Ordinanza n. 1083 del 1988

ORDINANZA N.1083

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco SAJA,

Giudici

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi primo e secondo, della legge 6 agosto 1984, n. 425 (); 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (); 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (), in relazione agli artt. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080 (), 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308 (), e 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (), promossi con undici ordinanze emesse il 16 ottobre 1987 dal Consiglio di Stato, iscritte rispettivamente ai nn. 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264, 265 e 266 del registro ordinanze 1988 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima Serie speciale, dell'anno 1988.

Visti gli atti di costituzione di Messina Salvatore, di De Francisco Ruggero ed altri e di Della Valle Pauciullo Giuseppina, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1988 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto che con undici identiche ordinanze, tutte emesse il 16 ottobre 1987, il Consiglio di Stato, prendendo le mosse dalla sentenza di questa Corte n. 123 del 7 aprile 1987, ha sollevato le seguenti questioni di legittimità costituzionale: A) dell'art. 1, commi primo e secondo, della legge 6 agosto 1984, n. 425 in relazione agli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione; B) dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, come interpretato dalla legge 6 agosto 1984, n. 425, nonché dell'art. 1, primo comma, della legge citata da ultimo, in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione; C) dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (con riferimento all'art. 5, ultimo comma, d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080; all'art. 2, lett. d), legge 16 dicembre 1961, n. 1308; all'art. 10, ultimo comma, legge 20 dicembre 1961, n. 1345) in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione;

che, premessa un'accurata disamina delle vicende legislative e giurisprudenziali concernenti l'estensione degli aumenti periodici di stipendio già attribuiti ai soli magistrati della Corte dei conti a tutte le categorie equiparate, nonché il riconoscimento a queste ultime della speciale indennità prevista per i soli magistrati ordinari dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, il giudice a quo prende atto della soluzione data per il futuro al problema attraverso la legge n. 425 del 1984 e del conseguente ridursi della materia del contendere;

che, tuttavia, il Consiglio di Stato rileva come contrasti con gli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione l'intervento interpretativo di cui alla norma impugnata sub a), in quanto espressione di una volontà tesa a svalutare la funzione giurisdizionale e produttiva, in un ben circoscritto ambito, di effetti retroattivi (contrastanti con la ratio della legge citata da ultimo, ispirata al principio dell'identità di trattamento tra tutti i magistrati);

che, infine, quanto all'aspetto sostanziale della disciplina risultante dalla censurata normativa il giudice rimettente osserva che essa appare finalizzata a smentire l'orientamento espresso dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato medesimo e si sofferma quindi: 1) sull'illogicità della limitazione ai soli magistrati ordinari della speciale indennità sopra citata (successivamente estesa alle altre categorie dal 1° gennaio 1983); 2) sull'irrazionalità di un più favorevole meccanismo di calcolo degli per i magistrati della Corte dei conti. In ordine a tale ultimo punto si chiarisce da parte del giudice a quo che l'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97, era stato interpretato dalla disposizione denunziata sub a), in un'accezione antitetica a quella voluta dalla citata decisione dell'Adunanza plenaria (e cioè nel senso che essa conserva, per i magistrati diversi da quelli della Corte dei conti, un deteriore regime degli aumenti periodici). In tal senso va intesa la censura a detta norma rivolta sub c);

che le ordinanze concludono prospettando, oltre alla lesione del principio d'eguaglianza, anche la violazione dell'art. 36 della Costituzione;

che nel giudizio dinanzi a questa Corte di cui all'ordinanza di rimessione n. 263 del 1988 si è costituita la parte privata che ha insistito per l'accoglimento dei diversi profili d'incostituzionalità;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità ovvero d'infondatezza, richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 413 del 24 marzo 1988.

Considerato che i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica ordinanza;

che questa Corte, con la sentenza n. 413 del 1988, ha già dichiarato l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 425 del 1984 che limita ai soli magistrati della Corte dei conti il particolare meccanismo di calcolo degli aumenti periodici d'anzianità, rilevando come la norma, oltre all'eliminazione delle incertezze interpretative, sia volta a costituire < l'indispensabile presupposto logico e organizzatorio della ristrutturazione del trattamento economico per tutte le categorie dei magistrati>;

che, pertanto, è manifestamente infondata l'analoga questione sollevata dal giudice a quo il quale, con il riferimento all'art. 9, secondo comma, della legge n. 97 del 1979, ed agli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione intende motivare l'asserita lesione delle norme sulla giurisdizione già a suo tempo esclusa, avendo la Corte ravvisato nel complesso della normativa l';

che considerazioni d'identico contenuto possono svolgersi in riferimento al primo comma della citata disposizione il quale, correlativamente, interpreta l'art. 3 della legge n. 27 del 1981, istitutivo di una speciale indennità in favore dei magistrati dell'ordine giudiziario, nel senso di attribuire soltanto a questi ultimi tale emolumento;

che anche con riguardo a tale ipotesi deve richiamarsi la generale finalità perequativa perseguita dalla legge n. 425 del 1984 intesa non già a vanificare il giudicato ovvero ad invadere l'ambito proprio dell'attività giudiziaria, bensi ad eliminare esiti privilegiari di trattamento economico evitando che essi si sommino con quanto dalla legge stessa previsto, in un quadro di generale equilibrio delle retribuzioni dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché degli avvocati dello Stato.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi primo e secondo, della legge 6 agosto 1984, n. 425 (), sollevata, in relazione agli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione, dal Consiglio di Stato con le ordinanze di cui in epigrafe;

b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (), come interpretato dalla legge 6 agosto 1984, n. 425, nonché dell'art. 1, primo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, sollevata con le medesime ordinanze in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione;

c) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (), con riferimento agli artt. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080 (), 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308 (), e 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (), sollevata con le medesime ordinanze in relazione agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 06/12/88.