Sentenza n. 60 del 1991

 

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SENTENZA N. 60

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giovanni CONSO                                              Presidente

Prof. Ettore GALLO                                                   Giudice

Dott. Aldo CORASANITI                                              “

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985-1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed altre misure), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 23 marzo 1990 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Cassone Rocco e l'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano, iscritta al n. 437 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1990;

2) ordinanza emessa il 9 maggio 1990 dal Pretore di Brescia nel procedimento civile vertente tra Paderno Luciano e l'Azienda Servizi Municipalizzati di Brescia, iscritta al n. 446 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visti gli atti di costituzione dell'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano, Cassone Rocco e Paderno Luciano, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 13 novembre 1990 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

Uditi gli avv.ti Giacinto Favalli e Carlo Mezzanotte per l'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano, Sergio Vacirca per Paderno Luciano e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

1.1. - Nel corso di un procedimento civile instaurato da Cassone Rocco nei confronti dell'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano, per sentire dichiarare illegittimo il licenziamento subìto, in quanto avvenuto senza il consenso dell'interessato alla risoluzione del rapporto, il Pretore di Milano, con ordinanza del 23 marzo 1990 (r.o. n. 437/1990), ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost., dell'art. 3, primo comma, della legge 12 luglio 1988, n. 270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985-1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed altre misure), "nella parte in cui prevede l'esodo obbligatorio esclusivamente nei confronti dei lavoratori dichiarati inidonei rispetto alle mansioni proprie della qualifica di provenienza entro il 20 giugno 1986".

Il Pretore - premesso in fatto che l'attore, in applicazione dell'art. 27, lettera b), regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A, era stato dichiarato inidoneo alle mansioni di agente in vettura e destinato a compiti di pulitore di uffici nel lontano 1973 - lamenta innanzi tutto che la norma impugnata, in violazione delle regole, a suo avviso, comuni ai casi di prepensionamento, prescinda del tutto dalla domanda dell'interessato e detti un criterio di individuazione dei lavoratori da sottoporre ad esodo eminentemente soggettivo, valorizzando inoltre un fatto storico - l'accertata idoneità alle mansioni proprie della qualifica di provenienza - che avrebbe già esaurito la propria efficacia sul mutamento di mansioni operato in applicazione del suddetto art. 27 del regio decreto n. 148 del 1931.

La disposizione censurata, in conclusione, urterebbe in primo luogo contro l'art. 3 Cost. per discriminare irragionevolmente tra soggetti che svolgono le stesse mansioni ed hanno analoga situazione contributiva, assoggettandoli ad esodo soltanto in conseguenza del modo in cui sono stati assegnati alle mansioni medesime (e cioè a seconda che vi pervengano a seguito di dichiarazione di inidoneità alle mansioni originarie oppure per altro motivo). In secondo luogo, violerebbe l'art. 4 Cost., il quale impegnerebbe il legislatore a promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro, piuttosto che a spianare le strade a pensionamenti anticipati, obbligatori e discriminatori.

1.2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita l'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano, chiedendo che la questione sia riconosciuta inammissibile o infondata. Innanzi tutto, infatti, non sarebbe chiaro se il giudice a quo abbia ritenuto di dubbia costituzionalità l'esodo obbligatorio in sé e per sé considerato, ovvero l'asserita disparità di trattamento tra idonei e inidonei alle mansioni di provenienza.

Nel merito, non sussisterebbe alcun contrasto né con l'art. 3 Cost. - profondamente diverse essendo le posizioni delle due categorie poste a raffronto - né con l'art. 4 Cost., non contenendo quest'ultimo, secondo la stessa giurisprudenza di questa Corte, alcuna garanzia del mantenimento del posto di lavoro.

1.3. - Nel medesimo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Quanto alla censura relativa all'art. 3 Cost., l'Avvocatura, rammenta innanzi tutto come - secondo la Relazione alla legge n. 270 del 1988 - la disciplina dell'inidoneità alle funzioni proprie della qualifica, dettata dall'art. 27, lettera b), regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A, avesse dato luogo nella prassi applicativa a gravi disfunzioni, poiché "il lavoratore inidoneo alle mansioni proprie della qualifica, non soltanto conservava il posto di lavoro e la retribuzione raggiunta, ma manteneva, pure impiegato in semplici mansioni ausiliari o di attesa, la dinamica salariale e le competenze accessorie proprie della qualifica di provenienza". Osserva dunque che il legislatore, nel prevedere una nuova disciplina degli inidonei alle mansioni originarie, peraltro in larga parte rimessa alla contrattazione collettiva nazionale, non irragionevolmente avrebbe disposto l'esodo per gli inidonei dichiarati tali anteriormente al 20 giugno 1986, trattandosi inoltre di una misura di maggior favore, motivata dalla necessità di tener conto delle legittime aspettative di questi ultimi.

Non esisterebbe infine l'asserita violazione dell'art. 4 Cost., poiché la disposizione impugnata sarebbe una deroga del tutto temporanea alla pregressa regolamentazione del settore, per sopperire ad esigenze indifferibili.

2.1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Paderno Luciano e l'Azienda Servizi Municipalizzati di Brescia, il Pretore di Brescia, con ordinanza del 9 maggio 1990 (r.o. n. 446/1990), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., una questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge del 12 luglio 1988, n. 270, nella parte in cui consente il licenziamento dei prestatori di lavoro inidonei a mansioni pregresse e non già a quelle attualmente disimpegnate.

Tale disposto introdurrebbe una ulteriore fattispecie di recedibilità dal rapporto di lavoro che, per essere collegata al presupposto di fatto della pregressa inidoneità a mansioni del tutto diverse da quelle presenti, sarebbe assolutamente difforme dai principi generali della legislazione vigente, consistenti nel necessario collegamento della inidoneità con le mansioni svolte attualmente. Tale deroga sarebbe priva di qualunque giustificazione: di qui la lamentata violazione dell'art. 3 Cost.

2.2. - Si è costituito in giudizio davanti a questa Corte Paderno Luciano, osservando che la normativa impugnata sarebbe in contrasto con la normativa generale e con quella speciale, poiché disporrebbe la cessazione del rapporto di lavoro per un motivo che nulla avrebbe a che vedere con il comportamento del lavoratore, né con le esigenze organizzative dell'azienda: discostandosi dal sistema senza ragionevole motivo, la disposizione censurata sarebbe illegittima per contrasto con il principio di eguaglianza.

2.3. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione sulla base di argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle formulate in relazione alla questione sollevata con l'ordinanza del Pretore di Milano (v. supra, par. 1.3).

3.1. - In prossimità dell'udienza le parti private hanno prodotto memorie illustrative. La difesa dell'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano (r.o. n. 437/1990), eccepisce innanzi tutto l'inammissibilità della questione per numerosi motivi.

La censura - si sostiene - se volta a lamentare che l'esodo sia applicabile ai soli soggetti dichiarati inidonei prima del 20 giugno 1986, e non a tutti gli inidonei, sarebbe irrilevante poiché il ricorrente nel giudizio principale, essendo compreso nella prima categoria di soggetti, resterebbe comunque assoggettabile all'esodo.

Ulteriore profilo di inammissibilità della questione starebbe nell'essere essa volta ad ottenere che la Corte intervenga in una disciplina estremamente complessa, nata da un accordo tra le parti sociali e contenente un difficile bilanciamento di istanze molteplici, e sostituisca le sue valutazioni a quelle del legislatore, disegnando, per di più con effetto retroattivo, una nuova regolamentazione del prepensionamento ispirata a criteri del tutto diversi, come quelli utilizzati per i lavoratori portuali dalla legge n. 230 del 1983.

Infine, l'inammissibilità della questione dovrebbe trarsi dal fatto che l'asserita disparità di trattamento, rispetto all'esodo, tra soggetti idonei e soggetti inidonei alle mansioni d'origine, non deriverebbe dal solo comma primo dell'art. 3 impugnato, ma dall'intero provvedimento.

Nel merito delle censure, in riferimento all'asserito contrasto con il principio di eguaglianza, la difesa osserva che la legge impugnata, recependo l'accordo sindacale, avrebbe inteso risolvere un problema peculiare del settore dei trasporti, e cioè quello determinato dal grande carico di lavoratori divenuti inidonei alle qualifiche originarie (specie a quelle c.d. di movimento) e mantenuti in servizio con la medesima qualifica o retribuzione in altre mansioni, e, contemporaneamente, dall'impossibilità di sostituire tali lavoratori procedendo a nuove assunzioni, dati i divieti di assunzione imposti alle aziende a tutela della finanza pubblica: ciò con la conseguenza di costi elevatissimi e di gravi disservizi. Il legislatore avrebbe risolto tale problema realizzando un assetto di interessi equilibrato e ragionevole, secondo scelte di carattere politico insindacabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale, considerato anche che la invocata decisione di questa Corte inciderebbe su procedure di esodo e riassetto organizzativo che avrebbero già coinvolto migliaia di lavoratori. Altra ragione di infondatezza della questione risiederebbe poi nella disomogeneità delle situazioni poste a raffronto.

Diversa sarebbe innanzi tutto la situazione delle aziende di trasporto rispetto ad aziende di altri settori, data la peculiarità del rapporto di lavoro dei dipendenti delle prime, caratterizzato dalla commistione di tratti privatistici e tratti pubblicistici, peculiarità che ben potrebbe giustificare la previsione del prepensionamento obbligatorio.

Evidentemente diversa sarebbe poi la posizione di chi è divenuto inidoneo alle mansioni originarie rispetto a chi invece tali mansioni ha costantemente svolto, ciò che, di per sé sarebbe sufficiente a giustificare l'assoggettamento ad esodo soltanto dei primi. Ma, anche infine ad ammettere l'astratta comparabilità di tali situazioni, non potrebbe comunque negarsi la ragionevolezza del criterio che ha guidato il legislatore in relazione alla peculiarità del fenomeno della smisurata dilatazione degli inidonei mantenuti in servizio, tipico del solo settore dei trasporti.

Del resto, argomenta infine sul punto la difesa dell'Azienda Trasporti Municipalizzati, il previsto prepensionamento non contrastrerebbe con i principi generali dell'ordinamento e con i principi costituzionali, dal momento che, al contrario, esisterebbe un principio generale, affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (sez. lav. nn. 474 del 1988 e 140 del 1983), per il quale l'inidoneità sopravvenuta del lavoratore alle mansioni originarie non comporterebbe - tranne diversa disposizione di legge - il diritto di quest'ultimo di ottenere l'assegnazione a mansioni diverse, ma potrebbe giustificare il recesso dell'imprenditore senza che questi, di conseguenza, abbia l'onere di provare l'inesistenza in azienda di posti per mansioni confacenti alle condizioni del lavoratore.

Infine, la questione sarebbe infondata anche in riferimento all'art. 4 Cost., poiché questo, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 45 del 1965, 81 del 1969, 9 del 1973), non garantirebbe il diritto alla conservazione del posto di lavoro, ciò tanto più - trattandosi di un caso di prepensionamento - ove si consideri che il diritto alla pensione sarebbe per il lavoratore una ragione sufficiente ed obbiettiva di esclusione della garanzia della stabilità dell'impiego (Corte cost. nn. 174 del 1971 e 15 del 1983).

3.2. - Nello stesso giudizio si è costituito tardivamente il signor Rocco Cassone, il quale sostiene invece la fondatezza della questione, sottolineando il carattere discriminatorio della norma impugnata e osservando, in sostanza, come essa, introducendo una forma di prepensionamento forzato, vanifichi la garanzia del diritto al mantenimento del posto di lavoro.

3.3. - Nel giudizio instaurato con l'ordinanza del Pretore di Brescia (r.o. n. 446/1990), il signor Luciano Paderno ha depositato una memoria aggiunta nella quale ribadisce il carattere di monstrum giuridico della norma impugnata perché, in aperto contrasto con i principi dell'attuale sistema, attribuirebbe al datore di lavoro un potere discrezionale di recesso nei confronti di una categoria determinata di dipendenti, senza assoggettarlo né a controlli né a limiti.

Il riconoscimento di un simile illimitato potere di licenziamento ad nutum, non avverrebbe, peraltro, per esempio, neppure nella legge n. 856 del 1986 sulla ristrutturazione della flotta pubblica, in cui, pur essendo previsto, nella fase finale, un prepensionamento d'ufficio, esso è subordinato al previo accertamento delle eccedenze di personale, mentre il piano di esodo è sottoposto all'approvazione della pubblica amministrazione e la procedura per la presentazione delle domande è attentamente regolata. Il meccanismo disposto dalla legge impugnata invece tenderebbe solo ad eliminare alcuni costi aggiuntivi, licenziando personale inidoneo alle mansioni di provenienza che, anche se idoneo e utile alle mansioni in cui di fatto è addetto, costerebbe di più per avere mantenuto la precedente posizione retributiva.

Tale meccanismo dunque, proprio perché legittimerebbe la risoluzione del rapporto di lavoro a causa soltanto di un (presunto) eccessivo costo delle retribuzioni dei lavoratori da licenziare, sarebbe del tutto estraneo al sistema delle leggi vigenti, che non conosce una simile causa di licenziamento. L'unica possibilità di disporre legittimamente prepensionamenti come quello contestato starebbe nella contestuale previsione del necessario consenso dei lavoratori interessati.

 

Considerato in diritto

 

1. - I procedimenti originati dalle ordinanze di cui in epigrafe possono essere riuniti avendo per oggetto questioni concernenti la medesima disposizione.

2. - L'art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270, impugnato da entrambe le ordinanze - stabilisce che le aziende esercenti pubblici servizi di trasporto predispongono, sulla base dell'anzianità di servizio dei dipendenti interessati, un programma quinquennale di esodo dei lavoratori iscritti al Fondo di previdenza, dichiarati inidonei rispetto alle mansioni proprie della qualifica di provenienza entro il 20 giugno 1986, che abbiano maturato o maturino nel corso del quinquennio, almeno quindici anni di effettiva contribuzione a detto Fondo (comma primo). Ai dipendenti così collocati a riposo viene attribuita una pensione commisurata al periodo di contribuzione maturato, maggiorato del periodo mancante al raggiungimento di trentasei anni di contribuzione ovvero del periodo che il dipendente stesso avrebbe conseguito al raggiungimento del sessantesimo anno di età; l'attribuzione di anzianità e il versamento dei contributi relativi a tale periodo non possono in ogni caso essere superiori ai dieci anni (comma terzo). Inoltre le aziende e i dipendenti collocati in quiescenza versano - questi ultimi mediante trattenuta diretta sulla pensione - la quota di contributi previdenziali di loro pertinenza per il periodo di anzianità convenzionale attribuita (comma quarto). Il provvedimento così delineato è assunto - come afferma il primo comma del citato art. 3 - "in temporanea deroga a quanto previsto dagli artt. 11 e 12 della legge 28 luglio 1961, n. 830 nonché dall'art. 27 del regolamento allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148".

Quest'ultima norma consente al lavoratore divenuto inabile alle funzioni proprie della qualifica rivestita di mantenere il posto di lavoro, accettando altre mansioni compatibili con la sua attitudine o con le sue condizioni, in posti disponibili. Le disposizioni citate della legge n. 830 del 1961 consentono il collocamento anticipato in quiescenza degli agenti solo se raggiungano l'età di cinquantacinque anni con un determinato livello di contributi versati (art. 11), ovvero ne ammettono il pensionamento per invalidità se siano riconosciuti invalidi in modo permanente ed assoluto alle funzioni proprie della qualifica rivestita, abbiano almeno dieci anni di servizio e per incapacità fisica o mancanza di posti non possano essere adibiti ad altri servizi dell'azienda (art. 12).

3. - Il Pretore di Milano ritiene che il primo comma del citato art. 3 della legge n. 270 del 1988, estromettendo i lavoratori dall'azienda sulla base del mero fatto storico della condizione di inidoneità allo svolgimento delle mansioni proprie della qualifica di provenienza, violerebbe l'art. 3 della Costituzione per le irrazionali discriminazioni che si determinerebbero tra lavoratori che attualmente svolgono le stesse mansioni, e ciò a seconda che a queste siano pervenuti per effetto di precedenti dichiarazioni di inabilità rispetto alle mansioni originarie o per altri motivi.

Inoltre, il prepensionamento previsto, in quanto obbligatorio e discriminatorio, violerebbe l'art. 4 della Costituzione, che invece impegna il legislatore a promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro.

Il Pretore di Brescia ritiene a sua volta che la norma impugnata contrasti con l'art. 3 della Costituzione in quanto, ponendo a presupposto del provvedimento di esodo la sopravvenuta inidoneità rispetto alle mansioni pregresse e non già alle mansioni attualmente disimpegnate, introdurrebbe senza ragionevole giustificazione, per le sole aziende di trasporto pubblico, una ulteriore fattispecie di recedibilità dal rapporto di lavoro del tutto difforme dai principi generali della legislazione vigente in materia.

4. - Alle questioni di costituzionalità sollevate dal Pretore di Milano sono state opposte - da parte della difesa dell'Azienda Trasporti Municipalizzati di Milano - alcune eccezioni di inammissibilità, che la Corte non ritiene meritevoli di essere accolte.

L'assunto secondo cui il petitum dell'ordinanza mirerebbe ad estendere l'esodo obbligatorio a tutti gli inidonei, e cioè anche ai lavoratori dichiarati tali dopo il 20 giugno 1986 - con conseguente irrilevanza della questione nel giudizio a quo - non trova rispondenza nel contenuto effettivo della ordinanza, dalla quale appare invece con chiarezza che la norma è impugnata non perché non estende ad altri l'estromissione dall'azienda ma per averla illegittimamente disposta a danno della specifica categoria destinataria del provvedimento.

Neppure convince a ritenere inammissibili le questioni il rilievo secondo il quale l'ordinanza porrebbe alla Corte un petitum di natura legislativa, chiedendo ad essa di realizzare una nuova ponderazione degli interessi in gioco e di riscrivere un intero sistema normativo, mentre tale operazione sarebbe riservata al legislatore e avrebbe comunque richiesto l'impugnazione di altre norme. Invero l'ordinanza auspica il puro e semplice annullamento della disciplina censurata e non chiede alla Corte una pronunzia diretta a sostituire una diversa scelta di politica legislativa a quella operata dal Parlamento. Né d'altra parte si può ritenere inammissibile una questione di costituzionalità solo perché l'eventuale caducazione della norma impugnata può determinare la necessità di interventi legislativi di coordinamento per superare vuoti e contraddizioni. Questi problemi infatti debbono essere risolti dal legislatore, ristabilendo la necessaria coerenza costituzionale di tutte le disposizioni, alla luce dello scrutino effettuato dalla Corte.

5. - Prima di affrontare il merito delle censure, occorre soffermarsi brevemente sull'istituto del prepensionamento così come si è venuto affermando nella legislazione dell'ultimo decennio.

L'istituto definito come prepensionamento è caratterizzato dalla attribuzione al lavoratore della pensione prima del raggiungimento dell'età pensionabile, sulla base dell'aumento figurativo della anzianità contributiva già raggiunta, sì da poter conseguire, prima del tempo, la pensione di vecchiaia. Per poter avvalersi del prepensionamento occorre ovviamente che siano stati già raggiunti limiti minimi di contribuzione e/o di età, per cui in genere all'istituto possono accedere i lavoratori di una certa anzianità.

A questo istituto il legislatore ha fatto ricorso con numerosi provvedimenti diretti ad affrontare e risolvere i complessi problemi di settori produttivi in crisi, approntando uno specifico strumento (in sostituzione del vecchio assegno per i lavoratori anziani licenziati da aziende in crisi di cui alla legge 5 novembre 1968, n. 1115, successivamente prorogata) diretto ad alleggerire le qualifiche e le lavorazioni nelle quali si è venuta a creare esuberanza di personale mediante l'offerta - diretta ai lavoratori più anziani di uscire dalla produzione ottenendo, con alcuni anni di anticipo, il diritto alla pensione, il cui onere è posto a carico dello Stato.

Dal 1981 e sino alla legge n. 270 del 1988 si sono succeduti una serie di provvedimenti che contengono misure di prepensionamento per i dipendenti dei settori produttivi più vari (tra cui la legge 23 aprile 1981, n. 155, più volte prorogata, per i dipendenti delle aziende industriali dichiarate in crisi; la legge 5 agosto 1981, n. 416, per i giornalisti professionisti e i lavoratori poligrafici dipendenti da imprese editoriali e stampatrici di giornali quotidiani ed agenzie di stampa; la legge 23 maggio 1983, n. 230, per i lavoratori delle compagnie e dei gruppi portuali; la legge 31 maggio 1984, n. 193, per i dipendenti del settore siderurgico, ed ancora la legge 5 dicembre 1986, n. 856, per i dipendenti della società di navigazione del gruppo Finmare).

Al prepensionamento previsto e regolato dalle disposizioni contenute in detti provvedimenti si accede su domanda del lavoratore che ne abbia i requisiti, ed è quindi rimessa esclusivamente al giudizio di convenienza di quest'ultimo la scelta di richiedere l'esodo anticipato. Una parziale eccezione a tale schema è costituita dal prepensionamento disposto nelle leggi riguardanti i lavoratori delle compagnie portuali nonché i dipendenti delle società di navigazione del gruppo Finmare: in entrambi i casi il pensionamento è a domanda, ma nel caso in cui le richieste non raggiungano il contingente stabilito, esso diviene obbligatorio per la parte non coperta - sulla base di criteri prestabiliti - sino al raggiungimento del limite prefissato (così, rispettivamente, l'art. 2, secondo comma, legge n. 230 del 1983 e l'art. 3, quarto comma, legge n. 856 del 1986).

6. - Dal tipo di prepensionamento disciplinato dalle leggi ricordate si distacca sensibilmente quello regolato dall'art. 3 della legge n. 270 del 1988 ora impugnato.

Qui, infatti, l'esodo non è disposto per far fronte ad una situazione di crisi aziendale che richiede un vasto ridimensionamento del carico di mano d'opera, ma per realizzare economie e semplificazioni nell'organizzazione aziendale; non si rivolge ai dipendenti appartenenti a singole qualifiche con personale esuberante, ma a lavoratori che appartengono a tutte le qualifiche e che sono contraddistinti dal fatto di essere stati dichiarati inidonei a precedenti mansioni rivestite; non viene contenuto nella fascia dei lavoratori anziani, potendo riguardare dipendenti con solo quindici anni di contribuzione e senza limiti minimi di età; e, soprattutto, esso non è subordinato alla domanda dei lavoratori interessati, ma si impone ad essi indipendentemente dalla loro volontà.

Si tratta dunque in sostanza di un prepensionamento esclusivamente obbligatorio (l'unico sinora intervenuto), di un provvedimento, cioè, che comporta per tutti una forzata risoluzione del rapporto di lavoro, pur attenuandone le conseguenze mediante la immediata corresponsione del trattamento pensionistico. Il che già porta ad escludere che esso si risolva sempre e necessariamente, come invece vorrebbe l'Avvocatura dello Stato, in una misura di "maggior favore" per i lavoratori così esodati.

Infatti - a parte il caso di coloro che in concreto, anche per il prolungamento dell'obbligo contributivo, potrebbero vedere peggiorata la loro situazione economica - va pur sempre considerato che l'anticipazione obbligatoria del pensionamento rischia per molti versi - e soprattutto per i meno anziani - di imporre una condizione di emarginazione, di disperdere capacità professionali acquisite, o di avviarle al mercato del lavoro nero. Senza dimenticare che il cittadino, nel luogo di lavoro, dove si svolge tanta parte della sua vita di quasi tutti i giorni, non percepisce solo retribuzione contro prestazione, ma afferma e sviluppa la sua personalità nel complesso dei rapporti e dei valori che il mondo del lavoro sa esprimere.

Di conseguenza, ben si comprende la scelta in generale seguita dal legislatore (anche in altri settori del trasporto come quello delle Ferrovie dello Stato) di ricorrere al pensionamento volontario e non a quello coatto.

Per quanto poi specificamente concerne il particolare prepensionamento qui contestato, deve altresì essere tenuto presente che destinatari esclusivi del provvedimento sono lavoratori divenuti inidonei per avere svolto mansioni che comportavano un impegno faticoso e di grande responsabilità, pregiudicando spesso per questo la stessa propria salute; che proprio per la peculiarità di tale attività lavorativa, sin dal regio decreto n. 148 del 1931 è stato loro garantito il diritto al mantenimento del posto di lavoro e la precedente retribuzione, sia pure con mutamento di mansioni, spesso accompagnato da una rilevante dequalificazione. La natura e gli effetti del pensionamento obbligatorio disposto dalla norma impugnata richiedono perciò che la scelta effettuata dal legislatore nell'ambito di una discrezionalità che certamente gli appartiene, venga considerata attentamente onde valutarne la razionalità, e la non arbitrarietà: e ciò ai fini di esprimere il dovuto giudizio sui dubbi di costituzionalità avanzati dai giudici rimettenti.

7. - La legge impugnata recepisce presso che integralmente un accordo collettivo stipulato tra le parti sociali interessate ed è stata approvata dal Parlamento senza contrasti significativi.

Tali circostanze tuttavia non sono idonee a determinare una sorta di presunzione di legittimità costituzionale della normativa contestata, che esima questa Corte dal compiere autonomamente le proprie valutazioni.

A tale scopo è indispensabile innanzi tutto individuare la ratio della legge quale emerge dai lavori preparatori e dal suo contenuto oggettivo.

Dalla Relazione governativa al disegno di legge risulta che essa (e già prima l'accordo recepito) ha inteso perseguire obbiettivi di razionalizzazione e semplificazione dell'organizzazione delle aziende di pubblico trasporto, e ciò, da un lato, disponendo una unificazione a livello nazionale della disciplina contrattuale dei rapporti di lavoro; dall'altro avviando a soluzione il grave problema degli inidonei, e cioè dei lavoratori riconosciuti non atti alle mansioni proprie della qualifica di origine, mantenuti nel posto di lavoro con mansioni diverse e titolari di un trattamento retributivo non conforme alle prestazioni rese.

Tale ultimo problema si presentava per le aziende in questione in modo anomalo e peculiare ed era determinato da diffuse prassi applicative del ricordato art. 27 del regolamento del 1931, per le quali un notevole numero di lavoratori, in gran parte addetti al c.d. movimento (autisti, conduttori, ecc.) divenuti inidonei, "non soltanto conservava il posto di lavoro e la retribuzione raggiunta, ma manteneva, pur impiegato in semplici mansioni ausiliari o di attesa, la dinamica salariale e le competenze accessorie proprie della qualifica di provenienza, con gravi disfunzioni, non solo nella gestione degli organici aziendali, ma anche nello stesso sistema previdenziale" (Relazione, cit.).

A questi inconvenienti l'accordo collettivo e la legge di recezione hanno inteso ovviare, in primo luogo, disponendo un programma quinquennale di esodo obbligatorio dei suddetti lavoratori; in secondo luogo, consentendo, in deroga alla normativa vigente, l'assunzione di nuovi lavoratori per rimpiazzare quelli esodati nella qualifica originaria "nei limiti di comprovate esigenze tecnico-operative connesse al movimento" (art. 3, comma nono).

8. - Dai lavori parlamentari si desume dunque che nel caso di specie l'eliminazione delle gravi disfunzioni suindicate sarebbe stato in concreto perseguibile soltanto con le misure obbligatorie adottate; e di ciò l'adesione delle rappresentanze sindacali costituisce significativa conferma.

Ciò posto, si deve riconoscere che l'efficienza e il contenimento dei costi dei servizi pubblici - che sono a carico della collettività - attengono al concetto di buon andamento della pubblica amministrazione e come tali assumono rilevanza sotto il profilo costituzionale. Certamente il riordino della situazione degli organici costituisce un dato di rilievo essenziale ai fini di razionalizzare la gestione di aziende che debbono rendere un servizio pubblico di grande e vitale importanza quale quello del trasporto autoferrotranviario, soprattutto nei grandi centri urbani.

Di conseguenza, non può ritenersi in principio costituzionalmente illegittima, come priva di ragionevolezza, la legge impugnata che, nell'anomala situazione del caso di specie, ha introdotto uno strumento capace di contemperare l'esigenza di ottenere un efficiente svolgimento del servizio pubblico - mediante il riassestamento degli organici, l'alleggerimento dei costi eccessivi, la riapertura delle assunzioni per il personale addetto al movimento - con la necessità di assicurare in ogni caso una forma adeguata di sostegno economico-previdenziale ai lavoratori allontanati dalle aziende.

Occorre comunque sottolineare che il ricorso alla forma esclusivamente obbligatoria del prepensionamento richiede, per potere incidere legittimamente su interessi costituzionalmente rilevanti e non apparire discriminatorio ed arbitrario, che la misura si prospetti come obbiettivamente non sostituibile con soluzioni fondate sul consenso dei singoli interessati e sia determinata da situazioni tali da renderla indispensabile.

9. - La rilevata non arbitrarietà della scelta del legislatore induce a non condividere i dubbi di costituzionalità prospettati dal giudice milanese.

Non può dirsi violato infatti l'art. 3 Cost. poiché non appare priva di fondamento giustificativo la disparità di trattamento tra lavoratori addetti alle medesime mansioni e consistente nel fatto che sono assoggettati all'esodo soltanto quelli già dichiarati inidonei alle mansioni della qualifica di provenienza.

Né per le stesse ragioni può dirsi violata la garanzia del diritto al lavoro di cui all'art. 4 Cost., inteso come diritto a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente (v. pure sentenza n. 331 del 1988).

Diversa deve invece essere la conclusione in ordine alle censure formulate dal Pretore di Brescia, nel corso di un giudizio nel quale, come è stato precisato nella trattazione orale in pubblica udienza, il lavoratore esodato, già divenuto inidoneo alle mansioni originarie di autista era attualmente addetto alle mansioni di operaio tecnico di manutenzione, classificato al sesto livello, ad un livello, cioè, superiore a quello di guidatore secondo le tabelle di cui alla legge 1° febbraio 1978, n. 30.

Appare invero irrazionale nel quadro stesso della logica che presiede al provvedimento censurato, che questo si riferisca indiscriminatamente a tutti i lavoratori solo in quanto siano stati dichiarati inidonei prima del 1986, senza alcuna considerazione della loro attuale utilizzazione.

Se infatti il criterio ispiratore della norma è anche quello di evitare che le aziende siano gravate da costi ingiustificati perché non corrispondenti alle prestazioni attualmente rese dal lavoratore, è anche a queste ultime che occorre guardare per valutare se il prepensionamento obbligatorio sia giustificato o arbitrario.

Non si può allora non ritenere illegittima la norma impugnata nella parte in cui non esclude dal pensionamento obbligatorio i lavoratori che svolgono mansioni equivalenti o superiori a quelle precedentemente rivestite e in relazione alle quali sono stati dichiarati inidonei. L'espletamento attuale di tali mansioni sta infatti a significare che i lavoratori ex inidonei, sono pienamente utilizzati e ritenuti del tutto capaci di svolgere mansioni quanto meno dello stesso livello delle precedenti: sì che il costo del loro lavoro non è più sperequato o non è più sperequato al punto di legittimare la loro estromissione dall'azienda per compiere un alleggerimento di costi eccessivi. Se il problema sottostante alla norma è la espulsione di lavoratori inutili o inutilizzati addetti a mansioni di scarso rilievo, a funzioni ausiliarie o di attesa, è irragionevolmente discriminatorio licenziare personale che, reagendo alla sopravvenuta perdita d'idoneità, si è riqualificato, reinserendosi pienamente ed in modo attivo nella vita dell'azienda a livelli equivalenti o superiori rispetto alle mansioni prima espletate.

Pertanto, la questione è, in questi limiti, fondata. Di conseguenza, deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata nella parte in cui non esclude dal programma quinquennale di esodo ivi previsto i lavoratori che, dichiarati inidonei alle mansioni proprie della qualifica di provenienza, abbiano successivamente svolto e svolgano mansioni a queste equivalenti o superiori.

                        

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 12 luglio 1988, n. 270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985-1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed altre misure), nella parte in cui non esclude dal piano quinquennale ivi previsto i lavoratori dichiarati inidonei, entro il 20 giugno 1986, rispetto alla qualifica di provenienza e che abbiano successivamente svolto e svolgano mansioni equivalenti o superiori a quelle per le quali erano stati dichiarati inidonei.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1991.

 

Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria l'8 febbraio 1991.