ORDINANZA N. 397
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Dott. Francesco SAJA , Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 260 c.p.m.p., promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1986 dal Tribunale Militare di Padova, iscritta al n. 735 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59 prima serie speciale dell'anno 1986;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella Camera di Consiglio del 14 ottobre 1987 il Giudice relatore Ettore Gallo;
Ritenuto, in fatto, che con ordinanza 30 aprile 1986 il Tribunale militare di Padova sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 260 c.p.m.p., in riferimento agli artt. 2, 3, 28 e 52 Cost.,
che, ad avviso del Tribunale rimettente, la norma impugnata, esigendo per la procedibilità, in ordine ai reati punibili con la reclusione militare non superiore a sei mesi, la richiesta del Comandante, violerebbe:
a) l'art. 3 Cost., in quanto determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento del militare rispetto ad ogni altra persona;
b) gli artt. 2 e 52 Cost., in quanto vi sarebbe un inammissibile affievolimento dei diritti della persona quando sieno offesi nell'ambito delle F.F.A.A., dato che all'interessato non é concessa tutela penale senza la richiesta del Comandante;
c) l'art. 28 Cost. perché, escludendo la diretta responsabilità del militare secondo le leggi penali, priverebbe l'offeso di ogni garanzia, instaurando una sostanziale depenalizzazione, inammissibile per i delitti lesivi dei diritti soggettivi;
che interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale chiedeva che la questione fosse dichiarata inammissibile e comunque infondata;
Considerato, in diritto, che l'art. 3 Cost. non può venire in considerazione, dato che la situazione del militare é, per certi aspetti, sicuramente diversa da quella dei civili;
che tale diversità non viene meno solo perché nel reato di lesioni personali sono coinvolti i diritti della persona, dato che l'art. 260 c.p.m.p. limita l'esigenza della richiesta del Comandante alle ipotesi di scarsa rilevanza (come é quella di specie, nella quale si trattava di graffi al viso), là dove sicuramente prevale l'offesa all'interesse militare;
che, per questa stessa ragione, non ostano nemmeno gli artt. 2 e 52, terzo co., Cost. dato che lo spirito democratico della Repubblica non é compromesso dal fatto che, in ipotesi di lesioni lievissime, normalmente punibili a querela dell'offeso, il c.p.m.p. sostituisca a quest'ultima la richiesta del Comandante, per consentire l'apprezzamento dell'interesse pubblico militare, pregiudicabile dalla pubblicità del dibattimento, rispetto alla tenuità dell'interesse della persona offesa, che peraltro trova comunque tutela in sede civile;
che, quanto poi all'art. 28 Cost., non si vede in qual modo la norma impugnata si renda incompatibile, dato che la richiesta del Comandante ha carattere esclusivamente processuale trattandosi sicuramente di una mera condizione di procedibilità: ne deriva che, mentre l'illecito penale - pur non essendo perseguibile per ragioni processuali - resta tuttavia tale, il militare dipendente rimane comunque responsabile secondo la legge civile. D'altra parte, l'art. 28 si limita a costituzionalizzare la diretta responsabilità del dipendente statale "secondo le leggi penali, civili e amministrative": e, perciò, se in una determinata ipotesi, la responsabilità penale non potesse essere accertata per carenza di una condizione di procedibilità, é questo ciò che dispone la legge penale ed é questo, quindi, quanto la Costituzione ha inteso recepire riferendosi al disposto delle leggi ordinarie;
che, pertanto, non sussistono ragioni che consiglino alla Corte di discostarsi dalla declaratoria d'infondatezza della sollevata questione, già pronunziata con le sentenze n. 189 del 1976, n. 59 del 1978, n. 114 del 1982 e n. 42 del 1985;
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 260 c.p.m.p., sollevata dal Tribunale militare di Padova, con ordinanza 30 aprile 1986, in riferimento agli artt. 2, 3, 28 e 52, terzo co. Cost.
Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, palazzo della Consulta il 29 ottobre 1987.
Il Presidente: SAJA
Il Redattore: GALLO
Depositata in cancelleria il 12 novembre 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI