SENTENZA N.21
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale riapprovata il 27 luglio 1988 dal Consiglio regionale del Lazio avente per oggetto: <Modifica ed integrazione alla legge regionale 29 maggio 1973, n. 20, concernente: ordinamento degli uffici, stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione Lazio>, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 19 agosto 1988, depositato in cancelleria il 26 agosto 1988 ed iscritto al n. 27 del registro ricorsi 1988.
Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio;
udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1988 il Giudice relatore Mauro Ferri;
uditi l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il ricorrente, e l'avv. Achille Chiappetti per la Regione.
Considerato in diritto
1. - Il presente giudizio di costituzionalità, promosso con il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri di cui in epigrafe, ha per oggetto la legge della Regione Lazio intitolata <<Modifica e integrazione alla legge regionale 29 maggio 1973, n. 20, concernente: ordinamento degli uffici, stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione Lazio>, approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 2 dicembre 1987 e riapprovata, a seguito del rinvio governativo, il 27 luglio 1988.
Ad avviso del ricorrente, la legge violerebbe innanzitutto i principi di buona amministrazione e di certezza del diritto (art. 97 Cost.), in quanto dispone un nuovo inquadramento, dopo oltre un decennio, del personale proveniente dalle amministrazioni dello Stato, presso le quali si trovava in posizioni di carriera atipiche, abbandonando il criterio, originariamente previsto, della valutazione <<caso per caso> delle mansioni concretamente assolte nelle amministrazioni di provenienza, e sostituendolo con la regola della assegnazione automatica alla carriera immediatamente superiore a quella in precedenza raggiunta; in tal modo si verrebbe a provocare un sovvertimento di posizioni di ruolo consolidatesi nel tempo, con delusione delle aspettative di quanti avevano ormai, dato il lungo periodo trascorso, fatto ragionevole affidamento sulla loro stabilita. In secondo luogo, sarebbero violati, per gli stessi motivi, i principi fondamentali della omogeneizzazione delle posizioni giuridiche e della perequazione, indicati nell'art. 4 della legge-quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983.
2.-La Regione Lazio sollevato eccezione di inammissibilità della questione, motivata, come ha precisato il difensore all'udienza pubblica, sulla pretesa difformità tra i motivi del rinvio governativo e quelli del successivo ricorso: in parti colare, l'atto di rinvio sarebbe stato formulato in termini cosi generici da non evidenziare in alcun modo i vizi poi svelati e denunziati nel ricorso.
L'eccezione va rigettata.
Deve, infatti, ritenersi che nella fattispecie i motivi contenuti nell'atto di rinvio siano stati formulati in modo tale da consentire alla Regione di individuare l'essenza delle censure prospettate dal Governo, poi trattate più specificamente nel ricorso; che sia salvo, quindi, il principio della corrispondenza sostanziale tra motivi del rinvio e motivi del ricorso, cosi come delineato dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, cfr. sentt. nn. 525 del 1987 e 726 del 1988). Ciò vale non soltanto per il primo rilievo, il cui significato, poi sviluppato nel ricorso, era senza dubbio già sufficientemente espresso nel suo nucleo essenziale nell'atto di rinvio, ma anche per la seconda censura, in quanto il sia pur generico riferimento ai <principi sanciti in materia da legge quadro pubblico impiego> poneva la Regione in grado di rendersi ragionevolmente conto del fatto che, versandosi in tema di inquadramento di personale, i principi invocati dal Governo andassero individuati essenzialmente in quelli di cui all'art. 4 della legge n. 93 del 1983.
3. - Nel merito la questione è fondata.
Va premesso che questa Corte ha costantemente affermato, (anche con specifico riferimento alla materia dell'inquadramento o del reinquadramento di pubblici dipendenti), che la violazione del principio del buon andamento dell'amministrazione <<non può essere invocata se non quando si assuma l'arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina impugnata>; il richiamo all'art. 97 Cost . implica quindi lo svolgimento di un giudizio di ragionevolezza della legge censurata (cfr. sentt. nn. 10 del 1980, 277 del 1983, 217 del 1987, 331 e 1130 del 1988).
Ciò posto, con più specifico riguardo al caso di specie, va sottolineata l'esigenza, (come questa Corte ha già avuto modo di rilevare: v. le citate sentenze nn. 217/87 e 331/88), che il reinquadramento, o il passaggio, di personale a livelli superiori si fondi su una valutazione congrua e razionale dell'attività pregressa del dipendente, diretta a far ragionevolmente ritenere che egli sia in possesso dei requisiti necessari per il detto reinquadramento: potrebbe, cioè, essere considerato frutto di una scelta arbitraria o irragionevole un passaggio generalizzato e meramente automatico ad una carriera superiore, non subordinato ad alcun esame delle mansioni concretamente svolte in precedenza dal dipendente.
Nella fattispecie, la legge impugnata prescinde completamente da valutazioni di tal genere, dato che l'inquadramento nella carriera immediatamente superiore a quella di appartenenza al momento del trasferimento avviene su semplice presentazione della domanda da parte degli interessati. D'altra parte, che fosse logicamente necessaria la singola valutazione delle funzioni svolte in precedenza dai dipendenti in questione risulta chiaramente dal fatto che, trattandosi di carriere o qualifiche atipiche, non era dato rinvenire la collocazione corrispondente nei ruoli della Regione. In forza di ciò originariamente era appunto previsto un tale esame <caso per caso>, ed il fatto che la norma non sia stata applicata, o lo sia stata solo parzialmente, non può certo giustificare la soppressione di tale criterio.
A tutto ciò va aggiunto che a determinare la lesione, da parte della normativa censurata, del principio del buon andamento dei pubblici uffici contribuisce anche la circostanza che il mutamento del criterio di inquadramento dovrebbe avvenire dopo quasi quindici anni dalla fase di primo impianto del personale regionale; tale intervallo temporale indubbiamente aggrava il già formulato giudizio di irragionevolezza della legge impugnata.
Accertata la violazione dell'art. 97 Cost., risulta superfluo passare all'esame del secondo profilo di censura prospettato dal ricorrente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio intitolata <Modifica ed integrazione alla legge regionale 29 maggio 1973, n. 20, concernente: ordinamento degli uffici, stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione Lazio>, riapprovata dal Consiglio regionale il 27 luglio 1988.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/01/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Ugo SPAGNOLI
Depositata in cancelleria il 24/01/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Mauro FERRI, REDATTORE