Ordinanza n. 251 del 1990

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ORDINANZA N.251

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 365 del codice di procedura penale del 1988, promosso con ordinanza emessa il 28 novembre 1989 dal Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di Candelori Marina, iscritta al n. 42 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 aprile 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto che il Tribunale di Bologna, chiamato a decidere sulla <istanza di riesame> avverso un <decreto di perquisizione (e successivo sequestro)> emesso dal Pubblico ministero, ha, con ordinanza del 28 novembre 1989, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 365 del codice di procedura penale del 1988, <nella parte in cui non prevede che il P.M., durante la perquisizione svolta in assenza dell'indagato, dia avviso delle operazioni al difensore di fiducia o d'ufficio, previa nomina di quest'ultimo ove occorra>;

e che nel giudizio è intervenuto il Presidente dei Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata, in via principale, inammissibile-<posto che la devoluzione operata attraverso il riesame non attiene alla perquisizione ma al sequestro> - e, in subordine, non fondata.

Considerato che l'eccezione d'inammissibilità avanzata dall'Avvocatura generale dello Stato deve essere disattesa, in quanto la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nel senso che il decreto di perquisizione, quando le cose siano state sottoposte a sequestro, può essere assoggettato al riesame del tribunale;

che, peraltro, la questione, così come proposta dal giudice a quo, risulta manifestamente infondata, perchè, con riguardo alle perquisizioni locali, nessun avviso al difensore è prescritto dalla legge in ordine al compimento delle operazioni, sia o no presente ad esse la persona sottoposta alle indagini ed a prescindere dall'avvenuta nomina di un difensore di fiducia o dall'avvenuta designazione di un difensore d'ufficio da parte del pubblico ministero (la stessa rubrica dell'art. 365 parla, chiaramente, di <Atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso>), dato che la perquisizione è <atto, per sua natura, sempre urgente e riservato, perchè ha come presupposto, ai fini della sua efficacia, l'elemento sorpresa> (cfr. sentenza n. 123 del 1974), caratteristica propria anche della fattispecie delineata dal codice di procedura penale del 1988 (v., oltre alla norma qui denunciata, gli artt. 249 e 250).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 365 del codice di procedura penale del 1988, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 28 novembre 1989.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Giovanni CONSO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 15/05/90.