Sentenza n. 266 del 1990

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SENTENZA N.266

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia notificato il 20 gennaio 1990, depositato in cancelleria il 23 successivo ed iscritto al n. 2 del registro ricorsi 1990, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della lettera 13 novembre 1989, con la quale il Ministero dei lavori pubblici - Segretariato C.E.R. - ha stabilito che la concessione dei contributi statali per l'edilizia residenziale "dovrà avvenire secondo le norme previste dalla legge 5 agosto 1978, n. 457 e successive modificazioni ed integrazioni" e non già "in condizioni di omogeneità con il quadro legislativo adottato dalla Regione nell'esercizio della competenza costituzionalmente riconosciuta alla medesima".

visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udieriza pubblica del 20 marzo 1990 il Giudice relatore Mauro Ferri;

uditi l'avv. Gaspare Pacia per la Regione e 1'Avvocato dello Stato Mario Cevaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 20 gennaio 1990, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine alla nota del Ministero dei lavori pubblici - Segretariato generale del C.E.R. - in data 13 novembre 1989 (pervenuta il 21 novembre) nella parte in cui si afferma che la concessione dei contributi statali "dovrà avvenire secondo le norme previste dalla legge 5 agosto 1978, n. 457 e successive modificazioni e integrazioni", anzichè - come dallo stesso C.E.R. precedentemente disposto con delibera del 19 novembre 1982 - "in condizioni di omogeneità con il quadro legislativo adottato dalla Regione nell'esercizio della competenza costituzionalmente riconosciuta alla medesima".

La ricorrente premette che la materia dell'edilizia popolare, intesa nella sua più moderna accezione di "edilizia residenziale pubblica", é di competenza regionale ai sensi dell'art. 5, n. 18 dello Statuto speciale, e tutte le relative funzioni amministrative sono state trasferite alla Regione con gli artt. 22 e 27 del d.P.R. n. 1116 del 1965, come modificati dagli artt. 21 e 24 del d.P.R. n. 902 del 1975. Rileva altresì che delle tre fasi in cui, secondo la sentenza di questa Corte n. 221 del 1975, si articola la materia (urbanistica, lavori pubblici, gestione del servizio della casa), le prime due rientrano nella competenza primaria della Regione, la quale, nell'esercizio della sua competenza su tale materia composita ha emanato numerose leggi, la maggior parte delle quali raccolte nel Testo unico approvato con legge regionale I' settembre 1982, n. 75.

Con l'entrata in vigore della legge 5 agosto 1978, n. 457 si pose il problema di come dovessero essere gestite le assegnazioni a favore della Regione disposte ai sensi di detta legge; la questione fu risolta con la delibera del 19 novembre 1982 dei Ministro dei lavori pubblici, Presidente del C.E.R., la quale in sostanza riconobbe, come detto sopra, che per la gestione delle assegnazioni si doveva applicare la disciplina regionale.

Successivamente la Regione emanò la legge 7 marzo 1983, n. 22, la quale, all'art. 1, individua la disciplina applicabile in quella dettata dalla citata legge regionale I' settembre 1982, n. 75.

Il delineato assetto normativo é stato ora sconvolto, prosegue la ricorrente, dall'atto impugnato, che si pone in stridente contrasto sia con la citata delibera del C.E.R. 19 novembre 1982, sia con la richiamata legge regionale n. 22 del 1983, mai impugnata dal Governo.

Le conseguenze del denunciato ripensamento del C.E.R. sarebbero piuttosto gravi, sia sul piano dei rapporti contabili tra Stato e Regione, sia su quello dei rapporti tra Regione e singoli beneficiari delle provvidenze. Ma il provvedimento, conclude la ricorrente, é manifestamente incostituzionale in quanto lesivo delle competenze riconosciute alla Regione dagli artt. 4, nn. 9 e 12 e 5, n. 18 dello Statuto speciale, nè ricorre l'ipotesi di cui all'art. 64 dello Statuto stesso, avendo, come detto, la Regione già ampiamente legiferato in materia.

2.- Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale conclude per l'inammissibilità e, in subordine, per l'infondatezza del ricorso.

Rileva preliminarmente l'Avvocatura che nel sistema della legge n. 457 del 1978, che é legge fondamentale in materia di edilizia pubblica residenziale, il C.E.R. emette i decreti di messa a disposizione delle regioni dei fondi del piano decennale, dopo che ciascuna regione abbia deliberato la localizzazione degli interventi di edilizia agevolata, a seguito della ricezione della comunicazione, fatta dal C.E.R., del detto piano decennale e delle relative articolazioni (art. 9, nn. 4 e 5).

Nel 1962, la delegazione della Corte dei conti istituita nel capoluogo della Regione Friuli-Venezia Giulia, a norma dell'art. 58 dello Statuto, segnalava la necessità che il C.E.R., nell'esercizio della funzione descritta dall'art. 3, lett. 4 della legge n. 457, modificasse il sistema di erogazione dei flussi finanziari allo specifico fine di consentirne un'anticipata messa a disposizione della Regione, ed una tempestiva iscrizione nel bilancio regionale.

Con delibera 19 novembre 1982 il C.E.R. condivideva quella necessità e variava per il Friuli-Venezia Giulia la normativa in atto sui flussi finanziari, disponendo che il decreto di messa a disposizione dei fondi venisse emanato contestualmente alla comunicazione prescritta dal citato art. 9, n. 4, della legge n. 457, e quindi prima - anzichè dopo - la localizzazione degli interventi nel territorio regionale.

Codesta variazione procedurale ebbe così lo scopo - e soltanto quello - di consentire alla Regione l'iscrizione tempestiva dei fondi nel proprio bilancio e la programmazione regionale nel termine di 90 giorni disposto dal ripetuto art. 9, n. 5, della legge 457. La detta delibera non ha previsto alcuna altra deroga alle norme sull'erogazione del contributo in conto interessi per l'edilizia agevolata, norme che restavano allora, come restano oggi, quelle dettate dalla legge n. 457 del 1978 e dalle disposizioni che il C.E.R. ha diramato successivamente in forza dei poteri derivantigli dall'art. 3, lett. d della legge n. 457. E questo hanno tenuto a ribadire il decreto del Presidente dei C.E.R. 10 novembre 1989, n. 4678, e la lettera impugnata (13 novembre 1989, n. 4693).

Tutto ciò premesso, ad avviso dell'Avvocatura l'inammissibilità risulterebbe da ciò che la lettera impugnata non é altro che una puntuale e necessaria esecuzione del decreto ministeriale 10 novembre 1989, n. 4678, non impugnato, mentre sarebbe stato proprio quello il provvedimento in ipotesi originariamente lesivo della competenza della Regione, e di conseguenza contro di esso si sarebbe dovuto proporre il ricorso per conflitto di attribuzione.

L'infondatezza, poi, deriverebbe dalla pretesa di applicare ai fondi dello Stato la normativa dettata da leggi regionali per i fondi della Regione. Sia la legge regionale 1° settembre 1982, n. 75, sia la legge regionale 7 marzo 1983, n. 22, regolano i settori ivi specificati con riguardo ai fondi che la Regione con proprie risorse destina all'edilizia residenziale agevolata, mentre i fondi del piano decennale, che sono fondi dello Stato, stanziati con leggi dello Stato, non possono evidentemente non essere regolati dalla legge statale che li ha istituiti, cioé dalla legge n. 457 del 1978.

Se così non fosse, conclude l'Avvocatura, se davvero cioé le leggi regionali avessero modificato la disciplina dettata dalla legge dello Stato, se ne dovrebbe eccepire l'illegittimità, perchè, in tema di edilizia residenziale pubblica, l'art. 5, n. 18 dello Statuto pone alla potestà legislativa della Regione Friuli-Venezia Giulia il limite dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, principi di cui fanno parte le norme dettate dalla ripetuta legge organica n. 457, che costituisce la fonte principale della normativa sull'edilizia suddetta.

3.- Ha depositato memoria illustrativa la Regione Friuli-Venezia Giulia, insistendo sulle conclusioni già adottate.

In particolare essa rileva che l'oggetto dei conflitto non é tanto la procedura di concessione alla Regione Friuli-Venezia Giulia dei contributi dello Stato in materia di edilizia residenziale pubblica (cioé la regolamentazione dei flussi finanziari dallo Stato alla Regione), bensì, soprattutto e in primo luogo, la gestione dei contributi stessi nei rapporti con i soggetti beneficiari.

Quanto, poi, all'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura, la ricorrente osserva che il decreto ministeriale 10 novembre 1989, n. 4678 non contiene alcuna novazione sul punto delle competenze regionali rispetto alla delibera C.E.R. 19 novembre 1982 e alla legge regionale n. 22 del 1983: é, invece, la lettera di accompagnamento al decreto (quella, appunto, impugnata dalla Regione) a contenere un'enunciazione contrastante con la delibera C.E.R. e la legge regionale ora citate

Considerato in diritto

1.- La Regione Friuli-Venezia Giulia impugna dinanzi a questa Corte la nota del Ministero dei lavori pubblici - Segretariato generale del C.E.R. - del 13 novembre 1989, con la quale é stato trasmesso alla ricorrente il d.m. 10 novembre 1989, n. 4678, che ha autorizzato la sezione autonoma della Cassa depositi e prestiti a mettere a disposizione della Regione, per il biennio 1988-89, ai sensi dell'art. 36 della legge 5 agosto 1978, n. 457, "l'ammontare dei limiti di L. 4.792.000.000".

La predetta nota di trasmissione é, in particolare, impugnata là dove afferma che la concessione dei contributi statali "dovrà avvenire secondo le norme previste dalla legge 5 agosto 1978, n. 457 e successive modificazioni ed integrazioni, nonchè le istruzioni esplicative fornite dal C.E.R.".

Ad avviso della ricorrente tale affermazione viola le competenze ad essa riconosciute in materia di edilizia residenziale pubblica dallo Statuto speciale e dalle norme di attuazione, e si pone del resto in diretto contrasto sia con la delibera 19 novembre 1982 del Ministro dei lavori pubblici - Presidente del C.E.R., sia con la legge regionale 7 marzo 1983, n. 22, nelle quali era stato viceversa espressamente riconosciuto che per la gestione dei contributi statali si dovesse applicare la disciplina regionale, essenzialmente dettata con la legge 1° settembre 1982, n. 75.

2.- Il Presidente dei Consiglio dei ministri ha preliminarmente sollevato un'eccezione di inammissibilità del conflitto, in quanto diretto nei confronti di un atto meramente esecutivo di altro (il citato d.m. n. 4678 del 10 novembre 1989) non impugnato.

L'eccezione é priva di fondamento.

Invero, soltanto la nota impugnata contiene quell'affermazione in ordine alla disciplina da applicare nella fase di gestione dei finanziamenti che la ricorrente ritiene lesiva delle proprie competenze in materia. Nulla su questo punto (che é poi il thema decidendum del presente conflitto) é rinvenibile nei tre articoli di cui consta il d.m. 10 novembre 1989: l'art. 3, cui in particolare si é riferita la difesa del resistente alla pubblica udienza, concerne (com'é detto espressamente) la procedura di accreditamento dei fondi in favore della Regione da parte della sezione autonoma della Cassa depositi e prestiti, attiene cioé ad una fase procedimentale che non é in discussione in questa sede. Non vi é dubbio, in conclusione, che la nota oggetto del conflitto costituisce l'unico atto con il quale - nella parte impugnata - lo Stato ha concretamente manifestato la volontà di esercitare quella competenza la cui titolarità é rivendicata dalla ricorrente.

3.- Il ricorso é fondato.

La Regione Friuli-Venezia Giulia ha potestà legislativa concorrente nella materia dell'edilizia residenziale pubblica ("edilizia popolare": art. 5, 18 dello Statuto speciale) e tutte le relative attribuzioni amministrative sono state ad essa trasferite con le norme di attuazione (art. 22, lett. c del d.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116, come sostituito dall'art. 21 del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902). La legge 5 agosto 1978, n. 457 contiene la disciplina di principio della materia de qua - assegnando, fra l'altro, al C.I.P.E. e al C.E.R. alcune competenze di indirizzo generale -, e riconosce alle regioni (art. 4) un'ampia sfera di attribuzioni.

La Regione ricorrente ha largamente esercitato la propria potestà legislativa, principalmente con la legge I' settembre 1982, n. 75 (recante "Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica"), modificata ed integrata da successivi interventi legislativi.

Sulla base di tale complesso normativa non può non riconoscersi l'esattezza della tesi della ricorrente, secondo la quale tutto ciò che attiene alla fase della gestione dei finanziamenti statali ad essa attribuiti ai sensi della legge n. 457 dei 1978 (fermo rimanendo il vincolo di destinazione per le finalità di cui alla legge stessa) ricade sotto la sua competenza legislativa (ed amministrativa), nel rispetto, ovviamente, dei principi fondamentali della materia e degli indirizzi generali dettati dal C.I.P.E e dal C.E.R. (cfr., in ordine alla materia dell'assegnazione degli alloggi, sent. n. 727 del 1988).

L'essere stata, poi, tale competenza - come già detto - ampiamente esercitata esclude l'applicabilità nella fattispecie dell'art. 64 dello Statuto speciale (ai sensi del quale "nelle materie attribuite alla competenza della Regione, fino a quando non sia diversamente disposto con legge regionale, si applicano le leggi dello Stato").

Nè può avere rilievo in senso contrario alla conclusione cui si é pervenuti la distinzione, prospettata dall'Avvocatura dello Stato, tra fondi statali (quelli cioé di cui alla legge n. 457/78) e risorse proprie della Regione da essa eventualmente destinate all'edilizia residenziale, alle quali ultime soltanto si applicherebbe la normativa regionale: tale tesi non trova, infatti, alcun riscontro nel quadro normativa sopra delineato e nei principi generali che regolano il riparto di competenze tra Stato e regioni.

Va, infine, osservato, come rileva la ricorrente, che il Ministro dei lavori pubblici, quale Presidente dei C.E.R., aveva già esattamente ritenuto, nelle premesse della delibera del 19 novembre 1982, che "i finanziamenti previsti dalla legge 457/78 e successive modifiche e integrazioni debbono comunque essere destinati all'edilizia abitativa sulla base delle leggi adottate dalla Regione nell'esercizio della competenza alla stessa attribuita"; e che tale criterio ha inteso ribadire la legge regionale 7 marzo 1983, n. 22.

A proposito di quest'ultima, l'Avvocatura dello Stato ne adombra l'illegittimità costituzionale per violazione del citato art. 5, n. 18 dello Statuto regionale, ma senza formulare espressamente una richiesta in tal senso nelle conclusioni; dei resto la questione sarebbe chiaramente inammissibile, in quanto carente dei necessario requisito della pregiudizialità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato imporre alla Regione Friuli-Venezia Giulia, in ordine alla gestione dei finanziamenti statali in materia di edilizia residenziale previsti dalla legge 5 agosto 1978, n. 457, l'applicazione di tale legge statale con esclusione della normativa regionale che abbia diversamente disposto nei limiti della competenza riconosciuta in materia alla Regione stessa dallo Statuto speciale;

annulla, di conseguenza, nella parte impugnata la nota del Ministero dei lavori pubblici - Segretariato generale del C.E.R. di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte. costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 1990.

Giovanni CONSO, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1990.