ORDINANZA N.353
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9 del regio decreto legge 20 luglio 1934, n. 1404 (Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni), promosso con ordinanza emessa il 2 giugno 1988 dal Pretore di Ispica nel procedimento penale a carico di Matarazzo Pietro, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1989.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.
Ritenuto che il Pretore di Ispica, con ordinanza 2 giugno 1988 (pervenuta alla Corte il 25 gennaio 1989), sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 del regio decreto legge 20 luglio 1934, n. 1404 (Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni), in riferimento agli art.li 3, 24 e 25 della Costituzione, in quanto non prevede la possibilità di applicare la norma di cui all'art. 81, secondo comma, codice penale nell'ipotesi di reati commessi prima e dopo il compimento della maggiore età;
che, nella specie, si trattava di due reati di furto semplice commessi dalla stessa persona, l'uno nella notte fra il 10 e 11 giugno 1986 e l'altro nella notte fra il 2 ed il 3 settembre dello stesso anno, e sempre nel territorio di Ispica;
che l'imputato, tra l'uno e l'altro episodio, aveva raggiunto la maggiore età, sicché gli atti relativi al primo furto furono trasmessi per competenza al Tribunale minorile di Catania;
che, a seguito di ciò, il Pretore, ritenuto che i due reati commessi sono uniti dal vincolo della continuazione, osserva che egli, a causa della competenza del giudice minorile per uno dei reati, si trova nell'impossibilità di applicare il disposto di cui all'art. 81, secondo comma, codice penale, anche perché afferma che, nonostante il tempo trascorso, per nessuno dei due reati si é formato il giudicato;
che, peraltro, secondo il Pretore, non trattandosi di ipotesi di pregiudizialità, non sarebbe applicabile la norma di cui all'art. 18 del codice di procedura penale, giacche egli non condivide il più recente indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione che ne ammette, invece, l'applicabilità anche per l'ipotesi di semplice e generica dipendenza fra i due processi;
che, d'altra parte, il Pretore nemmeno ritiene di potersi avvalere del disposto di cui all'art. 432, primo comma, codice di procedura penale, <stante la decorrenza dei termini prescrizionali>, ed esclude che la continuazione possa essere ritenuta in sede di legittimità in ordine all'eventuale giudicato che fosse frattanto intervenuto su di uno dei processi, in quanto la Corte di cassazione dovrebbe estendere la particolare giurisdizione di merito, prevista nell'art. 538, ultimo comma, codice di procedura penale, a fatti accertati in sentenza diversa da quella impugnata;
che, infine, nemmeno e possibile aderire - come pure ha indicato la Corte di cassazione - al riconoscimento, in tal caso, della competenza del giudice non specializzato su ambo i reati perché, successivamente a quell'indicazione, questa Corte, con sentenza 15 luglio 1983, n. 222, ha giudicato essere funzionale la competenza del giudice minorile, e perciò inderogabile;
che, per tutto ciò, vengono a risultare violati i parametri indicati, quanto all'art. 3 della Costituzione, perché colui che viene a trovarsi nella situazione denunziata riceve ingiustificato trattamento deteriore rispetto a colui che ha commesso ambo i reati nell'una o nell'altra età o che, comunque, ha la fortuna di vedere passare in giudicato una delle due condanne prima che si esaurisca la fase di merito; e quanto ai parametri di cui agli artt. 24 e 25 della Costituzione, perché l'imputato non può esercitare un integrale diritto di difesa, e viene per giunta sottratto al giudice naturale, il solo competente a decidere sull'applicabilità della continuazione;
che nel giudizio si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità della sollevata questione, perché il giudice a quo, a fronte delle ipotizzabili più soluzioni, non avrebbe indicato quella che ritiene costituzionalmente obbligata, secondo il costante indirizzo di questa Corte, e comunque perché allo stato la questione sarebbe irrilevante;
che, peraltro, la questione sarebbe ad ogni modo infondata perché, quand'anche fosse vero che la Corte di cassazione non possa estendere la sua eccezionale valutazione di merito sulla sentenza passata in giudicato, ben può rinviare, pero, al giudice di merito affinché decida sull'applicabilità della continuazione.
Considerato che non può dirsi, in verità, che il giudice di merito non abbia indicato la soluzione che ritiene costituzionalmente obbligata, giacche egli ha invece richiesto la declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 9 della legge sul Tribunale dei minorenni (regio decreto legge n. 1404 del 1934) ritenendo contrario ai parametri dedotti che quella disposizione non preveda la competenza unica del giudice minorile, anche per i reati commessi dall'imputato in età maggiore, quando debba farsi luogo all'applicazione del disposto di cui all'art. 81, secondo comma, codice penale, anche in relazione a reati commessi durante l'età minore;
che, peraltro, a parte il dubbio che una siffatta disposizione dovesse essere necessariamente ricompresa nella norma impugnata, ben potendo il legislatore provvedere più opportunamente in separata sede come espressa ipotesi di competenza per connessione, la questione appare piuttosto viziata per irrilevanza;
che, infatti, il Pretore, ricevuto il rapporto della polizia giudiziaria nel settembre 1986, e dopo avere atteso ben due anni prima di prendere in esame la situazione e sollevare la questione, ed ulteriori otto mesi circa prima di farla pervenire a questa Corte dopo la pronunzia dell'ordinanza, osserva poi che non può avvalersi del disposto di cui all'art. 432 codice procedura penale <stante la decorrenza dei termini prescrizionali>;
che, invece, a sensi del combinato disposto degli artt. 157 n. 4 e 160, secondo comma, codice penale, la prescrizione per il delitto di furto semplice - ove sia intervenuto, come nella specie, un qualsiasi atto interruttivo (mandato di comparizione, decreto di citazione a giudizio etc...)-si compie in anni 7 e mesi sei, in guisa che il reato sottoposto all'esame del Pretore va ad estinguersi soltanto nel marzo del 1994, per cui e secondo l'id quod plerumque accidit che frattanto possa aversi sentenza del Tribunale minorile passata in giudicato (ne la legge vieta che fra i due giudici competenti possa esservi un'intesa in proposito), -che, d'altra parte, nemmeno e vero che la difesa non possa essere correttamente e integralmente espletata, perché, anzi, proprio da un diligente e piuttosto ovvio suo espletamento dipende la possibilità di far pervenire ambo i procedimenti in sede di legittimità, in modo che la Corte di cassazione possa valutare senza problemi la situazione di ambo i reati e decidere se ricorra l'ipotesi di cui all'art. 81, secondo comma, codice penale;
che, perciò, allo stato, non essendo in alcun modo pregiudicati i diritti dell'imputato ad ottenere nel corso del giudizio il riconoscimento della continuazione fra i due reati, non sussiste nemmeno l'assoluta necessita di dichiarare l'illegittimità della norma denunziata, indipendentemente per ora dal problema della sua esatta indicazione e da quello dei poteri della Corte in relazione ai poteri discrezionali del legislatore.
visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 del regio decreto legge 20 luglio 1934, n. 1404 (Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni), in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Ispica con ordinanza 2 giugno 1988.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/06/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 22/06/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Ettore GALLO, REDATTORE