Sentenza n.207 del 1988

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SENTENZA N.207

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 41, quarto comma, e 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto) e dell'art. 29 della legge 7 agosto 1982, n. 516 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria); promossi con ordinanze emesse il 20 aprile e il 20 maggio 1981 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria, il 21 settembre 1985 dalla Commissione tributaria di primo grado di Alessandria e il 12 luglio 1986 dalla Commissione tributaria di primo grado di Novara, iscritte rispettivamente ai nn. 568 e 569 del registro ordinanze 1981, al n. 655 del registro ordinanze 1986 e al n. 47 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 352 dell'anno 1981, n. 55/ prima serie speciale dell'anno 1986 e n. 13/prima serie speciale dell'anno 1987.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1987 il Giudice relatore Francesco Saja.

Considerato in diritto

l. - I giudizi, concernendo questioni sostanzialmente analoghe o connesse, vanno riuniti e decisi congiuntamente.

2.-La prima di esse, che é quella fondamentale, concerne l'art. 41, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo, applicabile alla specie, vigente anteriormente alle modifiche apportate dal d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24. Per quanto qui interessa, va precisato che la norma indicata dispone che nel caso di violazioni dell'obbligo di fatturazione - previste nei primi tre commi dello stesso articolo - il cessionario del bene o il committente del servizio e obbligato al pagamento della pena pecuniaria in solido con l'autore della violazione, per il solo fatto di avere effettuato l'operazione nell'esercizio di un'impresa, arte o professione. La disposizione e censurata dai giudici rimettenti in quanto non consentirebbe al cessionario di ricorrere al fine di contestare l'esattezza dell'accertamento e gli stessi elementi costitutivi dell'infrazione addebitata al cedente, con conseguente violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

La questione non é però fondata.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale e ordinaria, infatti, l'obbligazione solidale tributaria non si differenzia da quella comune, con la conseguenza che, in base ai principi civilistici, l'accertamento non notificato all'obbligato solidale non determina nei suoi confronti alcuna preclusione e ben può egli, quindi,-come rileva anche l'Avvocatura dello Stato-far valere le proprie ragioni nel procedimento tributario (che gli é consentito intentare allorquando gli sarà notificato l'atto relativo alla sanzione) e il suo ricorso può investire sia la sanzione irrogata, sia i presupposti di fatto in base ai quali e stata applicata (cfr. sent. n. 348 del 1987).

3. -Ad analoga conclusione deve pervenirsi in ordine alla questione, sollevata dalla sola Commissione tributaria di primo grado di Alessandria (r.o. 65S/86), relativa all'art. 29 della legge 7 agosto 1982, n. 516 (c.d. condono tributario), nella parte in cui dispone che le sanzioni amministrative previste dal titolo terzo del d.P.R. n. 633/72 non si applicano nei casi in cui <l'imposta resti definita ai sensi dei precedenti articoli per l'ammontare indicato nella dichiarazione integrativa>.

La norma é censurata in quanto non consentirebbe al cessionario del bene di fruire del condono, dato che tale rimedio-secondo la norma impugnata-é consentito unicamente nei casi in cui vi é ancora possibilità di contestazione circa la debenza dell'imposta e non soltanto in merito alla sanzione: possibilità questa che non si verifica per il cessionario, secondo il giudice a quo, in quanto al responsabile solidale viene notificato soltanto stralcio dell'avviso di rettifica e di irrogazione delle sanzioni, allorchè il relativo provvedimento e ormai divenuto definitivo per mancata opposizione da parte del responsabile principale.

Anche tale questione non é fondata. Premesso, infatti, che nella fattispecie trattasi di fatti relativi a periodi di imposta precedenti il 1979 e quindi ad epoca in cui ancora vigeva il principio della responsabilità solidale del cessionario, per non essere ancora intervenuto il d.P.R. n. 24 del 1979, le considerazioni sopra svolte in merito alla possibilità per il cessionario, cui venga notificato il solo avviso di irrogazione della sanzione, di tutelare pienamente la sua posizione, valgono, per la medesima ratio, in tema di condono, essendogli consentita anche in tale sede la tutela giurisdizionale garantita dalla Costituzione.

4. - Infine, la Commissione tributaria di primo grado di Alessandria solleva la questione di legittimità costituzionale dei citati artt. 41 del d.P.R. n. 633/72 e 29 della legge n. 516/82 anche in riferimento all'art. 27 Cost., in quanto dette norme consentirebbero di irrogare al cessionario una pena pecuniaria tenendo conto non della sua personalità, ma di quella del cedente.

La questione é chiaramente infondata, in quanto, per costante giurisprudenza di questa Corte, il principio della personalità della pena di cui allo invocato parametro costituzionale opera esclusivamente nei confronti delle pene vere e proprie e non ha alcuna attinenza con le sanzioni di altra natura (da ult. ord. n. 502 del 1987).

5.-Resta da esaminare la questione, sollevata da tutte le ordinanze, relativa all'art. 58, quarto comma, del citato d.P.R. n. 633 del 1972, modificato (ma in una parte che non rileva nella fattispecie), con effetto dal gennaio 1973, dal d.P.R. n. 24 del 1979. Esso dispone che la pena pecuniaria non può essere irrogata qualora nel termine di trenta giorni dalla data del verbale di constatazione della violazione sia stata versata all'ufficio una somma pari ad un sesto del massimo della pena.

I giudici rimettenti deducono che la norma viola gli artt. 3 e 24 Cost. in quanto la facoltà da essa riconosciuta di beneficiare della conciliazione amministrativa versando un solo sesto del massimo della pena sarebbe esercitabile dal solo responsabile principale (cedente) e non anche dal cessionario: il che-secondo le dette ordinanze-determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra due soggetti di un medesimo rapporto giuridico.

La questione é fondata.

Non possono, infatti, essere tollerate irrazionali diseguaglianze tra i coobbligati senza una razionale giustificazione e la denunciata disparità in tema di fruibilità del beneficio della riduzione della sanzione non appare giustificata da alcuna ratio.

In particolare, non é condivisibile la tesi dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui le posizioni del cedente e del cessionario sarebbero diverse potendo quest'ultimo, a differenza del primo, sottrarsi completamente al pagamento della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 41, quarto comma, seconda parte del d.P.R. 633/72: trattasi, invero, di aspetto che non incide sulla questione in esame, in quanto il fatto che il cessionario possa, a certe con dizioni, liberarsi dalla responsabilità non vale ad eliminare la irrazionalità della esclusione del cessionario stesso dal diverso beneficio della definizione agevolata in via amministrativa.

Va, pertanto, dichiarata la illegittimità costituzionale del l'art. 58, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 nella parte in cui non prevede che anche il cessionario del bene (o il committente del servizio) possa versare all'ufficio una somma pari ad un sesto del massimo della pena, nel termine di trenta giorni dalla notificazione sopra indicata (sub 2).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dalla Commissione tributaria di secondo grado di Alessandria e dalle Commissioni tributarie di primo grado della stessa città e di Novara con tutte le ordinanze indicate in epigrafe;

b) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29 della legge 7 agosto 1982, n. 516, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dalla Commissione tributaria di primo grado di Alessandria con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o. 655/86);

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme suindicate sollevata, in riferimento all'art. 27 Cost., dalla stessa Commissione tributaria di primo grado di Alessandria con l'ordinanza sopra indicata (n.655/86);

d) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 58, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella parte in cui non prevede che anche il cessionario del bene, o il committente del servizio, può beneficiare della conciliazione amministrativa versando all'ufficio finanziario una somma pari ad un sesto del massimo della pena pecuniaria prevista, nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell'atto concernente la sanzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/02/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco SAJA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 25 Febbraio 1988.