SENTENZA N.67
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 15 e 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità, modifiche ed integrazioni alle l. 17 agosto 1942, n. 1150, l. 18 aprile 1962, n. 167, l. 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia, agevolata e convenzionata), come modificati dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 20 aprile 1989 dalla Corte d'appello di Salerno nel procedimento civile vertente tra Ferrara Alfonso ed altri e la s.r.l. Cooperativa Salvo D'Acquisto ed altro, iscritta al n. 309 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989;
2) ordinanza emessa il 28 febbraio 1989 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra Mezzetti Natale e il Comune di Castel San Pietro Terme, iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Visto l'atto di costituzione di Mezzetti Natale nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 1989 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
uditi l'avv. Francesco Paolucci e l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza in data 28 febbraio 1989, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, primo comma, della legge 22 settembre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non consente che il proprietario, già espropriato, di un bene immobile e gli altri interessati possano agire in giudizio per la determinazione della indennità di espropriazione anche in mancanza della relazione di stima della commissione di cui all'art. 16 o dell'U.T.E., quando sia trascorso il tempo ragionevolmente necessario per il compimento delle relative attività.
La questione si é posta nel corso del procedimento promosso per la determinazione dell'indennità definitiva da parte del proprietario di un'area occupata in via d'urgenza nel 1982 ed espropriata nel 1983. L'interessato non aveva accettato l'indennità provvisoria determinata dal comune espropriante e aveva convenuto lo stesso davanti alla Corte d'appello, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 865 del 1971, chiedendo che fosse stabilita la giusta indennità di espropriazione. La Corte d'appello dichiarò inammissibile la domanda, mancando la stima della indennità definitiva ad opera della commissione provinciale, competente a norma dell'art. 16 della legge già menzionata. Avverso tale decisione il proprietario aveva proposto ricorso per cassazione.
Il giudice a quo osserva che in effetti il ricorrente agisce per ottenere la determinazione dell'indennità definitiva, cui ha diritto a seguito del provvedimento di espropriazione, non impugnato, nè posto in contestazione. La tutela di tale diritto si attua, in virtù della legge n. 865 del 1971, mediante un giudizio affidato alla cognizione speciale in unico grado della Corte d'appello, giudizio che si instaura con l'opposizione alla stima dell'indennità definitiva.
Tale stima - osserva ancora la Corte di cassazione - si pone come presupposto dell'azione giudiziaria e la sua mancanza determina l'improponibilità della domanda.
Per contro, la determinazione dell'indennità non costituisce presupposto per la pronuncia del decreto di espropriazione. La conseguenza é che può accadere, e normalmente accade, che il provvedimento di espropriazione sia emanato senza (o comunque prima) che sia stata determinata l'indennità definitiva.
D'altra parte, per la determinazione, comunicazione e pubblicazione dell'indennità definitiva la legge non stabilisce altri termini, se non quello di trenta giorni dalla richiesta alla commissione o all'U.T.E., ma anche tale termine non é posto in collegamento con il decreto di esproprio e si presenta, in ogni caso, come meramente ordinatorio, non derivando dalla sua inosservanza alcun effetto sul procedimento. L'espropriato dunque, già spogliato della proprietà, può trovarsi indefinitamente e ingiustificatamente paralizzato nel suo diritto a conseguire l'indennità dovutagli di cui, finchè manchi la stima non può chiedere nemmeno la determinazione giudiziale.
Tale situazione - conclude l'ordinanza di rimessione - si pone in contrasto con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, il quale proclama che tutti possonò agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
2.- Si é costituita davanti alla Corte la parte ricorrente nel giudizio a quo, sostenendo che la norma impugnata si pone in contrasto non solo con l'art. 24, ma anche con l'art. 42 della Costituzione.
Con l'esproprio il diritto del proprietario si converte nel diritto all'indennità: il titolo al pagamento nasce quindi al momento dell'emanazione del provvedimento ablativo ed é sin da allora che si deve consentire al privato di poter agire.
La parte privata conclude quindi per la declaratoria di illegittimità della norma impugnata.
3.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha affermato l'inammissibilità della questione.
La Corte di cassazione non avrebbe dovuto infatti limitarsi ad osservare che l'azione davanti alla Corte d'appello non può essere proposta se non dopo la determinazione dell'indennità definitiva, ma avrebbe dovuto altresì esaminare se nessun altro rimedio giuridico sia offerto dall'ordinamento per ovviare all'inerzia dell'espropriante.
In ogni caso, ad avviso dell'Avvocatura, deve dichiararsi l'infondatezza della questione, perchè il proprietario ha i mezzi per evitare il protrarsi della situazione di inerzia.
Egli può anzitutto far ricorso al giudice perchè assegni all'ente espropriante un termine, ai sensi dell'art. 1183 cod. civ., entro il quale dar corso alle attività previste dall'art. 15 della legge.
Inoltre, il proprietario potrebbe diffidare l'ente espropriante al compimento dell'attività dovuta e, nel caso di protratta inerzia, impugnarne il silenzio rifiuto ai sensi dell'art. 27 n. 4 del tu. n. 1054 del 1924, potendosi pervenire, se del caso, alla nomina di un commissario ad acta.
Comunque - osserva ancora l'Avvocatura - la questione é inammissibile perchè si chiede alla Corte di integrare e modificare la norma impugnata, inserendo in essa la previsione di una ipotesi di decadenza per il mancato compimento dell'attività dovuta, ovvero la determinazione di un congruo termine perentorio, con invasione della sfera. riservata al potere legislativo.
4.- Con ordinanza in data 20 aprile 1989, la Corte d'appello di Salerno ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 42, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale: a) dell'art. 15 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come sostituito dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non prevede la prefissione di termini perentori per il compimento delle attività previste in detta norma; b) dell'art. 19 della stessa legge, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui, accanto alla opposizione alla stima effettuata dall'U.T.E., non prevede, per il caso di omissione da parte dell'espropriante delle attività di cui all'art. 15, il ricorso diretto del proprietario e degli altri interessati alla Corte d'appello competente per territorio, ai fini della determinazione giudiziaria della indennità definitiva di espropriazione.
Il giudice a quo - adito dai proprietari di un'area i quali, dopo aver rifiutato l'indennità provvisoria ed avere subito l'espropriazione del bene, proponevano opposizione avverso l'indennità indicata nel decreto di espropriazione - osserva che é stata eccepita l'improponibilità della domanda per mancata determinazione dell'indennità definitiva. Tale comportamento omissivo della pubblica amministrazione - prosegue l'ordinanza di rimessione - é certamente lesivo del diritto soggettivo dell'espropriato a conseguire l'indennità dovutagli (art. 42, terzo comma, della Costituzione; art. 834 cod. civ.; art. 24, legge 25 giugno 1865, n. 2359; artt. 11, 13, 15, legge n. 865 dei 1971; legge n. 247 dei 1974; legge n. 10 del 1977) e ad opporsi a quella determinata in misura eventualmente incongrua.
Mentre nella ipotesi di avvenuta determinazione della indennità definitiva (art. 15, legge n. 865 del 1971) é previsto uno specifico mezzo di difesa del diritto insufficientemente indennizzato, mediante la opposizione alla stima innanzi alla Corte d'appello (art. 19 legge citata), la stessa legge, viceversa, non prevede alcun mezzo di tutela innanzi al giudice ordinario contro l'omessa determinazione da parte della pubblica amministrazione espropriante.
Il titolare del diritto soggettivo si viene a trovare, così, inerme, in attesa per un tempo indefinito e sprovvisto di altri mezzi di tutela, non essendo esperibili nè il ricorso all'art. 1183 cod. civ., per il divieto posto al giudice ordinario di ordinare un tacere alla pubblica amministrazione, nè il ricorso al procedimento per la formazione del silenzio-rifiuto.
Da quanto innanzi - conclude il giudice a quo - deriva che nella situazione esposta non sussiste possibilità di agire in giudizio per la rimozione dell'ostacolo all'esercizio del diritto soggettivo indicato, nè tutela giurisdizionale adeguata al diritto leso.
5.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l'inammissibilità e comunque l'infondatezza delle questioni, con argomenti che in linea generale riecheggiano quelli svolti nell'intervento già riferito.
Considerato in diritto
1. -Le ordinanze innanzi indicate denunciano l'illegittimità costituzionale delle stesse disposizioni di legge, sulla base di argomentazioni analoghe. I relativi procedimenti vanno quindi riuniti per essere definiti con una unica decisione.
2.-La Corte di cassazione e la Corte d'appello di Salerno impugna no l'art. 19, primo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10), nella parte in cui non consente che in caso di espropriazione il proprietario del bene e gli altri interessati possano agire in giudizio per la determinazione dell'indennità loro dovuta, anche in mancanza della relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge stessa. Per entrambi i giudici la disciplina è sospetta di contrasto con l'art. 24 della Costituzione; per la Corte d'appello di Salerno sarebbe violato anche l'art. 42.
3.-Osserva preliminarmente la Corte che il diritto alla determinazione dell'indennità di espropriazione può essere tutelato, secondo quanto previsto dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865, mediante un giudizio affidato alla cognizione speciale in unico grado della Corte d'appello.
L'art. 19 consente all'interessato di proporre opposizione alla stima della indennità definitiva operata dalla apposita commissione istituita in ogni provincia (art. 16), ovvero, finchè le commissioni stesse non siano insediate, dall'Ufficio tecnico erariale (art. 19, secondo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10), entro trenta giorni dall'inserzione dell'avviso del deposito della relazione nel Foglio degli annunzi legali della provincia.
Secondo una consolidata giurisprudenza, richiamata dalle ordinanze di rimessione, la stima delle indennità, con i procedimenti indicati, si pone come presupposto dell'azione giudiziaria e la sua mancanza determina l'improponibilità della domanda. Per contro, essa non impedisce la pronuncia del decreto di espropriazione, il quale - a norma dell'art. 13 della legge n. 865 del 1971 - è emanato dall'autorità competente entro quindici giorni dalla richiesta dell'espropriante, che provi di avere adempiuto a quanto previsto dall'art. 12 (pagamento dell'indennità provvisoria accettata dall'espropriando ovvero deposito presso la Cassa depositi e prestiti dell'indennità non accettata).
Può dunque avvenire, e risulta avvenuto nelle vicende che hanno dato origine ai giudizi a quibus, che il provvedimento di espropriazione sia emanato prima della determinazione dell'indennità definitiva, che tale determinazione manchi anche a lungo e che l'espropriato, già privato della proprietà del bene e non indennizzato, non possa neppure agire per ottenere la determinazione giudiziale di quanto dovutogli.
Tale situazione risulta priva di rimedi efficaci. É ben vero che questa Corte, esaminando la fattispecie disciplinata dall'art. 12 del decreto-legge luogotenenziale 27 febbraio 1919, n. 219 (convertito in legge 24 agosto 1921, n. 1290), ritenne che l'espropriato, per ottenere il deposito dell'indennità di espropriazione, potesse far ricorso alla procedura prevista dal l'art. 1183 cod. civ. che consente la fissazione, ad opera del giudice, del termine entro il quale la pubblica amministrazione deve effettuare tale deposito (sent. n. 138 del 1977). Ma in quel caso si lamentava che l'espropriazione potesse precedere il deposito dell'indennità senza che fosse fissato un termine entro il quale esso doveva avvenire. Nel caso di specie, invece, si lamenta che sia inibita sine die all'espropriato l'esperibilità dell'azione giudiziaria per ottenere la determinazione della giusta indennità, in attesa del deposito della relazione di stima dei beni espropriati, non essendo fissato un termine entro il quale la stima deve essere effettuata.
Trattasi, pertanto, di fattispecie obiettivamente diverse, in relazione alla prima delle quali la violazione dell 'art . 24 della Costituzione non era stata neppure dedotta.
É appunto tale norma costituzionale, invece, che risulta violata dall'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, così come mod. dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
4.-Questa Corte ha costantemente affermato che la tutela giurisdizionale garantita dalla Costituzione non deve necessariamente porsi in relazione di immediatezza con il sorgere del diritto.
Essa ha però precisato, fin dalla sentenza n. 47 del 1964, che la determinazione concreta di modalità e di oneri non deve rendere difficile o impossibile l'esercizio di tale diritto, ostacolandolo fino al punto di pregiudicarlo o renderlo particolarmente gravoso.
Tali enunciazioni di principio sono alla base della decisione (sent. n. 186 del 1972), con cui venne dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 146 della legge di registro (r.d. 30 dicembre 19235 n. 3269), perchè consentiva all'amministrazione finanziaria, discrezionalmente e senza limite di tempo, di procrastinare la definitività dell'accertamento del tributo di registro, impedendo così l'esplicazione della tutela giurisdizionale.
Nel caso ora considerato ricorrono ragioni analoghe. La pubblica amministrazione, omettendo l'adempimento relativo alla relazione di stima, può ritardare in modo indefinito non solo la corresponsione dell'indennità, ma lo stesso esercizio della potestà di agire in giudizio da parte dell'interessato. A ciò si aggiunga che - come è stato posto in luce nella relazione al disegno di legge governativo n. 1947/S, annunciato in Aula il 14 novembre 1989, recante < Norme in materia di espropriazione per pubblica utilità> - è sempre più frequente la perdita anticipata della disponibilità del bene. L'occupazione di urgenza, si legge infatti nella relazione, è andata perdendo la sua connotazione originaria di istituto eccezionale, per divenire sempre più lo strumento abituale mediante il quale l'espropriante può, prima dell'espropriazione, immettersi nel possesso del bene e, al tempo stesso, differire l'adempimento dell'obbligo di corrispondere l'indennità dovuta fino alla scadenza del termine legale dell'occupazione. Anche la natura rigorosamente temporanea dell'occupazione, prosegue la relazione, è venuta sensibilmente ad attenuarsi: il termine di durata è stato, infatti, portato da due a cinque anni con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, e quindi più volte prorogato per le occupazioni in atto al momento dell'entrata in vigore delle relative disposizioni.
Secondo la disciplina vigente, il proprietario del bene può dunque perderne la disponibilità e in seguito anche la titolarità, restando per un lungo e non definito tempo privo di ristoro e paralizzato nella difesa. Situazione, questa, in sicuro contrasto con l'art. 24 della Costituzione, per il quale la tutela giurisdizionale, pur potendo diversamente modularsi da caso a caso, deve essere effettiva e non può quindi non concretarsi in adeguata protezione.
Nè può accedersi alla tesi prospettata dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il privato potrebbe avvalersi del previo ricorso, al giudice ordinario, ex art. 1183 cod. civ. - affinchè fissi un termine alla pubblica amministrazione per dar luogo alla stima ed agli altri adempimenti previsti dall'art. 15 della legge n. 865 del 1971 -, nonchè al giudice amministrativo, impugnando il silenzio-rifiuto sulla richiesta all'amministrazione di adempiere.
A parte i problemi inerenti alla esperibilità astratta di tali rimedi, evidente è, infatti, il loro carattere defatigante e non conclusivo e la conseguente scarsa efficacia al fine di assicurare all'espropriato, in tempi ragionevoli, la concreta e definitiva determinazione dell'indennità di espropriazione.
Certo, come osserva l' Avvocatura generale dello Stato, non spetta alla Corte surrogarsi al legislatore, stabilendo termini e modalità del procedimento di acquisizione di beni per pubblica utilità. Ma spetta alla Corte stabilire i limiti al di là dei quali le garanzie apprestate dalla Costituzione devono ritenersi violate. Nel caso considerato, per dare effettività al diritto garantito dall'art. 24 della Costituzione, non può negarsi all'interessato di agire per ottenere l'indennizzo sancito nell'art. 42 della Costituzione, quanto meno dal momento in cui egli perde la proprietà del bene.
Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, così come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui, pur dopo l'avvenuta espropriazione, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennità, finchè manchi la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge.
5. - La Corte d'appello di Salerno ha impugnato altresì l'art. 15 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come sostituito dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non prevede la prefissione di termini perentori per il compimento delle attività previste in detta norma (richiesta di determinazione della indennità e successiva comunicazione, deposito e pubblicità della indennità determinata).
La questione deve ritenersi assorbita a seguito dell'accoglimento dell'impugnazione relativa all'art. 19 della stessa legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità, modifiche e integrazioni alle l. 17 agosto 1942, n. 1150, l. 18 aprile 1962, n. 167, 1. 29 settembre 1964, n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia, agevolata e convenzionata), come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), nella parte in cui, pur dopo l'avvenuta espropriazione, non consente agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell'indennità, finchè manchi la relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della legge.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/02/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Gabriele PESCATORE, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 22/02/90.