SENTENZA N. 221
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale della Lombardia il 1 marzo 1973 e riapprovata il 10 maggio 1973, recante "Concessione di contributi per la copertura degli oneri di prefinanziamento per la costruzione di alloggi di edilizia residenziale di cui alla legge 22 ottobre 1971, n. 865", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 25 maggio 1973, depositato in cancelleria il 30 successivo ed iscritto al n. 9 del registro ricorsi 1973.
Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione Lombardia;
udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1975 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l'avvocato Alberto Predieri, per la Regione Lombarda.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 25 maggio 1973, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, ha impugnato di legittimità costituzionale la legge regionale della Lombardia, approvata, a seguito del rinvio governativo, nella seduta del 10 maggio 1973 e recante "Concessione di contributi per la copertura degli oneri di prefinanziamento per la costruzione di alloggi di edilizia residenziale di cui alla legge 22 ottobre 1971,n.865", deducendo la violazione dell'art. 117 della Costituzione per incompetenza assoluta della Regione nella materia dell'edilizia, per esorbitanza dal limite dei principi e per invasione della competenza statale in materia di credito.
2. - Resiste al ricorso il Presidente della Regione Lombardia, con atto depositato il 19 giugno 1973, nel quale deduce l'inammissibilità del primo motivo del ricorso non enunciato in sede di rinvio della legge al Consiglio regionale e sostiene nel merito la infondatezza delle altre censure.
3. - Nella pubblica udienza, tenutasi dopo due rinvii, disposti su concordi richieste delle parti, i rispettivi patroni hanno insistito nelle anzidette conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La legge della Regione della Lombardia sulla concessione di contributi sugli oneri di prefinanziamento per la costruzione di alloggi di edilizia residenziale viene impugnata dallo Stato sotto quattro profili.
Si contesta in primo luogo che, a norma dell'art. 117 Cost., la Regione abbia competenza in materia, ad essa, come alle altre a statuto ordinario, essendo semplicemente stato delegato dalla legge n. 865 del 1971 (cosiddetta "legge sulla casa") l'esercizio di determinate attribuzioni amministrative inerenti alla realizzazione di programmi in materia.
Si assume, in secondo luogo, che, ove pure si volesse ammettere che a tale originaria delega siasi poi sostituito un vero trasferimento di funzioni, la legge de qua, prevedendo per la costruzione di alloggi di tipo popolare ed economico un concorso della Regione nel pagamento degli interessi dei mutui di prefinanziamento (commisurato fino ad un massimo del 25% degli stanziamenti assegnati agli enti realizzatori delle opere per ciascuna delle localizzazioni programmate), avrebbe oltrepassato i limiti della (ipotizzata) sua competenza, violando i principi della legislazione statale, che vieterebbero contributi sugli oneri di prefinanziamento.
Contravvenendo a tali principi la legge impugnata avrebbe altresì invaso, secondo il ricorrente, la competenza statale in materia di credito.
Infine (ed é questa la quarta ed ultima censura, intimamente connessa a quella testé riassunta), l'art. 2 della legge regionale, prevedendo la variabilità dei contributi, entro il limite massimo del 6,50%, in relazione a modificazioni del tasso ufficiale di sconto, potrebbe porsi in contrasto con la politica creditizia degli organi statali, neutralizzandone gli effetti.
2. - La difesa della Regione eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del primo motivo del ricorso, per non esservi stato fatto alcun riferimento nella determinazione governativa di rinvio della legge al consiglio regionale per nuova deliberazione. soffermandosi poi, non di meno, nelle difese scritte e nella discussione orale, con dovizia di argomentazioni, a dimostrare come le funzioni dalla legge n. 865 delegate alle Regioni quanto alla fase urbanistica e alla fase di realizzazione della edilizia residenziale, siano state successivamente trasferite alle Regioni medesime, come funzioni proprie ricomprese tra "i lavori pubblici" di cui all'art. 117 Cost., per effetto del d.P.R. n. 8 del 1972 e (o) del d.P.R. n. 1036 del 1972, emesso, quest'ultimo, in attuazione della delega legislativa conferita al Governo dall'art. 8 della legge n. 865.
Contesta, poi, nel merito, l'esistenza nella legislazione statale di un principio che vieti di erogare contributi sugli interessi dei mutui di prefinanziamento; come pure che il contributo disposto dalla legge regionale e la sua variabilità, d'altronde contenuta entro un limite massimo prestabilito, possano configurare illegittima invasione nella materia del credito o comunque interferire nella politica creditizia dello Stato.
3. - In conformità con la giurisprudenza precedente della Corte (per la quale sono da richiamarsi, tra le più recenti, le sentenze n. 123 e n. 132 del corrente anno), l'eccezione pregiudiziale di inammissibilità del primo motivo di ricorso é da ritenere fondata.
La legge della Regione della Lombardia, approvata per la prima volta il 1 marzo 1973, era stata rinviata, infatti, al Consiglio regionale, rilevandosene, in primo luogo, il contrasto "con principi della legge nazionale del settore, che non prevede interventi per prefinanziamento". É ben vero che, all'osservanza dell'art. 127 Cost., può essere sufficiente che i motivi del rinvio e quelli della successiva impugnativa coincidano "almeno nelle loro linee essenziali" (sent. n. 132 del 1975, cit. e già prima sent. n. 147 del 1972), anche se, in sede di rinvio, solo "sinteticamente" enunciati (sent. n. 8 del 1967); una interpretazione in bonam partem della determinazione di rinvio intervenuta nella specie non sarebbe possibile, stante la formula in essa adoperata: la quale, denunciando violazione dei principi della legge statale "del settore" (senza specificare quale e presupponendo perciò che sia quello dell'edilizia residenziale pubblica, cui si riferiva la legge regionale), sembra addirittura dare per ammesso che la competenza in materia spettasse alla Regione, e come competenza propria, e non delegata, poiché, in quest'ultima ipotesi, la legge regionale non avrebbe incontrato il solo limite dei principi, ma neppure avrebbe potuto derogare a singole norme particolari di fonte statale.
Ciò che non può, naturalmente, equivalere ad acquiescenza, inammissibile d'altronde in questa sede, e non esime la Corte dal procedere ad una accurata ricognizione della normativa statale, a livello costituzionale ed a livello di legislazione ordinaria, vigente nel settore, per stabilire quali fossero, in ordine a questo, i poteri validamente esplicabili dalla Regione.
4. - É pacifico che l'art. 117 Cost. non contiene alcun riferimento espresso ad una materia dell'edilizia residenziale pubblica, prevista, invece, da taluni statuti regionali speciali, sotto svariate denominazioni (quali "case popolari", "edilizia popolare" "edilizia comunque sovvenzionata") come materia unitaria ed a sé stante (così, rispettivamente, l'art. 11, n. 11, del testo originario dello Statuto del Trentino-Alto Adige, l'art. 5, n. 18, dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia, l'art. 8, n. 10, del t.u. delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto del Trentino-Alto Adige, d.P.R. 31 agosto 1972, numero 670). Ma é pur vero che trattasi in realtà di materia essenzialmente composita, articolantesi in una triplice fase: la prima, avente carattere di presupposto rispetto alle altre, propriamente urbanistica; la seconda, di programmazione e realizzazione delle costruzioni, concettualmente riconducibile ai "lavori pubblici" e tradizionalmente rientrante infatti nell'ambito dell'organizzazione amministrativa statale, centrale e periferica, cui spetta la cura dei pubblici interessi a quelli inerente; la terza, infine, attinente alla prestazione e gestione del servizio della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi, in locazione od in proprietà, ecc.), limitatamente all'edilizia residenziale pubblica in senso stretto, così come definita nell'art. 1 del d.P.R. n. 1035 del 1972 (comprendente gli alloggi costruiti da parte di enti pubblici a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato).
Ora, tanto la materia dell'"urbanistica" quanto quella dei "lavori pubblici di interesse regionale" sono comprese nell'elenco dell'art. 117, senza riserve od ulteriori distinzioni nel loro interno e senza perciò che sia lecito postulare la esclusione da quest'ultima di quel che più particolarmente concerne l'edilizia residenziale pubblica, nella sua accezione più ampia, entro il limite, ovviamente, della dimensione regionale degli interessi al cui soddisfacimento le relative attività sono rivolte (nessun dubbio sorgendo, invece, quanto alle funzioni propriamente urbanistiche, pur se prodromiche e strumentali rispetto all'edilizia pubblica, delle quali il d.P.R. n. 8 del 1972 conferma espressamente il passaggio alle Regioni, già disposto dall'art. 7 della legge n. 865 del 1971).
Ciò precisato per quanto riguarda l'art. 117 Cost., il problema viene a porsi semplicemente in termini di interpretazione della disciplina complessivamente risultante dalla legge n.865 del 1971, dal d.P.R. n. 1036 del 1972, emanato in base alla delega di cui all'art. 8 della legge stessa, ed al d.P.R. n. 8 del 1972, cronologicamente intermedio tra l'una e l'altro ed operante il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni statali "in materia di urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale", in attuazione dell'altra delega contenuta nella legge n. 281 del 1970.
Vengono in particolare considerazione l'art. 2 di tale decreto, che, nel suo ultimo comma, dispone che "rimangono ferme le competenze regionali in materia di edilizia residenziale, agevolata e convenzionata, di cui alla legge 27 ottobre 1971, n. 865", ed il successivo decreto del 1972, poc'anzi richiamato, che, a partire dall'art. 1, mostra di ravvisare nelle Regioni, a fianco e sullo stesso piano dello Stato (e per esso, del Ministro dei lavori pubblici) altrettanti soggetti primari dell'attività di realizzazione dei programmi di intervento nel settore.
Pur dovendosi riconoscere che la normativa in oggetto presenta non poche oscurità, che la rendono di non agevole decifrazione, argomento decisivo nel senso che le attribuzioni per l'innanzi delegate, nell'esercizio, siano - ora - da considerarsi trasferite, si trae dal raffronto tra la delega iniziale e il contenuto normativo poi assunto, conformemente ad essa, dal d.P.R. n. 1036. L'efficacia di detta delega era, infatti, circoscritta entro limiti di tempo estremamente ristretti, e precisamente sino all'entrata in vigore del decreto legislativo (che sarà poi il d.P.R. n. 1036), da emanarsi entro il 31 dicembre 1972, al quale era demandato, tra l'altro e per quanto qui interessa, di procedere allo scioglimento di tutti gli enti pubblici edilizi, sia nazionali che locali, eccezion fatta, tra questi ultimi, per gli Istituti autonomi case popolari (IACP), da riordinarsi a loro volta a livello regionale; come pure di trasferire, "nell'ambito delle relative competenze funzionali, operative e territoriali", al Comitato per l'edilizia residenziale (CER), istituito dal precedente art. 2, e alle Regioni i compiti per l'innanzi spettanti alla Gestione case lavoratori (GESCAL).
Al che ha poi effettivamente provveduto il d.P.R. n. 1036 del 30 dicembre 1972, trasferendo altresì (in ottemperanza ad altri principi della legge di delega) agli IACP, ristrutturati, e alle stesse Regioni il personale degli enti disciolti.
La delega dell'esercizio delle funzioni amministrative nella materia in oggetto, originariamente disposta dall'art. 4 della legge n. 865, non faceva dunque che anticiparne (e di poco) il vero e proprio trasferimento, del quale costituivano presupposto necessario quelle soppressioni di enti operanti nel settore e quel riordinamento degli IACP, cui si é poc'anzi accennato e che prenderà data, ormai, dal d.P.R. n. 1036 del 1972: a norma del quale (art. 5) alle Regioni, oltre alle attribuzioni già ad esse (provvisoriamente) delegate dall'art. 4 della legge n. 865, venivano affidati in proprio una serie di compiti ulteriori e complementari. Tra i quali fanno spicco, ad esempio, quelli di sovrintendere alla esecuzione dei programmi regionali, "esercitando... azioni di indirizzo e di vigilanza nei confronti degli IACP, dei loro consorzi regionali, delle cooperative edilizie e dei loro consorzi, nonché degli altri enti, società e amministrazioni che concorrono all'attuazione dei programmi stessi" (lett. e); di promuovere la costituzione dei menzionati consorzi regionali tra gli IACP (lett. h); di approvarne gli statuti e nominarne il presidente, gli eventuali vicepresidenti ed i componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale (art. 7) e di adottare i provvedimenti di espropriazione ed occupazione d'urgenza (già trasferiti, peraltro, dall'art. 3 del d.P.R. n. 8 del 1972).
Che, d'altronde, nel contesto del d.P.R. n. 1036 quel che, prima, era delegato diventi competenza propria delle Regioni, risulta confermato anche dalla omessa previsione, nel decreto medesimo, di poteri di sostituzione di organi statali, nell'ipotesi di inadempienze od inerzia delle Regioni, a differenza da quanto é connaturale all'istituto della delega e si ritrova, infatti, per le funzioni delegate e finché tali, nel più volte citato art. 4, ultimo comma, della stessa legge n. 865, come pure nell'art. 13, ultimo comma, del d.P.R. n. 8 del 1972.
Nel quadro che si é fin qui tracciato, non ha più valore determinante la risposta che si ritenga debba darsi al quesito (sul quale si é prevalentemente accentrato il dibattito dottrinale ed ha insistito la difesa della Regione) in ordine al preciso significato dell'ultimo comma dell'art. 2 del d.P.R. n. 8 del 1972, testualmente riferito al punto precedente.
Tale decreto, infatti, in conformità alla legge di delega n. 281 del 1970, che ne stava a base, non poteva trasferire (e non ha trasferito) se non le funzioni già spettanti agli organi, centrali e periferici, "dello Stato", ivi comprese quelle relative ad enti ed istituti operanti nell'ambito regionale (artt. 1, 2 e 4), e non anche le funzioni di competenza di enti pubblici ausiliari dello Stato né le funzioni statali relative ad enti di carattere nazionale e pluriregionale (art. 5).
Sicché, anche a ritenere che l'equivoca formula dell'ultimo comma dell'art. 2, inserita com'é in un sistema di disposizioni concernenti trasferimenti, e non deleghe (così, infatti, oltre allo stesso art. 2 nei precedenti commi, gli artt. 1, 3 e 4), abbia inteso mutare il titolo del conferimento delle attribuzioni che ne formano oggetto, trasferendo quel che era delegato (interpretazione, questa, resa più attendibile dalla circostanza che, alla data del d.P.R. n. 8, la delega di cui all'art. 4 della legge n. 865 era tuttora in atto), il trasferimento non si sarebbe potuto estendere oltre quel che il decreto n. 8, come tutti gli altri analogamente emessi sul fondamento della legge n. 281 del 1970, era autorizzato a fare: restandone perciò escluse (a quel momento) le funzioni degli enti pubblici edilizi e quelle statali relative ad enti nazionali o pluriregionali. Le quali avrebbero dunque seguitato ad essere provvisoriamente delegate, in attesa di quel riordinamento generale degli enti operanti nella materia, che - come si é detto - era stato previsto dalla legge n. 865 e ha ricevuto attuazione soltanto con il successivo d.P.R. 1036 del 1972. Si é verificata, cioé, l'ipotesi cui si accennava, con riguardo ad altra materia, nella sentenza n.139 del 1972, al punto 3 della motivazione.
Quel che unicamente rileva, comunque, ai fini del presente giudizio, é che, alla data in cui il Consiglio regionale della Lombardia deliberava la legge impugnata, le funzioni amministrative (e quindi anche quelle legislative) sulla materia in oggetto erano ormai di competenza propria della Regione.
6. - Secondo l'assunto del ricorso, la normativa sarebbe tuttavia costituzionalmente illegittima, per avere disposto, come si é sopra accennato al punto 1, al fine di accelerare l'attuazione del piano regionale di localizzazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale previsti nel titolo IV della legge n. 865, che la Regione concorra, entro il limite massimo del 6,50%, al pagamento degli interessi sui mutui da prefinanziamento contratti dagli enti realizzatori (IACP e loro consorzio regionale, cooperative edilizie e loro consorzi) prima della stipulazione del mutuo definitivo: ostandovi, come si afferma, i principi della legislazione statale che "non prevedono, quindi escludono" un siffatto tipo di interventi. Ma la censura non é fondata.
Il sistema introdotto dalla legge della Regione Lombardia, nell'apprezzabile intento di ridurre i "tempi morti" che normalmente ritardano l'effettiva realizzazione delle costruzioni in programma, differisce, certamente, per alcuni aspetti, da quello tradizionalmente adottato nella legislazione statale: la quale, in verità, non ignora, ma al contrario conosce, ipotesi di concorso dello Stato negli interessi dei mutui di preammortamento, a condizione però che tali interessi vengano capitalizzati, fondendosi, per così dire, con la somma capitale data a mutuo.
Così, proprio nella stessa legge n. 865, l'art. 53, primo comma, prevede la possibilità di contributi "anche sugli interessi di preammortamento" dei mutui. Più analiticamente l'art. 71 del t.u. sull'edilizia popolare ed economica, r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, nei suoi due ultimi commi, consente la concessione di contributi "nel pagamento degli interessi sulle somministrazioni eseguite dall'istituto mutuante per acquisto del terreno e durante il periodo delle costruzioni", precisando subito dopo che "gli interessi dovuti sulle somministrazioni eseguite prima che i mutui siano posti in ammortamento vengono capitalizzati. Sulla somma capitalizzata il Ministero dei lavori pubblici corrisponde il relativo contributo". In senso analogo, e richiamandosi anzi all'art. 71, testé riferito, si esprimono, nel medesimo testo unico, con riferimento ad ipotesi particolari, anche gli artt. 173, 364 e 369.
In breve, e badando alla sostanza delle cose, la legislazione statale ammette contributi sugli interessi corrisposti per una sorta di anticipazione sui mutui definitivi: si ha, pertanto, una sola ed unica operazione finanziaria, e l'istituto mutuante resta il medesimo così nella prima come nella seconda fase.
Nel sistema della legge regionale lombarda, invece, le operazioni di credito sono due: la prima é un contratto di mutuo a breve termine, per dare concreto avvio alle attività necessarie (acquisto delle aree, inizio dei lavori...), stipulabile alle condizioni di mercato con qualsiasi istituto finanziaro, che la Regione agevola concorrendo sino al 6,50% nel pagamento degli interessi; la seconda sarà poi il contratto di mutuo definitivo, sottoposto alle regole comuni. Trattandosi di due strumenti diversi, anche se rivolti a finalità analoghe, la circostanza che il concorso sul prefinanziamento, cosi come previsto dalla legge de qua, non trovi riscontro nella normativa statale, non é argomento sufficiente per affermare la presenza, in quest'ultima, di un principio che lo vieti. Al riguardo, decisivo é il rilievo che tra le due forme di agevolazione non sussiste incompatibilità.
7. - Infondate sono anche le due ultime censure, che, per la rilevata loro interconnessione, si esaminano qui congiuntamente.
La legge regionale impugnata non invade la materia del credito, certamente riservata allo Stato (come non si contesta dalla difesa della Regione), ma si limita a concedere una particolare agevolazione agli enti costruttori che vogliano stipulare mutui per prefinanziamento, assicurando agli stessi un concorso parziale nell'onere dei relativi interessi. Si é dunque in presenza di una misura rientrante, tipicamente, tra le varie forme di incentivazione di attività economiche, in ordine alle quali non potrebbe disconoscersi la competenza regionale, sempre che si tratti di materie comprese nell'elenco dell'art. 117 della Costituzione.
Se ne ha una riprova nel decreto di trasferimento delle funzioni in materia di agricoltura (d.P.R. n. 11 del 1972) che nell'art. 1, lett. m, dispone il passaggio alle Regioni degli "interventi per agevolare l'accesso al credito agrario, ivi compresi rapporti con gli istituti di credito", eccezion fatta per quanto attiene all'ordinamento del credito agrario, degli istituti che lo esercitano e dei "limiti massimi dei tassi praticabili" (articolo 4 lett. i), che rimane di competenza statale. Ed é noto come le Regioni si siano largamente avvalse delle facoltà ad esse conferite dalla citata lett. m dell'art. 1, attuando forme diverse di agevolazione, ma - più di frequente - proprio un sistema strettamente analogo a quello istituito dalla legge de qua, e consistente per l'appunto in un concorso pubblico, di entità variabile, ferma restando la determinazione annualmente effettuata dallo Stato, con decreto del Ministro per il tesoro, dei tassi che gli istituti mutuanti devono praticare. Con il che, all'opposto di quanto si assume nel ricorso, sono (correttamente) le scelte statali che limitano e condizionano la politica di incentivazione svolta dalle singole Regioni.
D'altra parte, la temporaneità degli interventi predisposti nella legge della Regione Lombardia (per i quali erano stanziati in bilancio due miliardi, uno per il 1973 e l'altro per il 1974) unitamente alla predeterminazione del limite massimo del contributo, che in nessun caso (quali che siano le variazioni dei tassi ufficiali) potrebbero andare oltre il 6,50%, concorrono ad escludere che possano derivarne gravi ripercussioni (comunque, indirette) sulla manovra del credito e che pertanto la legge in questione abbia violato il limite territoriale di validità, inerente ad ogni specie e tipo di potestà normative regionali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità Costituzionale della legge della Regione della Lombardia concernente concessione di contributi per la copertura degli oneri di prefinanziamento per la costruzione di alloggi di edilizia residenziale di cui alla legge 22 ottobre 1971, n. 865, proposte, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, con il ricorso di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1975.
D Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 17 luglio 1975.