SENTENZA N.255
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, primo comma, e 16, quarto comma, della legge 2 aprile 1968, n. 482 (Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le amministrazioni pubbliche e le aziende private), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 5 aprile 1988 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Bianchetti Rosanna e Silectron S.p.a., iscritta al n. 654 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1988;
2) ordinanza emessa il 17 giugno 1988 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Vitagliano Carla e il Consorzio Cooperative Costruzioni, iscritta al n. 731 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1988.
Visto l'atto di costituzione di Bianchetti Rosanna nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1989 il Giudice relatore Francesco Greco;
uditi l'avv. Sergio Vacirca per Bianchetti Rosanna e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.-I due giudizi possono essere riuniti e decisi con un unico provvedimento in quanto prospettano la stessa questione.
Il Pretore di Bologna, con le due ordinanze di rimessione, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, primo comma, e dell'art. 16, quarto comma, della legge 2 aprile 1968, n. 482, nell’interpretazione della Corte di cassazione secondo cui il rapporto di lavoro con gli invalidi civili e categorie assimilate, avviati obbligatoriamente al lavoro, non si costituisce ex lege ma con un normale contratto nel quale può essere previsto il patto di prova ex art. 2096 del codice civile ed il conseguente libero recesso da parte del datore di lavoro.
A parere del giudice remittente, sarebbero violati: a) l'art. 2 della Costituzione in quanto non sarebbero resi effettivi i diritti individuali e sociali del lavoratore e sarebbero creati ostacoli al principio di solidarietà; b) l'art. 3, secondo comma, della Costituzione in quanto si creerebbe una situazione di ingiusta discriminazione nei confronti dei cittadini più deboli perché di ridotta capacita lavorativa; c) l'art. 4 della Costituzione in quanto alla detta categoria di lavoratori non sarebbe garantito il diritto al lavoro come per le altre.
2. - La questione non é fondata.
Si osserva anzitutto che l'interpretazione della norma, anche da parte della Corte di cassazione, e ormai costante ed univoca. E proprio questa interpretazione ha dato causa all'incidente di illegittimità costituzionale.
Si rileva, quindi, che, per gli invalidi civili e assimilati, il rapporto di lavoro ha il suo titolo costitutivo non già nell'atto di avviamento al lavoro dell'autorità amministrativa ma nell'atto negoziale in cui si concreta l'assunzione la quale, pur essendo vincolata all'esterno per il profilo del previsto obbligo a contrarre, e compiuta nell'ambito dell'autonomia privata mediante un atto di volontà delle parti, cioè mediante un contratto. La sua stipulazione e resa necessaria anche dal fatto che la richiesta all'autorità amministrativa e numerica e non contiene alcuna specificazione, onde tutte le modalità relative allo svolgimento del rapporto (orario, mansioni, qualifica etc.) devono essere stabilite successivamente con un atto bilaterale.
La stessa legge non contiene alcuna prescrizione particolare e specifica in ordine al contenuto del rapporto.
Occorre, peraltro, salvaguardare l'autonomia delle parti e l'iniziativa dell'imprenditore, sia pure nei limiti fissati dall'art. 41 della Costituzione.
Questa Corte ha già esaminato (ordinanza n. 872 del 1988) la questione della legittimità costituzionale delle stesse norme come interpretate dalla Corte di cassazione ed ora di nuovo denunciate, e ne ha dichiarato la manifesta infondatezza.
3. -Non sussiste alcun impedimento che vieta la previsione o per contratto collettivo o per patto intervenuto tra le parti, da includersi nel contratto, del patto di prova, da stipularsi per atto scritto, ex art. 2096 del codice civile.
Il lavoratore può rifiutarsi di sottoporsi alla prova adducendo un giusto o giustificato motivo. Il rifiuto é soggetto al sindacato del giudice. Se esso risulta ingiustificato, il datore di lavoro e liberato dall'obbligo della stipulazione; in caso contrario (sussistenza del giusto o giustificato motivo) il datore di lavoro deve egualmente stipulare il contratto di lavoro.
Inoltre, l'esperimento deve riguardare mansioni compatibili con lo stato di invalidità o di minorazione fisica del lavoratore e l'esito della prova non deve essere assolutamente influenzato da considerazioni di minor rendimento dovute all’infermità o alle minorazioni. Infine, il recesso del datore di lavoro deve avere un’adeguata motivazione.
In caso di controversia, la corretta conduzione e il corretto espletamento della prova e soggetta al sindacato del giudice al quale potrà rivolgersi il lavoratore che ritiene leso il proprio diritto.
4.-In tale situazione non sussiste la violazione degli invocati precetti costituzionali.
Risulta, invero, sufficientemente garantito l'adempimento, da parte del datore di lavoro, del dovere di solidarietà che egli ha e, conseguentemente, il diritto individuale e sociale del lavoratore invalido, senza che vi sia alcuna discriminazione a suo danno. E' garantito il suo diritto al lavoro come per tutti gli altri lavoratori nella giusta considerazione dello stato di invalidità e di minorazione fisica, sicché gli scopi altamente sociali delle norme di previsione non restano frustrati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, primo comma, e 16, quarto comma, della legge 2 aprile 1968, n. 482 (Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le amministrazioni pubbliche e le aziende private), in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, e 4 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Bologna con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/05/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 18/05/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Francesco GRECO, REDATTORE