Ordinanza n. 474 del 1990

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ORDINANZA N.474

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, decreto- legge 10 maggio 1986, n. 154 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate) convertito, con modificazioni, nella legge 11 luglio 1986, n. 341, promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 1990 dal T.A.R. dell'Umbria sul ricorso proposto da Saetta Carmelo ed altri contro il Ministero della pubblica istruzione ed altro, iscritta al n. 255 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione di Saetta Carmelo ed altri nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da alcuni dirigenti superiori, primi dirigenti e funzionari del ruolo ad esaurimento del personale amministrativo non docente dell'Università di Perugia e dell'Università per stranieri di Perugia, per l'accertamento del loro diritto a percepire un trattamento economico adeguato a quello dei docenti universitari a tempo pieno inquadrati nella ultima classe di stipendio, il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, con ordinanza del 17 gennaio 1990, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 10 maggio 1986, n. 154, convertito con modificazioni nella legge 11 luglio 1986, n. 341, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, nella parte in cui determina un trattamento economico differenziato tra docenti e non docenti;

che il giudice a quo ha rilevato che tale differenza retributiva si porrebbe in contrasto con il criterio della equivalenza di trattamento economico tra le due categorie di personale, desumibile dai principi affermati nella sentenza n. 219 del 1975 di questa Corte, che, nel dichiarare la illegittimità costituzionale di talune norme nella parte in cui non estendevano ai professori universitari il trattamento retributivo allora stabilito per il personale amministrativo dei ruoli della dirigenza, considerò espressamente la <linea di tendenza> della legislazione alla equiparazione, ai fini economici, delle due categorie che negli anni si era venuta consolidando;

che si sono costituite in giudizio le parti private, aderendo alle considerazioni espresse nell'ordinanza di rinvio e precisando che il principio di equiparazione tra il trattamento economico apicale dei professori universitari (comprensivo anche dell'assegno aggiuntivo previsto per l'impegno universitario a tempo pieno dall'art. 39 del d.P.R. n. 382 del 1980 e successive modifiche) e quello dei dirigenti statali-equiparazione che necessariamente si riflette in misura percentuale anche nelle qualifiche inferiori, in quanto agganciate a quelle apicali-sarebbe stato ribadito, dopo l'intervento della Corte costituzionale, dall'art. 12, primo comma, lett. o) della legge delega 21 febbraio 1980, n. 28, dall'art. 36, ottavo comma, del decreto delegato 11 luglio 1980, n. 382 e dall'art. 72, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo in primo luogo la irrilevanza delle proposte questioni e chiedendone nel merito il rigetto in quanto infondate, poichè il riconoscimento dell'assegno aggiuntivo ai soli professori universitari a tempo pieno-causa, appunto, della denunciata differenza retributiva-corrisponde ad una razionale e insindacabile scelta discrezionale del legislatore, sì che non può ritenersi violato nè il principio di uguaglianza nè il principio della proporzionalità della retribuzione per il solo fatto che un vantaggio accordato ad una categoria non sia esteso ad altra categoria ben differenziata.

Considerato che in via preliminare l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza delle questioni-formulata dalla difesa dello Stato sotto il profilo che il principio perequativo addotto dal giudice a quo, operando solamente tra i docenti universitari e i dirigenti in posizione apicale, non potrebbe comunque essere invocato da personale dirigenziale e direttivo di qualifica inferiore a quella di dirigente generale di livello A, quali sono i ricorrenti-deve essere disattesa, poichè essa prospetta un profilo che attiene proprio alla fondatezza della questioni proposte, che consistono appunto nello stabilire se l'asserito collegamento tra i trattamenti retributivi delle qualifiche apicali debba avere positivi riflessi per le qualifiche inferiori;

che, nel merito, le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate nel presupposto che dai principi affermati nella sent. n. 219 del 1975 di questa Corte dovrebbe trarsi, come conseguenza logica e necessitata, la conclusione per la quale la equiparazione retributiva, in quella sede dichiarata, dei docenti delle Università ai più alti funzionari delle Amministrazioni dello Stato imporrebbe che i trattamenti economici delle due categorie di personale pubblico debbano nel tempo mantenersi ad un eguale livello;

che a tale riguardo deve essere innanzi tutto sottolineato che nella ricordata sentenza n. 219 del 1975 si affermò l'esigenza che, fino a quando non si fosse provveduto ad emanare un'apposita normativa che regolasse ex professo il trattamento economico dei professori universitari, questo dovesse continuare ad essere agganciato a quello del personale amministrativo dello Stato, cui era in precedenza uniformato, e non viceversa;

che, in ogni caso, va ricordato che, dopo la citata sentenza -- che ha comunque riconosciuto <la discrezionalità del legislatore di differenziare il trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite>, sia pur a seguito di un <nuovo giudizio di valore> sulla permanenza della evidenziata linea di tendenza all'equiparazione, ricavabile dalla legislazione vigente, e quindi sul presupposto del superamento delle premesse che avevano giustificato l'affermazione di quel principio-questa Corte, nella successiva sentenza n. 1019 del 1988, ha ulteriormente precisato che il <nuovo giudizio di valore> era appunto intervenuto con la legge n. 28 del 1980, di delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria, e con il d.P.R. n. 382 del 1980 attuativo della delega, essendosi con tali interventi normativi operata <una completa trasformazione del precedente assetto dei ruoli dei docenti con una disciplina innovativa> che ha riguardato diversi profili e che ha, in particolare, introdotto <un assetto retributivo a regime dei professori universitari ormai del tutto autonomo e diversificato da quello dei dirigenti dello Stato>;

che, pertanto, per le considerazioni svolte, deve escludersi l'asserito contrasto della norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione, non essendo comunque equiparabili le due categorie di personale, e con l'art. 36 della Costituzione, non potendosi invocare il principio della parità retributiva in presenza di funzioni diversificate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 10 maggio 1986, n. 154 (Disposizioni urgenti in materia di trattamento economico dei dirigenti dello Stato e delle categorie ad essi equiparate) convertito, con modificazioni, nella legge 11 luglio 1986, n. 341 sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/10/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 22/10/90.