SENTENZA N. 91
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 63, commi primo e terzo, R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 (t. u. delle leggi sulla Corte dei Conti) 72 e 76, comma secondo, R.D. 13 agosto 1933 n. 1038 (Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti); degli artt. 203, 204 e 205 i. u. approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (t. u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) e art. 26 legge 3 maggio 1967 n. 315, art. 14, comma secondo, R.D. 27 giugno 1933 n. 703, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 19 ottobre 1976 dalla Corte dei Conti sul ricorso proposto da Franzò Concetto, iscritta al n. 507 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 dell'anno 1978;
2) ordinanza emessa il 27 ottobre 1980 dalla Corte dei Conti sui ricorsi riuniti proposti dà Grisolia Domenico ed altri, iscritta al n. 524 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 dell'anno 1981.
Visti gli atti di costituzione di Lupoli Giulio, Ghilardi Antonino, Lucantoni Virgilio e Grisolia Domenico nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 13 marzo 1984 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;
uditi l'avv. Giovanni Capanna per Grisolia, Umberto Coronas per Lupoli, Ghilardi e Lucantoni.
Ritenuto in fatto
1.1. - Con ordinanza pronunciata, su ricorso di Franzò Concetto militare in congedo e su ricorso incidentale del Procuratore generale, il 19 ottobre 1976 (pervenuta alla Corte Costituzionale il 26 ottobre 1977; notificata il 17 e comunicata il 21 febbraio 1977; pubblicata nella G. U. n. 4 del 4 gennaio 1978 e iscritta al n. 507 R.O. 1977), la Corte dei Conti - Sezione IV Giurisdizionale - ha sollevato d'ufficio questione d'illegittimità, in riferimento all'art. 3 Cost., degli artt. 63 comma primo ("Il termine per la presentazione alla Corte dei Conti dei ricorsi di cui al precedente articolo é di novanta giorni decorrenti dalla data della comunicazione o notificazione del provvedimento di concessione o di rifiuto della pensione, dell'assegno o dell'indennità") e terzo comma ("Per il Procuratore generale presso la Corte il termine decorre dalla data di registrazione del decreto di liquidazione") r. d. 1934 n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei Conti) e 76 comma secondo (per il quale, quando il Procuratore generale ricorre in via principale, il termine per il deposito del ricorso decorre dalla data di registrazione alla Corte dei Conti del decreto di concessione di pensione, assegno o indennità) R.D. 13 agosto 1933 n. 1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti) nella parte in cui dispongono che il deposito del ricorso principale (come tale interpretato dalla Corte il ricorso nella specie proposto dal Procuratore generale) avverso decreto di pensione deve avvenire a pena di inammissibilità entro novanta giorni dalla data di registrazione del provvedimento da parte dell'Ufficio di controllo della Corte dei Conti. Ha considerato che a) la sent. 8/1976, con cui la Corte Costituzionale aveva giudicato illegittimo il termine di 90 giorni posto dagli artt. 63 R.D. 1214/1934 e 72 R.D. 1038/1933 per il ricorso dell'interessato avverso provvedimenti in materia di pensione ma non aveva esteso la declaratoria alla disciplina del ricorso del P.M. per il diverso fondamento e diversa finalità (del termine) rispetto a quello denunciato nell'ordinanza di rimessione, non poteva in nessun caso essere intesa come pronuncia di manifesta infondatezza della questione di costituzionalità di norma che non formò oggetto del giudizio incidentale di legittimità, b) con sent. 25/1966 la Corte Costituzionale enunciò la proposizione, convalidata dalla più autorevole dottrina, che il principio d'eguaglianza vieta che la legge direttamente o indirettamente dia vita a non giustificata disparità di trattamento delle situazioni giuridiche indipendentemente dalla natura e dalla qualificazione dei soggetti ai quali vengono imputate, c) la parità di trattamento tra P. M. e interessato sarebbe turbata a danno del primo e a favore del secondo per ciò che, mentre il privato non deve rispettare alcun termine per far valere in giudizio la propria pretesa, é vincolato al rispetto del termine di 90 giorni il P. M. il quale, pur con la differente finalità di assicurare il rispetto della legge nei confronti di un provvedimento di indubbia natura dichiarativa che peraltro presenta elementi di discrezionalità non in senso tecnico in punto a valutazione dei fatti causativi dell'infermità, é tuttora vincolato al rispetto del termine di 90 giorni, né giova ad attingere opposto avviso la circostanza che un primo esame del decreto concessivo viene effettuato in sede di registrazione presso l'ufficio di controllo della Corte dei Conti perché trattasi di 'controllo di mera legittimità, che non rende superfluo il controllo che il P. M. può effettuare con la proposizione del ricorso principale a differenza di quello incidentale strettamente vincolato nei limiti del giudizio principale instaurato con il ricorso dell'interessato.
1.2. - Avanti la Corte l'interessato non si é costituito; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 30 maggio 1977, con il quale l'Avvocatura generale dello Stato a sostegno della conclusione d'infondatezza della proposta questione ha negato la sussistenza della parità di trattamento procedurale tra P. M. e l'interessato perché mentre l'interessato fa valere in giudizio in materia pensionistica un suo diritto soggettivo patrimoniale rispetto al quale il provvedimento amministrativo, che lo riconosce o lo esclude, é privo di ogni carattere autoritativo, il ricorso del P. M. per essere diretto ad assicurare "il rispetto della legge" ha fondamento e persegue finalità diverse (in tali sensi C. cost. 8/1976).
2.1. - Grisolia Domenico, Lupoli Giulio, Ghilardi Antonino, Urciuoli Mario e Balestrino Vittorio (poi deceduto),tutti segretari capi del ruolo ad esaurimento della carriera di concetto di cui alla l. 6 marzo 1958, n. 199, vennero inquadrati, con effetto dal 12 dicembre 1972, ai sensi dell'art. 64 comma secondo D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, nella quali6ca di Ispettore capo del ruolo ad esaurimento della carriera direttiva per i servizi dell'alimentazione di cui alla legge 6 marzo 1958, n. 199. In seguito alle loro domande di esodo i predetti furono collocati a riposo: il Grisolia dal 16 giugno 1973, gli altri dal 28 successivo. Con le stesse decorrenze l'autorità amministrativa attribuì loro la qualifica di Primo Dirigente e liquidò il relativo trattamento tenendo presenti la seconda classe di stipendio e cinque aumenti biennali per i combattenti.
Avendo, a seguito di successivo mutamento di orientamento giurisprudenziale, il Direttore generale degli affari generali e del personale del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste modificato i precedenti provvedimenti con rettificare la qualifica dei suindicati funzionari - e di altri nelle stesse condizioni - in quella di Ispettore capo aggiunto (direttore aggiunto di divisione) e con liquidare ai medesimi la pensione sul parametro 530 (5 a.p. se combattenti), gli interessati proposero ricorso alla Corte dei Conti eccependo con varie argomentazioni l'illegittimità della disposta revoca in quanto i primi provvedimenti sarebbero inficiati da errore di diritto e non da errore di fatto.
Il Procuratore generale non si limitò, nelle conclusioni scritte, a sostenere, quanto alla legittimità della revoca, che l'Amministrazione era incorsa in un grossolano abbaglio per avere ritenuto sussistere un falso presupposto di fatto con il considerare il Grisolia e gli altri appartenenti ai ruoli normali del Ministero dell'Agricoltura e Foreste anziché al particolare servizio dell'alimentazione e, perianto, ricevere applicazione l'art. 204, lett. a, seconda parte, D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, ma, in pendenza di giudizio, propose ricorso principale contro gli originari provvedimenti (poi revocati) chiedendone l'annullamento sul riflesso che il trattamento pensionistico, spettante ai ricorrenti, era quello ancorato al parametro 530, ed eccepì la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono, per il ricorso principale del Procuratore generale, il termine di 90 giorni dalla registrazione del provvedimento impugnato (art. 14 comma secondo, R.D. 27 giugno 1933, n. 703, artt. 72 e 76 comma secondo R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 63 commi primo e terzo R.D. 12 luglio 1934, n. 1214) per violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost..
2.2. - Nei confronti di Lucatoni Virgilio, già dirigente generale con la funzione di Provveditore alle OO.PP. (livello C), il Min. LL.PP. emise un primo decreto (21 gennaio 1976) attributivo di pensione computata sull'iniziale stipendio della qualifica di dirigente generale di livello "B", e un secondo provvedimento (6 dicembre 1978) con il quale, previa revoca del precedente, il trattamento pensionistico del Lucantoni fu rideterminato sullo stipendio di dirigente generale di livello "C" con i tre aumenti biennali di cui all'art. 2 comma primo l. 24 maggio 1970, n. 336, non esistendo qualifica superiore. Il Lucantoni impugnò il secondo decreto, mentre il Procuratore generale, con atto depositato il 9 aprile 1980, propose ricorso principale avverso il primo provvedimento registrato il 1 agosto 1977.
2.3. - Con ordinanza resa il 27 ottobre 1980 (pervenuta alla Corte Costituzionale il 2 luglio 1981; comunicata il 16 febbraio 1982 e notificata il 20 dello stesso mese di febbraio; pubblicata nella G. U. n. 311 dell'11 novembre 1981 e iscritta al n. 524 R.O. 1981) la Corte dei Conti - Sezione III Giurisdizionale (Pensioni civili) -, riuniti i ricorsi, ha sollevato questioni di illegittimità, a) in riferimento agli artt. 3, 36, 76 e 97 Cost. degli artt. 203, 204 e 205 del t. u. appr. con D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 e 26 l. 3 maggio 1967 n. 315 con precipuo riferimento alla diversa disciplina dell'annullamento, in dette norme contenuta, rispetto alla disciplina degli atti amministrativi non autoritativi relativi ai diritti patrimoniali dei dipendenti pubblici, b) in rifermento agli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost. degli artt. 14 comma secondo R.D. 27 giugno 1933 n. 703, 72 e 76 comma secondo R.D. 13 agosto 1933 n. 1038, 63 commi primo e terzo R.D. 12 luglio 1934 n. 1214, che prevedono il termine perentorio di novanta giorni per il ricorso principale del Procuratore generale per violazione dei principi della "par condicio" e della tutela del contraddittorio nonché sotto il profilo della carenza di norme organizzatorie e della insufficienza della tutela giurisdizionale.
In sintesi, le norme in materia di revoca poste dal t. u. appr. con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (artt. 203 a 205) avrebbero a) in primo luogo ristretto la facoltà di revoca della P. A., nel senso che questa non può più annullare un proprio provvedimento per motivi di diritto neanche nel brevissimo termine perentorio di novanta giorni prima concessole, b) in secondo luogo eliminato ogni adempimento volto alla tutela del principio del contraddittorio nel senso che la adozione del decreto revocatorio può avvenire inaudita altera parte, e c) in terzo luogo sostituito alla formula "vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dallo stato di servizio" l'altra "vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti".
Tenuto anche conto di quanto considerato sulla questione di costituzionalità, i cui termini sono stati riassunti sub a), ne risulta - a giudizio della Corte - un sistema irrarionale e disarticolato nel senso che, mentre al privato viene riconosciuta la più ampia tutela (nell'esattissimo presupposto che egli é inserito in un rapporto di debito - credito, che il rapporto medesimo configura situazioni paritetiche tra l'interessato e la P. A. e che il diritto a pensione é un diritto soggettivo, il quale non discende da una potestà autoritativa), il Procuratore generale ricorrente e la P. A. in sede di esercizio dell'autotutela incontrano invece pesanti limitazioni e preclusioni nascenti dall'aspetto meramente cartolare del rapporto e regimi decadenziali collegati all'atto di pensione nella sua non più riconosciuta natura di provvedimento autoritativo, destinato come tale a consolidarsi entro termini brevissimi.
In conclusione, gli artt. 203, 204 e 205 del più volte richiamato testo unico sono stati dalla Corte dei Conti denunciati per i seguenti motivi e sotto i seguenti profili:
- in rapporto all'art. 3 della Costituzione perché le norme citate discriminano i soggetti titolari di pensioni (o di maggiori pensioni) illegittimamente concesse in base al tipo di errore in cui é incorsa l'Amministrazione; nell'ipotesi poi di due soggetti nei confronti dei quali l'autorità amministrativa sia ugualmente incorsa in errore di fatto, la conservazione del trattamento illegittimo, e quindi una possibile sperequazione, dipendono dall'inazione amministrativa nel rilevare, entro i termini prescritti, l'errore nei confronti dell'uno e non dell'altro; - consentono che, a parità di lavoro svolto, il soggetto nei confronti del quale l'amministrazione sia incorsa in errore di diritto fruisca di un trattamento di quiescenza diverso da quello riconosciuto ad altri ex dipendenti nelle stesse condizioni; - attuano una disciplina diversa rispetto a quella dell'assicurazione generale obbligatoria, prevedendo un ingiustificato regime privilegiato per i dipendenti dello Stato e dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato (art. 251 T. U. n. 1092) nonché per gli iscritti alle Casse pensioni amministrate dagli Istituti di previdenza:
- in rapporto all'art. 36 della Costituzione, in quanto il trattamento pensionistico o il miglior trattamento, errati al - l'an o nel quantum, non spettanti e tuttavia irrevocabili, alterano la proporzione tra pensione e "lavoro svolto", consentendo incrementi patrimoniali non legittimi o ingiustificate lesioni;
- in rapporto all'art. 76 della Costituzione, per violazione dei principi e criteri direttivi contenuti nell'art. 6 della legge 28 ottobre 1970, n. 775 (norma delegante);
- in rapporto al successivo art. 97, perché le esposte incongruenze, che hanno evidenziato possibili lesioni per il singolo o per la collettività, pregiudicano "il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione", corollari del principio dell'eguaglianza.
2.4. - Avanti la Corte si sono costituiti l'avv. Umberto Coronas nell'interesse di Lupoli Giulio, Ghilardi Antonino e Lucantoni Virgilio giusta delega in margine all'atto depositato il 27 luglio 1981 e l'avv. Giovanni Capanna nell'interesse di Grisolia Domenico giusta delega in margine all'atto depositato il 29 ottobre 1981.
La difesa del Lupoli ed altri ha dedotto che l'ordinanza di rimessione tenta di alterare i principi fissati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 8/1976, e che le sollevate questioni di costituzionalità appaiono in parte inammissibili ed in parte infondate I) perché la questione relativa al termine perentorio di novanta giorni per il ricorso principale del Procuratore generale ha riguardo a ricorsi tardivamente (e con difetto di attuale interesse) proposti dal Procuratore generale contro provvedimenti ministeriali attualmente inesistenti perché già revocati o annullati dai competenti Ministeri, II) perché tutte le questioni si basano sul presupposto, radicalmente erroneo e contrario alla Costituzione, che il massimo organo di controllo di rilevanza costituzionale, qual é la Corte dei Conti, non sia, di per se, in grado di svolgere i propri altissimi compiti di controllo in sede di registrazione dei provvedimenti pensionistici, senza il supporto ed il controllo, illimitato nei termini e nelle modalità, della Procura Generale, III) perché le questioni si basano su una inesatta e distorta interpretazione della normativa vigente in materia pensionistica, IV) perché le questioni medesime fanno inesattamente assurgere a motivi di pretesa generale irrazionalità, asseritamente rilevante sul piano costituzionale, quelli che sono singoli, semplici ed occasionali inconvenienti o apparenti discriminazioni, derivanti dalle immancabili imperfezioni o deviazioni od insufficienze di ogni procedimento amministrativo e giurisdizionale.
La stessa difesa, nella memoria depositata il 28 febbraio 1984, ha evidenziato i termini della controversia, ha insistito sulla irrilevanza delle questioni sollevate con riferimento alle discriminazioni, alle sproporzioni, alle lesioni prospettabili tra i vari soggetti titolari di pensioni, e solo tra essi, in relazione alle particolari situazioni conosciute o non conosciute, considerate o non considerate, dall'Amministrazione. e ha riassunto gli argomenti svolti nella memoria; per quel che concerne i ricorsi del Procuratore generale é tornata a sottolineare che sono in prima battuta improponibili per difetto di interesse attuale e in seconda battuta inammissibili per tardività.
Dal suo canto la difesa del Grisolia, premesso che la intervenuta revoca del decreto concessivo di pensione toglie oggetto al ricorso del Procuratore generale e rilevanza alla questione sollevata in questa sede circa la persistenza di un termine perentorio di novanta giorni per la proposizione di siffatta impugnativa, ha osservato che quest'ultima, nella specie, é stata proposta con ricorso depositato il 14 marzo 1980 e cioé a distanza di più ann; dalla conoscenza del provvedimento, che la Procura Generale aveva acquisito per avere partecipato all'udienza del 15 luglio 1977 (dedicata all'esame dell'istanza di sospensione proposta dalla parte privata) e poi ancora all'udienza dell'8 marzo 1978. Richiamando giurisprudenza della stessa Corte dei Conti (Sezioni Riunite, dec. n. 40/C del 17 dicembre 1977, ric. Calderan, cit.; deliberazione n. 1105 adottata dalla Sezione di Controllo nell'adunanza del 16 ottobre 1980), ha la stessa difesa censurato l'assunto dell'ordinanza di rimessione, secondo cui più non sussisterebbe il potere di revoca anche per motivi di diritto nel termine di novanta giorni (ai sensi dell'art. 8 del R.D. n. 703/1933), ed ha, di conseguenza, respinto le argomentazioni dell'ordinanza.
Quanto poi all'assunto che il sistema sarebbe "disarticolato" perché al privato é concessa la più ampia tutela in virtù del carattere paritetico del rapporto, mentre alla Procura Generale ed alla Pubblica Amministrazione vengono imposte limitazioni e preclusioni che riecheggiano l'antica struttura autoritativa del provvedimento pensionistico, ha osservato la difesa del Grisolia che, così ragionando, si annullano proprio quelle "diversità" che la Corte Costituzionale ha evidenziato fra le opposte posizioni e, in particolare, si perde di vista che lo stesso interesse pubblico, stante la natura patrimoniale del rapporto pensionistico, deve tendere alla più immediata certezza e definitività di quest'ultimo, anziché lasciarlo esposto a tardivi ripensamenti della parte pubblica. Né potrebbe trarsi argomento in favore di più ampie possibilità di iniziativa (sul piano dell'autotutela e del ricorso del pubblico ministero) dall'immediata efficacia - introdotta dall'art. 166 della legge n. 312/1980 - degli atti pensionistici, in quanto il riscontro, ancorché successivo, é pur sempre operante. I cosiddetti "effetti aberranti", che si verificherebbero in conseguenza del diverso trattamento degli errori di fatto e di diritto e che potrebbero risolversi nella intangibilità di posizioni illegittimamente acquisite, ad avviso della difesa del Grisolia, sarebbero meno temibili di quelli che discenderebbero da un potere di revoca esercitabile senza limiti di tempo, postoché é lo stesso interesse pubblico che, in relazione alla natura del rapporto, postula come valore preminente la certezza e la stabilità del rapporto medesimo.
Escluso anche l'eccesso di delega denunciato dal giudice a quo (vigendo tuttora l'art. 8 del R.D. 703/1933 ed essendo la susseguente normativa di detto decreto trasfusa negli artt. 203, 204 e 205 del testo unico 1092/1973), ha negato la difesa del Grisolia ogni pregio alla comparazione effettuata con la pensionistica previdenziale generale obbligatoria, in quanto ogni sistema pensionistico ha principi suoi propri. Impropriamente sarebbero poi invocati gli artt. 36 e 97 della Costituzione, quanto al primo perché la eventuale discrepanza fra lavoro svolto e retribuzione differita (derivante dalla intangibilità dell'atto oltre certi limiti temporali) costituisce, nel sistema mera accidentalità; e quanto al secondo perché la situazione non dipende da carenze o vizi della normativa esistente, ma esprime un più generale e non patologico fenomeno di prevalenza della certezza del diritto (prescrizioni, decadenze, usucapioni, ecc.).
In definitiva, non tanto si é sollevata una questione di costituzionalità quanto piuttosto si sono poste in discussione molteplici e collegate questioni (brevità del termine per il ricorso principale del Procuratore generale; fondamento giuridico e politico dell'esclusione, dalla vigente normativa pensionistica, dell'annullamento dell'atto affetto da vizi di legittimità amministrativa; ragioni e fondamento dell'esclusione dell'annullamento di ufficio ecc.), che involgono l'intero sistema pensionistico e semmai postulerebbero un complessivo intervento del legislatore.
3. - Alla udienza pubblica del 13 marzo 1984, nel corso della quale il giudice Andrioli ha svolto la relazione, gli avv.ti Capanna e Coronas hanno ampiamente illustrato argomentazioni svolte e conclusioni formulate negli scritti. La difesa erariale, intervenuta nel primo incidente nell'interesse del Presidente del Consiglio dei ministri, non si é presentata.
Considerato in diritto
4. - La circostanza che la questione di illegittimità della normativa disciplinatrice del termine di proposizione del ricorso principale del Procuratore generale costituisca ad un tempo l'unico obietto del primo incidente (n. 507 R.O. 1977; supra 1.1.) e uno degli obietti del secondo incidente (n. 524 R.O. 1981; supra 2.3.) non solo ne giustifica la trattazione unitaria ma priva di pratico contenuto l'eccezione d'inammissibilità, per difetto di attuale interesse, della questione così come sollevata nel secondo incidente perché, anche se la eccezione ne sbarrasse l'ingresso in seno a quest'ultimo, la Corte non potrebbe esimersi dal prendere in esame la questione quale oggetto della prima ordinanza, per essere estranee al tema dell'incidente in allora portato all'esame della Corte le considerazioni, svolte nella motivazione della sent. 8/1976 (n. 5), con la quale la Corte ebbe a sancire l'illegittimità costituzionale degli artt. 63 R.D. 1214/1934, 72 R.D. 1038/1933 e 60 R.D.L. 680/1938, nella parte in cui prescrivevano, per la proposizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla data di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato.
5. - La questione é peraltro infondata non tanto perché diverse sono le posizioni processuali dell'interessato e del Procuratore generale, il quale, pur erigendosi a tutore dell'interesse dell'Erario, opera nell'area del rapporto pensionistico (argomento la cui forza persuasiva é attenuata vuoi dal riconoscimento della titolarità di diritti soggettivi perfetti, non affievoliti dai provvedimenti della P.A., onninamente tributato agli aspiranti a trattamento pensionistico, vuoi dal canone della parità di armi proclamato anche in convenzioni internazionali), quanto perché il dies a quo, per identificarsi con la registrazione alla Corte dei Conti del provvedimento di concessione della pensione, riesce di agevole cognizione per il Procuratore generale e la durata del medesimo termine é tale da consentire la più approfondita meditazione prodromica alla proposizione del ricorso principale. Né va dimenticato in primo luogo che gli aspiranti alla giusta pensione sono da reputarsi meritevoli di favor e che, allorquando allo stadio della aspirazione alla pensione segue la concessione della medesima (concessione contro la quale si appunta il ricorso principale dal Procuratore generale interposto " quando sia leso l'interesse dell'Erario"), l'azione di chi, come il Procuratore generale, contesti la legittimità del provvedimento attributivo della pensione non può porsi sullo stesso piano di quella dell'istante che fa valere il suo diritto. Né a chiosa e chiusa dei motivi che impongono la reiezione del dubbio d'incostituzionalità comune ai due incidenti va sottaciuto che l'ampliatio alla quale la questione é stata assoggettata nella seconda ordinanza, in cui sono stati assunti a parametri gli artt. 24, 97 e 113, non giustificherebbe apposito verdetto perché il principio d'eguaglianza, in questo come in ogni altro incontro, é colorito dalle disposizioni costituzionali operanti nel settore in cui quel principio é invocato e la violazione del medesimo é lamentata.
6. - Nessuno dei parametri assunti a fondamento della questione d'incostituzionalità, collocata al primo posto nel dispositivo della ordinanza di rimessione posterior tempore e concernente le norme in materia di revoca (norme che la Corte dei Conti é chiamata ad applicare per verificare la legittimità del provvedimento impugnato) ne giustifica l'accoglimento: non l'art. 3 perché la violazione del principio di eguaglianza, se ed in quanto si verifichi in concreto, é da ascrivere non a vizio della normativa sibbene ad inerzia della P. A., non senza soggiungere che l'equiparazione tra il trattamento pensionistico de quo e l'assicurazione generale obbligatoria é smentita dalla diversità delle due discipline normative; non l'art. 36 perché la censura sospinge questa Corte su apprezzamenti di opportunità che non possono non essere riservati al legislatore; non l'art. 76 perché tuttora vige l'art. 8 R.D. 703/1933 e, comunque, la stessa legge di delega assegna al Governo delegato margini di discrezionalità tecnica, sull'uso della quale questa Corte non può interloquire; né, infine, l'art. 97 il quale, nell'economia della ordinanza di rimessione, altro non rappresenta che la riscrittura dell'impugnazione basala sull'art. 3.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i due incidenti (nn. 507/1977, 524/1981), 1) dichiara non fondata la questione di legittimità degli artt. 63, commi primo e terzo R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 (t. u. delle leggi sulla Corte dei Conti) 72 e 76 comma secondo R.D. 13 agosto 1933 n. 1038 (Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti), sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui consentono che permanga il termine di decadenza per il solo ricorso principale del Procuratore generale, 2) dichiara non fondata la questione di legittimità degli artt. 203, 204 e 205 D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (t. u. delle norme sul trattamento di quiesicenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) e 26 l. 3 maggio 1967 n. 315 (Miglioramenti al trattamento di quiescenza della Cassa per le pensioni ai militari e modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) in riferimento agli artt. 3, 36, 76 e 97 Cost..
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 5 aprile 1984.