ORDINANZA N.587
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma dodicesimo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), nonché dell'art. 23 di quest'ultima legge, promosso con ordinanza emessa l'11 aprile 1989 dalla Corte d'appello di Trento nel procedimento civile vertente tra Odorizzi Giovanni e Da Roit Mara in Odorizzi, iscritta al n. 292 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di separazione personale fra coniugi, la Corte d'appello di Trento, con ordinanza in data 11 aprile 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 101, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma dodicesimo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio)-a tenore del quale l'appello avverso le sentenze pronunciate nei giudizi per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio <e deciso in camera di consiglio> - nonché dell'art. 23 di quest'ultima legge, che estende la suindicata disciplina alle sentenze pronunciate nei giudizi di separazione personale tra coniugi;
che, ad avviso del giudice a quo, le norme impugnate, prevedendo il rito camerale per il solo giudizio di appello in una materia in cui lo stesso legislatore ha ritenuto necessaria per il primo grado e per il giudizio di Cassazione sempre la forma contenziosa ordinaria, esulerebbero dai limiti della ragionevolezza e da quelle circostanze eccezionali che sole consentirebbero di rinunciare al criterio della pubblicità dell'udienza collegiale (art. 101, primo comma, della Costituzione);
che, inoltre, la scarna normativa dettata per il rito camerale parrebbe insufficiente a regolare un processo altamente conflittuale <quale quello in cui si accertano addebitabilità di separazione personale>, e non consentirebbe <il normale esercizio di facoltà di prova>, così violando gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione;
che anzi la prima delle norme denunciate neppure stabilisce le norme procedurali applicabili nei giudizi di appello, così da risultare illegittima per genericità; che non si é costituita alcuna parte privata;
che é invece intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, osservando che il giudice remittente ha omesso la scelta interpretativa in ordine alle norme procedurali applicabili al giudizio di appello in materia di rapporti personali tra coniugi e che pertanto, sotto tale profilo, la questione e inammissibile;
che comunque, sempre ad avviso dell'interveniente, il tenore letterale della prima delle norme denunciate consentirebbe di escludere che l'impugnazione si risolva nel reclamo di cui all'art. 739 del codice di procedura civile, sicché inconferenti apparirebbero le censure inerenti alla pretesa sommarietà del giudizio;
che, viceversa, dovrebbe ritenersi che la <camera di consiglio> sia prevista per la sola fase decisoria e valga soltanto ad escludere-salva specifica autorizzazione del giudice - lo scambio di comparse conclusionali e/o la discussione orale, per evidenti esigenze di rapidità e di riservatezza, discrezionalmente apprezzate dal legislatore, senza alcuna incidenza sul diritto di difesa delle parti.
Considerato che l’eccezione di inammissibilità, dedotta dall'interveniente, va disattesa tenuto conto di quanto affermato nell'ordinanza di rimessione, che non ritiene applicabili all'intera fase di appello le norme procedurali tipiche del processo contenzioso, affermandosi dal giudice a quo che diversamente <non si vedrebbe quale utilità pratica possa avere indotto il legislatore ad introdurre il (rito) camerale rispetto alla (sola) fase finale del processo>, e che, in tal modo, lo stesso giudice ha correttamente operato la scelta interpretativa delle norme denunciate;
che, nel merito, anche se il rito camerale deve intendersi esteso a tutta la fase del giudizio di appello, la Corte ha già dichiarato, nella sentenza n. 543 del 1989, non fondata la medesima questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli stessi parametri ora invocati, perché la prescrizione del rito camerale in appello assicura le necessarie garanzie processuali, come precisato in detta sentenza;
che non risultano in questa sede formulati profili nuovi che possano indurre a diverso avviso, anche per quel che concerne la pubblicità delle udienze, in quanto questa Corte, dovendone valutare di volta in volta l'esigenza con riferimento alla natura del processo preso in considerazione (sent. n. 212 del 1986), l'ha ritenuta non indispensabile a quello ora in esame, tenuto conto del grado di giudizio e del tipo di controversia trattata; che, pertanto, la questione e manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953 n. 87 e 9, comma secondo, delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma dodicesimo, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nonché dell'art. 23 di quest'ultima legge, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e 101, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trento, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 29/12/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE