SENTENZA N.498
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giovanni CONSO, Presidente
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 128, comma primo, e 323, comma primo, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 novembre 1988 dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di Guillari Raffaele, iscritta al n. 255 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.
Considerato in diritto
1. -Secondo il giudice a quo, il combinato disposto degli artt. 128 e 323 del codice di procedura penale 1930 sarebbe incompatibile con l'inviolabilità del diritto di difesa, così come affermata nell'art. 24 della Costituzione. Resterebbe, infatti, senza tutela un aspetto essenziale della difesa, in quanto non e previsto che il giudice possa integrarla, nominando ex officio anche un consulente tecnico di parte, quando se ne ravvisi l'esigenza e l'imputato non vi abbia tuttavia provveduto.
Alla base della questione viene invocata anche la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il consulente tecnico appartiene all'Ufficio della difesa, com'e dimostrato anche dalle norme che lo equiparano al difensore nei diritti e nei doveri (artt. 341, 351 n. 2, codice procedura penale 1930 e 380 e 381 codice penale).
2. - La questione poteva essere più correttamente sollevata prima della decisione. Tuttavia, trattandosi di decisione assunta nel corso dell'istruttoria mediante ordinanza sempre revocabile, e poiché, d'altra parte, il difensore può sempre reiterare l'istanza che allo stato non ha trovato accoglimento, la questione, sotto questo riflesso, può essere ammessa.
Sarebbe stato altresì preferibile che l'ordinanza avesse accennato alle ragioni che hanno indotto il difensore a sollecitare dal Giudice istruttore la nomina del consulente tecnico, visto che tanto il codice del 1930 quanto il nuovo ne attribuiscono facoltà alla parte. Sarebbe stato utile, in altri termini, conoscere se l'istanza sia stata avanzata nell'impossibilità del difensore di avere con l'imputato qualsiasi contatto, oppure se questi abbia opposto un rifiuto al suggerimento del difensore.
Nel primo caso, infatti, l'intervento ex officio sarebbe stato richiesto perché il difensore avrebbe evidentemente ritenuto di non avere i poteri di procedere alla nomina nell'impossibilità di conoscere gl'intendimenti della parte; e ciò, evidentemente, per una troppo letterale interpretazione dell'art. 323 del codice di procedura penale 1930, che sembra costituire la facoltà esclusivamente in capo alla <parte>, sia pure a mezzo del difensore.
Anche se non può escludersi che al fondo di tale comportamento s'annidi la preoccupazione per la responsabilità delle conseguenze economiche conseguenti alla nomina del consulente: nomina che, nel rapporto interno, si traduce in un vero e proprio incarico professionale di prestazione intellettuale.
Nel secondo caso, invece, il difensore, valutata positivamente la necessita di integrare la difesa con l'ausilio di un consulente tecnico, si rivolgerebbe al giudice per sostituire la volontà dell'ufficio a quella riluttante della parte.
L'ordinanza tace su tutto; probabilmente confidando che la questione, così come proposta, in analogia alla situazione concernente la nomina del difensore d'ufficio, possieda valenza tale da coprire ogni ipotesi. In realtà, invece, la questione é infondata sotto ambo i possibili profili.
3.-Quanto alla prima ipotesi, va rilevato che al difensore d'ufficio competono pienamente tutti i poteri che la legge processuale riconosce alla difesa. Ed é poi pacifico per dottrina, e per prassi ultracinquantennale, che l'espressione <la parte privata ... può, a mezzo del suo difensore, nominare un consulente tecnico>, di cui all'art. 323, primo comma, codice di procedura penale 1930, sta a significare che é il difensore ad effettuare la nomina, valutato l'interesse della parte.
Ovviamente, tenuto anche conto che la parte é esposta al relativo onere finanziario, questa può sempre espressamente revocare la nomina; ed, a tal fine, il difensore deve darne informativa all'imputato nell'indirizzo conosciuto. Dopodiché, prende vigore il principio secondo cui vigilantibus jura succurunt.
Certo, rimane il problema delle spese. Ma, se l'imputato non e abbiente, provvede il giudice penale, o lo stesso pubblico ministero, ad ammetterlo, ricorrendone gli estremi, al gratuito patrocinio, a sensi dell'art. 3 del regio decreto 28 maggio 1931 n. 602 (Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale).
Se, invece, é abbiente, il difensore può recuperare spese ed onorari del consulente, esponendoli in parcella, ed eventualmente nel ricorso per decreto ingiuntivo, quali spese da lui anticipate.
Se, poi, infine, si facesse questione di anticipazione di spese ed onorari, allora é problema che spetta risolvere al legislatore.
Si tratterebbe, infatti, di predisporre l'articolazione di una disciplina per un'eventuale prenotazione a debito mediante iscrizione a campione penale, o di dare altra soluzione che non rientra nei poteri di questa Corte.
Ma é questo un profilo che non e stato sollevato.
4. - Più delicata può sembrare, invece, la seconda ipotesi per la quale, considerata la qualità del consulente tecnico di integratore della difesa, si ritiene che l'ufficio, ricorrendone le condizioni, debba provvedere a nominarlo anche contro la riluttante volontà della parte.
Se il principio fosse vero, si dovrebbe, anzi, ritenere che la nomina possa avvenire ex officio anche contro la stessa volontà del difensore, dato che sempre di nominare un difensore tecnico si tratterebbe, così come, del resto, si propone che essa avvenga malgrado la volontà dell'autodifesa.
Ma anche questa ipotesi non ha fondamento.
Non devono far velo i principi che si riferiscono alla nomina del difensore d'ufficio, che non possono trovare applicazione nella nomina del consulente tecnico di parte. Pur avendo questi, infatti, a sua volta, veste di difensore, in quanto integra la difesa tecnica mediante l'apporto delle sue conoscenze scientifiche in discipline diverse da quelle giuridiche, tuttavia la tutela di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione si esplica, nei suoi confronti, nel senso di rendere illegittimo qualunque ostacolo venga frapposto alla sua introduzione nel processo, ma non fino al punto di prescindere o addirittura di superare la volontà della parte.
E ciò perché diversa é la ratio che presiede all'imprescindibile esigenza del difensore principale nel processo. Questa é esigenza assoluta ed inderogabile perché introduce un protagonista senza il quale, specie e tanto più nel nuovo processo, esso non può, da un certo momento in poi, nemmeno proseguire. In realtà, l'imposizione all'imputato di un difensore, persino suo malgrado, mira ad assicurargli quelle cognizioni tecnicogiuridiche, quell'esperienza processuale e quella distaccata serenità, che gli consentono di valutare adeguatamente le situazioni di causa, in guisa da tutelare la sua più ampia libertà di determinazione nella scelta delle iniziative e dei comportamenti processuali.
In altri termini, il difensore é garante dell'autonomia e dell'indipendenza dell'imputato nella condotta di causa ed e consigliere della sua autodifesa, tanto che la trasgressione di qualunque norma concernente questa ratio e configurata dall'art. 185 n. 3 codice procedura penale 1930 come nullità assoluta.
Ma proprio perché imposizione del difensore e nullità insanabili non hanno altro intento se non quello illustrato, una volta instaurata la detta garanzia non é ammissibile alcuna altra intromissione dell'ufficio pubblico, nemmeno se il fine fosse quello di avvantaggiare l'imputato.
Da quel momento ogni scelta ulteriore, ogni possibile valutazione in ordine alle iniziative e ai comportamenti non possono che competere alla difesa nell'ambito della disciplina dettata dalla legge: intendendo per difesa quella costituita dal binomio difesa tecnica-autodifesa, nella quale alla fine e sempre la volontà della parte a prevalere su quella del difensore, con la sola esclusione dell’imprescindibile presenza di un difensore che l'assista. E, del resto, la consulenza tecnica serve appunto per consentire una più adeguata valutazione di un mezzo di prova, qual e la perizia.
Pretendere che il giudice o, peggio, il pubblico ministero, che é controparte, s'intromettano - sia pure a richiesta - nelle discrezionali valutazioni difensive per nominare d'ufficio all'imputato che non lo voglia un consulente tecnico, significherebbe trasgredire la regola di autodifesa che riconosce alla parte <la facoltà> di quella nomina, e quindi, in definitiva, violare il libero esercizio di quella difesa che l'art. 24 della Costituzione tutela. Come si é visto, infatti, l'unica imposizione all'imputato e quella del difensore, ma é mirata proprio a liberarlo da ogni soggezione, consentendogli di assumere liberamente le sue determinazioni con perfetta consapevolezza.
Per il resto, il comportamento processuale dell'imputato non é mai doveroso né obbligatorio, se non nei limiti del rispetto, da lui dovuto come da tutti, alle regole di polizia del processo.
Ciò che conta, agli effetti dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, e che all'imputato sia assicurata la <facoltà> di espletare liberamente i diritti di difesa che la legge gli riconosce: se lo si obbligasse ad esercitarli, l'art. 24 verrebbe violato per altro verso.
Affidare al giudice o al pubblico ministero la possibilità di assegnare d'ufficio all'imputato nolente un consulente tecnico, significa trasformare una <facoltà> della parte in un potere discrezionale del magistrato.
Al contrario, una volta che sia stata realizzata, di fiducia o d'ufficio, la difesa principale, spetta soltanto all'imputato stesso decidere sulla nomina di un consulente ad integrazione, così come sicuramente a lui soltanto spetta di nominare, se crede, un secondo difensore principale.
La giurisprudenza di questa Corte, e particolarmente quella espressamente richiamata dall'ordinanza, é sempre stata perfettamente coerente su questa linea. Riconoscendo, infatti, che il beneficio del gratuito patrocinio doveva estendersi all'assistenza del consulente tecnico di parte anche nel processo civile, la Corte ha chiaramente parlato di <facoltà> delle parti di darsi tale assistenza (sentenza 2 giugno 1983, n. 149): e così pure quando al giudice rimettente si è suggerito d'interpretare le norme concernenti la nomina eventuale di più periti rispettando la più ampia possibile tutela della <facoltà> che in materia la legge riconosce all'imputato (sentenza 15 ottobre 1987, n. 345).
Come si era premesso, appare dunque evidente che la questione, così come proposta, non e fondata, sotto ogni suo ipotizzabile profilo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 128, primo comma, e 323, primo comma, codice di procedura penale 1930, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, sollevata dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli con ordinanza 16 novembre 1988.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/10/89.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 10/11/89.
Giovanni CONSO, PRESIDENTE
Ettore GALLO, REDATTORE