto d'uso e, infatti, la stessa, sia nell'art. 626, primo comma, n. 1, del codice penale sia nell'art. 233, primo comma, n.1, del codice penale militare di pace: <se il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa sottratta, e questa, dopo l'uso momentaneo, e stata immediatamente restituita>. Pertanto, di fronte al mutamento di quadro normativo conseguente alla sentenza n. 1085 del 1988, l'art. 233, primo comma, n. 1, del codice di penale militare di pace - non riconducendo alla meno grave fattispecie del furto d'uso militare l'ipotesi di mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore- viene a trovarsi, come esattamente sostiene l'ordinanza di rimessione, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Si impone, pertanto, la declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n. 1, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta.
Resta cosi assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale prospettato dal giudice a quo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara illegittimità costituzionale dell'art. 233, primo comma, n.1, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non estende la disciplina ivi prevista alla mancata restituzione, dovuta a caso fortuito o forza maggiore, della cosa sottratta.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 gennaio 1991.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE, Vincenzo CAIANIELLO - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA;
Depositata in cancelleria il 10 gennaio 1991.