SENTENZA N.1
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 52, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 27 gennaio 1988 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Pallante Domenico, iscritta al n. 341 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Misto l'atto di costituzione di Pallante Domenico nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 15 novembre 1989 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;
uditi l'avv. Claudio Rossano per Pallante Domenico e l'Avv. Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza emessa il 27 gennaio 1988 (pervenuta il 23 giugno 1989) la Corte dei conti, sul ricorso proposto da Pafiante Domenico, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, terzo comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in quanto prevede il limite di anni 20 di servizio effettivo per il conseguimento del diritto a pensione del personale militare destituito (diversamente dalla disciplina anteriore che aveva riconosciuto tale diritto dopo 15 anni di servizio), per contrasto con l'art. 76 Cost. in relazione all'art. 6 legge delega 28 ottobre 1970, n. 775, là dove é fissato il criterio di migliore accessibilità e comprensione delle disposizioni anteriori.
Dall'ordinanza si evince che il ricorrente, al tempo guardia di P.S., cessato dal servizio in data 21 gennaio 1980 per perdita del grado a seguito di condanna penale, ha adito la Corte dei conti per il riconoscimento del diritto a pensione. Il Collegio a quo, dopo aver rilevato che il servizio effettivo prestato dal ricorrente non raggiunge il limite di anni 20, prescritto dall'art. 52, terzo comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 per il conseguimento del beneficio, ha sospettato di incostituzionalità, per eccesso di delega, la predetta norma.
La Corte dei conti, dopo aver richiamato la normativa precedente, rileva come la regolamentazione della materia, soprattutto per effetto di successive sentenze della Corte costituzionale, sia tale che per i casi in questione si dovrebbe prendere in considerazione un'anzianità di servizio di anni 15.
Pertanto la disposizione impugnata, che prevede il maggior limite di 20 anni, non sembrerebbe corrispondere "a un criterio di migliore accessibilità e comprensione delle disposizioni anteriori", così come prescritto nella legge di delega.
A sostegno delle censure di incostituzionalità della norma impugnata, avendo essa introdotto una radicale innovazione che non sarebbe consentita dalla delega stessa, si é costituito il ricorrente Pallante, invocando, tra l'altro, pregressi diritti consolidati e protetti.
Per il Presidente del Consiglio dei ministri é intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione sul rilievo che la legge delega avrebbe dato al Governo "la facoltà di innovare rispetto alla precedente legisla2ione". In ogni caso - si chiarisce - tale legislazione prevedeva il più favorevole limite di anni 15 soltanto per gli ufficiali, limite poi esteso a tutto il personale dagli interventi della Corte costituzionale, diretti però esclusivamente a garantire esigenze di uniformità di trattamento, che sono ugualmente rispettate dalla norma vigente.
Considerato in diritto
1.1 -L'art. 52, comma terzo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) prescrive tra l'altro, per il personale militare, che l'ufficiale, il sottufficiale e il militare di truppa che cessino dal servizio permanente o continuativo per <perdita del grado> hanno diritto alla pensione normale se abbiano compiuto almeno venti anni di servizio effettivo.
1.2 - Il giudice a quo dubita della legittimità - ex art. 76 Cost. -della disposizione, per eccesso nell'esercizio della delega contenuta nella legge 28 ottobre 1970, n. 775, art. 6.
Emergerebbe dal contesto della normativa precedente, nonchè dalla giurisprudenza della Corte costituzionale intervenuta su tale normativa, che i casi concernenti personale militare destituito <debbano essere risolti tenendo presente un'anzianità di servizio di anni 15>.
Per contro, la disposizione impugnata introduce il maggior limite di anni 20, non corrispondendo-assume il Collegio rimettente-ai criteri di <migliore accessibilità e comprensione> dettati del delegante per la raccolta delle norme in un testo unico avente valore di legge ordinaria, con infrazione, pertanto, delle garanzie dettate dall'art. 76 Cost.
2. - La questione non è fondata.
É ben vero-come lo stesso giudice a quo ricorda-che con varie ed anche recenti sentenze di questa Corte il limite per fruire di pensione da parte del personale rimosso dal grado è stato ricondotto-limitatamente all'ordinamento precedente l'odierno testo unico-al più breve periodo di quindici anni. Ma le fattispecie man mano poste al vaglio di costituzionalità erano prospettate, giova precisare, ex art. 3 Cost. con un tertium comparationis concernente identico e omogeneo ambito di soggetti-militari tutti-per i quali il legislatore aveva elargito il trattamento più favorevole soltanto agli ufficiali.
Orbene, con la normativa odierna il legislatore si è risolto a introdurre per tutto il personale militare il limite comune di anni 20 di servizio. E non va sottaciuto che la medesima anzianità è stata fissata anche per il personale civile destituito (art. 42 del testo unico).
Nè sussiste, in riferimento al parametro invocato (art. 76) violazione di principi e criteri direttivi: i contenuti dell'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (norma delegante) assegnano al Governo sufficienti margini di discrezionalità (cfr. sentenza n. 91 del 1984) che sono stati correttamente esercitati in ordine a un istituto che nella sua applicazione, resa uniforme come s'é detto, attiene a soggetti i quali sono stati rimossi o destituiti.
Conclusivamente il legislatore delegato si è adeguato ai principi di una disciplina che è tale da rendere valida la modifica al <rapporto di durata>, senza cioè che ne siano rimaste incise presunte vanificazioni di aspettative così come questa Corte ha già avuto modo di considerare in ordine ai trattamenti di quiescenza (sent. n. 349 del 1985).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, comma terzo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), in riferimento all'art. 76 della Costituzione, sollevata dalla Corte dei conti, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Giuseppe BORZELLINO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 02 Gennaio 1990.