Sentenza n.279 del 1987

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SENTENZA N. 279

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 53, 54, 55, 59, 77, 78, 79 e 84 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con ordinanze emesse il 21 luglio 1983 dal Tribunale militare di Torino, l'11 luglio 1985 dalla Corte militare di appello, Sezione distaccata di Verona, il 10 marzo 1986 e il 16 giugno 1986 dalla Corte di cassazione, il 15 aprile 1986 (due ordinanze), il 4 giugno 1986 (due ordinanze), il 1ø luglio 1986, il 25 giugno 1986, il 25 settembre 1986, il 2 ottobre 1986, il 30 ottobre 1986, il 13 novembre 1986 e il 3 dicembre 1986 dal Tribunale militare di Padova, iscritte ai nn. 847 del registro ordinanze 1983, 675 del registro ordinanze 1985, 511, 522, 559, 633, 665, 666, 668, 844 del registro ordinanze 1986, 5, 6, 7, 88 e 89 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 67 dell'anno 1984, 7, 46, 47, 50, 53, 56, 1a serie speciale dell'anno 1986, 8, 14, 1a serie speciale, dell'anno 1987;

Udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1987 il Giudice relatore Giovanni Conso;

Udito l'Avvocato dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Beretta Rossano, tratto a giudizio per il reato di diserzione, il Tribunale militare di Torino, premesso che, quando ancora non erano state compiute per la prima volta le formalità di apertura del dibattimento, l'imputato aveva avanzato richiesta per l'applicazione delle sanzioni sostitutive previste dall'art. 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e che sulla detta richiesta il pubblico ministero aveva espresso parere favorevole; che, peraltro, alla stregua degli artt. 53, 54, 59,77 e 84 della legge n. 689 del 1981, la richiesta non avrebbe potuto trovare accoglimento e che il giudice non avrebbe potuto nemmeno applicare d'ufficio le sanzioni sostitutive, con ordinanza del 21 luglio 1983 (r.o. n. 847 del 1983), ha denunciato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, secondo e terzo comma, della Costituzione, l'illegittimità dei detti articoli della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non consentono che le sanzioni sostitutive possano essere applicate in relazione ai reati militari, compresi nei limiti di pena della competenza pretorile, giudicati dai tribunali militari.

Il principio di eguaglianza sarebbe vulnerato perché l'art. 54, mentre prevede la sostituibilità della pena detentiva per i reati di competenza del pretore anche se giudicati, per effetto della connessione, da un giudice superiore o commessi da persona minore degli anni diciotto, non prevede analoga sostituibilità nel caso di "reati militari di competenza dei tribunali militari o sottoposti alla cognizione del pretore o dei tribunali dei minorenni in caso di connessione speciale con reati comuni o tra imputati militari e civili (art. 8 legge 23 marzo 1956, n. 167)". Poiché da numerose norme costituzionali si ricava il principio dell'unicità dell'ordinamento giurisdizionale, non sarebbe "possibile, di conseguenza, un trattamento differenziato tra imputati e condannati per reati comuni o militari, da giudici ordinari o militari": non solo per l'uguale vigenza delle stesse norme costituzionali per tutti, ma anche per essere i tribunali militari organi giudiziari dello Stato repubblicano e la pena inflitta agli imputati militari non una sanzione di un ordinamento interno, ma dell'intero ordinamento dello Stato; una pena che, peraltro, potendo "essere scontata dai militari di leva, come l'imputato, anche dopo la cessazione del servizio militare, non si vede perché non possa essere sostituita nei confronti del militare che torni nella società civile, dopo aver espletato il dovere costituzionale".

L'art. 25, secondo comma, della Costituzione risulterebbe violato là dove dispone che "nessuno" può essere punito, comprendendo nel "nessuno" tutti coloro ai quali si indirizza la norma penale.

Sussisterebbe, infine, violazione del secondo e del terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, i quali parlano di "imputato" e di "condannato", "non facendo alcuna distinzione neppure tra queste due categorie".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 7 marzo 1984.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Secondo l'atto d'intervento "la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale statuisce che la scelta tra reati da ricomprendere e quelli da escludere nell'ambito di applicabilità delle sanzioni sostitutive costituisce squisita espressione di discrezionalità legislativa e in quanto tale non suscettibile di sindacato sul piano della costituzionalità".

Per quel che attiene ai reati militari, l'esclusione delle sanzioni sostitutive deriverebbe dalla diversità del regime sanzionatorio cui essi sono assoggettati: in particolare, da un lato, il codice penale militare non prevede l'irrogabilità di pene pecuniarie, dall'altro, istituti quali la semidetenzione e la libertà controllata comportano modalità di esecuzione inconciliabili con rilevanti aspetti dello status di militare.

2. - Con ordinanza dell'11 luglio 1985 (r.o. 675 del 1985) la Corte militare di appello, Sezione distaccata in Verona, ha denunciato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, gli artt. 53 e 54 della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte, in cui é esclusa la loro estensibilità ai reati militari di competenza del Pretore e non commessi da minorenni".

Rileva il giudice a quo che per i reati militari l'applicazione delle sanzioni sostitutive, tanto ai sensi dell'art. 53 e seguenti quanto ai sensi dell'art. 77 e seguenti della legge n. 689 del 1981, può essere disposta con riferimento ai reati "commessi da persone estranee alle Forze armate, da sole" ( ex art. 14, secondo comma, del codice penale militare di pace) "o in concorso con chi alle Forze armate appartenga" ( ex art. 14, primo comma, del codice penale militare di pace), reati che, "a norma dell'art. 103 Cost., sono da comprendere nell'originaria competenza del giudice ordinario, e quindi del Pretore secondo le regole emanate negli artt. 31 e 32 c.p.p., anche se giudicati, per effetto della connessione, dal tribunale e dalla Corte d'Appello".

Le sanzioni sostitutive risultano, inoltre, applicabili nell'ipotesi di reati militari commessi da militare infradiciottenne giudicati sia dal tribunale militare sia dal tribunale per i minorenni; con la conseguenza che resta estraneo al regime della sostituzione - in quanto compreso nella competenza del giudice militare - solo il reato militare commesso da militare maggiorenne, anche se, per effetto della connessione, debba essere giudicato dal pretore.

L'assetto normativo ora delineato determinerebbe, ad avviso del giudice a quo, una disparità di trattamento relativamente all'applicazione delle sanzioni sostitutive, a seconda che i reati militari siano stati commessi "dall'estraneo o dall'intraneo alle Forze armate, dal militare infradiciottenne o maggiorenne": una disparità del tutto irragionevole, non sussistendo alcuna giustificazione della disciplina di maggior rigore riservato ai militari maggiorenni che pongono in essere reati militari.

Il diverso regime non potrebbe ragionevolmente fondarsi, come, invece, ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, da un lato, sul fatto che "tra la semidetenzione o la libertà controllata e lo stato militare v'é un'ontologica ed essenziale incompatibilità", dall'altro, sul fatto "che nel codice penale militare non sono previste pene pecuniarie". Quanto all'un argomento, verrebbero "enfatizzate" difficoltà pratiche nell'applicazione delle sanzioni sostitutive al militare in servizio, egualmente proponibili per altre categorie di persone che certamente fruiscono della sostituzione (ad esempio, gli appartenenti alla polizia di Stato, le guardie giurate, etc.), difficoltà talora anche insussistenti come quelle che si fanno derivare dagli artt. 55 e 56 della legge n. 689 del 1981, i quali sicuramente non riguardano "l'armamento istituzionale affidato al militare". Senza contare che il giudice é comunque tenuto, ai sensi degli artt. 55, primo comma, 56, nn. 1 e 2, 62, 63, 64 e 69 della legge n. 689 del 1981, ad "adattare la sanzione sostitutiva alle condizioni personali di chi dovrà scontarla".

Quanto all'altro argomento, a parte il rilievo che le pene pecuniarie non sono estranee al sistema penale militare nel suo complesso (v. art. 3 della legge 5 dicembre 1941, n. 1383; artt. 150 e 152 del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237), rileva il giudice a quo che esso non é apparso di ostacolo all'applicazione della continuazione fra reati comuni e reati militari, "con la possibilità, dunque, che, nei congrui casi, la pena militare sia sostituita con un aumento della pena pecuniaria irrogata per il più grave reato comune".

Comunque, la pretesa incompatibilità fra lo stato di militare ed il regime delle sanzioni sostitutive non sarebbe in grado di conferire carattere di razionalità alla normativa denunciata, ostandovi l'applicabilità del detto regime sia ai militari minorenni che abbiano commesso reati militari sia ai militari che abbiano commesso un reato comune.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 7, 1a serie speciale, del 19 febbraio 1986.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale, riproducendo le conclusioni sub 1, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

3. - La Corte di cassazione, con ordinanza del 10 marzo 1986 (r.o. 622 del 1986), ha denunciato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, gli artt. 54, 77 e 79 della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui non consentono l'applicazione di sanzioni sostitutive a richiesta dell'imputato in relazione ai reati militari".

Premesse alcune considerazioni circa le finalità - sia di prevenzione generale sia di prevenzione speciale - perseguite dal legislatore con l'introduzione dell'istituto delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, rileva il giudice a quo che l'ambito applicativo del nuovo sistema risulta considerevolmente ristretto, fra l'altro, dalla previsione che il detto regime può operare solo con riguardo a reati di competenza del pretore: con la conseguenza che se, per un verso, "si dimostrano privi di rilevanza gli spostamenti di competenza per materia stabiliti per motivi di connessione" (v. art. 54 della legge n. 689 del 1981), per un altro verso, assumono, invece, rilevanza, per la loro forza preclusiva, le deroghe alla competenza per materia del pretore stabilite dalle leggi speciali; "in dette evenienze, cioè, non é possibile sostituire le pene detentive brevi".

Una di tali deroghe é, appunto, rappresentata dall'inapplicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati militari: inapplicabilità che darebbe luogo ad una "grave sperequazione", fino a tradursi in "incongruenza soprattutto ove si consideri che, stante la unicità della giurisdizione", discriminare fra reati comuni di competenza del pretore e reati militari compresi nei limiti della competenza pretorile, i primi soli assoggettati al regime delle sanzioni sostitutive, significa travalicare "i confini della elementare logica, accolta dal sentimento sociale". Una deroga "così vistosa ai principi generali" non potrebbe nemmeno essere giustificata considerando la natura dell'interesse che forma oggetto della tutela; ciò in quanto la particolarità dell'interesse "non conferisce alcuna notazione di rilievo alla norma penale che quell'interesse garantisce". Ne consegue che, sotto tale profilo, "i reati militari non sono diversi dai reati comuni".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 46, 1a serie speciale, del 24 settembre 1986.

Un'identica questione la Corte di cassazione ha sollevato con ordinanza del 16 giugno 1986 (r.o. 844 del 1986), ordinanza che, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 8, 1a serie speciale, del 18 febbraio 1987.

In entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale, sostanzialmente riproducendo le deduzioni sub 1, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

4. - Con undici ordinanze di contenuto sostanzialmente identico emesse il 15 aprile 1986 (due: r.o. 511 del 1986 e r.o. 559 del 1986), il 4 giugno 1986 (due r.o. 663 del 1986 e r.o. 668 del 1986), il 25 giugno 1986 (r.o. 666 del 1986), il 1ø luglio 1986 (r.o. 665 del 1986), il 25 settembre 1986 (r.o. 5 del 1987), il 2 ottobre 1986 (r.o. 7 del 1987), il 30 ottobre 1986 (r.o. 6 del 1987), il 13 novembre 1986 (r.o. 88 del 1987) e il 3 dicembre 1986 (r.o. 89 del 1987), il Tribunale militare di Padova ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, ora gli artt. 53 e 54 (r.o. 511, 559, 633, 668 del 1986, 7 e 86 del 1987), ora gli artt. 53, 54, 77 e 79 (r.o. 665 e 666 del 1986), ora gli artt. 53, 54 e 77 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (r.o. 5, 6 e 88 del 1987), nella parte in cui escludono che le sanzioni sostitutive (irrogate dal giudice, a seconda dei casi, d'ufficio o su richiesta dell'imputato) siano applicabili, oltre che agli estranei alle Forze armate ed ai militari minorenni che commettono reati militari compresi nell'astratta competenza del Pretore, anche nei confronti dei militari maggiorenni che si rendono colpevoli dei medesimi reati.

La questione muove dal rilievo che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha ritenuto inapplicabile il regime delle sanzioni sostitutive ai reati di competenza del giudice militare e che l'art. 103, terzo comma, della Costituzione, "comunemente interpretato nel senso che sarebbe con esso costituzionalizzato solamente il limite della giurisdizione militare in tempo di pace", consente che "nell'originaria competenza del giudice ordinario" vengano ricompresi anche reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate. Ciò premesso, alla stregua dell'art. 54 della legge n. 689 del 1981, "le sanzioni sostitutive sono applicabili ai reati militari compresi nella competenza originaria del Pretore secondo i criteri indicati negli artt. 31 e 32 C.p.p.": commessi, quindi, sia da chi non appartenga alle Forze armate (v. artt. 14, 140 e 166 del codice penale militare di pace) sia dal militare infradiciottenne, quale che sia il giudice chiamato ad irrogarle (nei casi previsti dall'art. 264 del codice penale militare di pace): le sanzioni sostitutive resterebbero inapplicabili soltanto ai reati militari commessi dal militare maggiorenne "dato che tali reati sono compresi nell'originaria competenza del giudice militare". La diversità di trattamento circa l'applicazione del regime delle sanzioni sostitutive a seconda che il reato venga posto in essere "dall'estraneo, dall'intraneo alle forze armate, dal militare infradiciottenne o dal maggiorenne" sarebbe irrazionale, tenuto conto che la pretesa incompatibilità del detto regime con lo status di militare rappresenta la risultante di una posizione concettuale fondata sulla enfatizzazione di "difficoltà meramente pratiche, che potrebbero, al massimo, presentarsi nella concreta applicazione, anzi, nell'esecuzione, delle sanzioni sostitutive a militari in servizio effettivo alle armi". Al contempo, altre difficoltà addotte per giustificare come la sostituzione della pena e lo status di militare siano tra loro incompatibili si rivelano del tutto inconsistenti (si pensi al riferimento agli artt. 55 e 56 della legge n. 689 del 1981), essendo comunque consentito al giudice, sia nella fase della cognizione sia nella fase dell'esecuzione, di adattare la sanzione sostitutiva alle condizioni personali di chi dovrà scontarla.

In ogni caso, é evidente che "non può essere l'asserita incompatibilità tra reato militare e pena sostitutiva a conferire carattere di razionalità alla normativa in esame": fra l'altro, tale normativa dovrebbe, allo stesso modo, risultare inapplicabile - ma nessuna preclusione del genere figura nella legge - al caso di reato comune commesso dal militare.

Parimenti non sostenibile é la tesi che, per negare l'applicabilità del regime delle sanzioni sostitutive ai reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate, fa leva sull'assenza di previsione nel codice penale militare di pene pecuniarie: non solo perché il sistema penale militare nel suo complesso prevede anche pene pecuniarie, ma anche perché la giurisprudenza della Corte di cassazione, ritenendo applicabile la continuazione tra reati comuni e reati militari, ha riconosciuto la possibilità che, nei congrui casi, la pena militare sia sostituita con un aumento della pena pecuniaria irrogata per il più grave reato comune.

In conclusione, secondo il giudice a quo, la vigente disciplina in tema di sanzioni sostitutive appare discriminatoria, "nel senso vietato dall'art. 3 della Costituzione, nei confronti dei militari maggiorenni colpevoli di reati militari che, alla stregua delle regole enunciate negli artt. 31 e 32 c.p.p. rientrerebbero nella competenza del Pretore": infatti, agli altri colpevoli di questi stessi reati (militari minorenni ed estranei alle Forze armate), le sanzioni sostitutive risultano applicabili. La detta discriminazione vulnererebbe anche l'art. 27 della Costituzione, "da cui si evince che i princìpi fondamentali in tema di responsabilità penale, e particolarmente sulla funzione devoluta alla pena, debbono valere, senza eccezioni di sorta, in ogni settore della legislazione penale, compreso l'ordinamento penale militare".

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 47, 1a serie speciale (r.o. 511 del 1986), n. 50, 1a serie speciale (r.o. 559 del 1986), n. 53, 1a serie speciale (r.o. 633 del 1986), n. 56, 1a serie speciale (r.o. 665, 666, 668 del 1986) dell'anno 1986, n. 8, 1a serie speciale (r.o. 5, 6, 7 del 1987) e n. 14, 1a serie speciale (r.o. 88 e 89 del 1987) dell'anno 1987.

In tutti questi giudizi (ad eccezione di quello instaurato da r.o. 665 del 1986), é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata "inammissibile e, in subordine, infondata".

La questione sarebbe inammissibile perché il petitum divisato dai giudici a quibus postulerebbe "un ampiamento dell'area operativa della disposizione, sì da ricomprendere gli imputati militari che, allo stato, ne sono esclusi": un risultato conseguibile solo attraverso l'intervento "integratore e completativo" del legislatore e non anche attraverso una pronuncia della Corte "che non può essere additiva rispetto al corpo normativo esistente". Circa la sua infondatezza, riprodotte sostanzialmente le argomentazioni sub 1, l'Avvocatura osserva: con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, relativa alla disparità di trattamento fra la posizione del militare minorenne e la posizione del militare maggiorenne, che si tratta "di situazioni non equiparabili attesa la sostanziale difformità delle medesime messe a raffronto", anche perché la tutela accordata in genere al minore é, nell'apprezzamento del legislatore, "tale da abbattere" - nell'ambito della razionalità - "quei limiti che sono stati invece ravvisati per i militari maggiorenni"; con riferimento alla prospettata violazione dell'art. 27 della Costituzione, come debba escludersi che il legislatore abbia, avvalendosi del suo potere discrezionale, travalicato i limiti oltre i quali il trattamento sanzionatorio previsto é contrario ai princìpi rieducativi postulati dal precetto costituzionale invocato: altrimenti dovrebbe sostenersi che in ogni caso in cui non é prevista l'applicazione delle sanzioni sostitutive l'art. 27 della Costituzione risulterebbe violato.

Il discorso assumerebbe allora portata generale e non sarebbe, perciò, "accettabile come proposto", perché "il sistema sanzionatorio risponde generalmente a criteri di politica criminale, logica e congrua nelle sue implicazioni concrete, come si verifica nella specie in esame".

Considerato in diritto

1. - Le quindici ordinanze riassunte in narrativa sollevano questioni di legittimità costituzionale strettamente connesse, quando addirittura non coincidenti: i relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti al fine di essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Nel corso di altrettanti procedimenti penali contro militari maggiorenni imputati di reati militari, i giudici a quibus - pur muovendo da interpretazioni non univoche dell'art. 54 della legge 24 novembre 1981, n. 689, per quel che riguarda il problema della sua applicabilità ai reati militari commessi da persone estranee alle forze armate ed ai reati militari commessi da militari minorenni - concordano nel ritenere le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi non applicabili ai reati militari commessi da militari maggiorenni ed altrettanto concordemente deducono l'illegittimità costituzionale di tale mancata estensione.

Più in particolare, l'addebito della "non previsione" viene rivolto ad una serie di combinati disposti, sostanzialmente non dissimili, tratti dal capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, dedicato appunto alle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: combinati disposti dalle articolazioni più o meno ampie, soprattutto a seconda che, nella singola fattispecie concreta, fosse stata adombrata l'applicabilità di una sanzione sostitutiva ex officio oppure su richiesta dell'imputato. Quest'ultimo é il caso delle due ordinanze della Corte di cassazione (r.o. 522 e 844 del 1986), che hanno per oggetto gli artt. 54, 77 e 79; di sette fra le ordinanze del Tribunale militare di Padova (r.o. 511, 559, 633, 668 del 1986 e 5, 6, 7 del 1987), che si dirigono contro gli artt. 53, 54 e 77; di altre due ordinanze del Tribunale militare di Padova (r.o. 665 e 666 del 1986), che investono gli artt. 53, 54, 77 e 79; e dell'ordinanza del Tribunale militare di Torino (r.o. 847 del 1983), che coinvolge gli artt. 53, 54, 59, 77, 78 e 84. L'ordinanza della Corte militare di appello, Sezione distaccata di Verona (r.o. 675 del 1985), e le due ultime ordinanze del Tribunale di Padova (r.o. 88 e 89 del 1987) hanno per oggetto, invece, i soli artt. 53 e 54.

3. - Quanto ai parametri invocati, costante é il richiamo all'art. 3 della Costituzione, anche se sotto angolature parzialmente divergenti. Mentre, infatti, le ordinanze della Corte di cassazione e del Tribunale militare di Torino denunciano l'illegittimità della discriminazione ravvisabile, a proposito delle sanzioni sostitutive, fra imputati di reati comuni ed imputati di reati militari, le ordinanze della Corte militare di appello, Sezione distaccata di Verona, e del Tribunale militare di Padova - muovendo dall'interpretazione, meno restrittiva, dell'art. 54 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che porta a ritenere applicabili le sanzioni sostitutive non solo ai reati comuni ma pure ai reati militari commessi da persone estranee alle forze armate ed ai reati militari commessi da militari minorenni - lamentano l'irrazionale diversità di trattamento da ciò derivante a scapito dei militari maggiorenni.

Oltreché all'art. 3, le ordinanze del Tribunale militare di Padova si rifanno all'art. 27 della Costituzione, i cui "princìpi fondamentali in tema di responsabilità penale, e particolarmente sulla funzione devoluta alla pena, debbono valere, senza eccezioni di sorta, in ogni settore della legislazione penale, compreso l'ordinamento penale militare", e l'ordinanza del Tribunale militare di Torino sia all'art. 25, secondo comma, che comprende nel "nessuno può essere punito" tutti coloro ai quali si indirizza la norma penale, sia all'art. 27, secondo e terzo comma, che parla di "imputato" e di "condannato", senza fare alcuna distinzione neppure tra queste due categorie.

4. - Le doglianze, prospettate nel chiaro intento (v. specialmente le due ordinanze della Corte di cassazione) di contestare le già più volte rilevate "esitazioni" di una riforma che, anche per una maggiore coerenza interna, ben altri sviluppi avrebbe potuto comportare, pongono un problema indiscutibilmente delicato. Esse, però, così come formulate, si imbattono subito in un'eccezione di inammissibilità avanzata dall'Avvocatura dello Stato negli atti di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, ad esclusione soltanto dei primi due (r.o. 847 del 1983 e 675 del 1985). Basata sulla considerazione, estremamente sintetica, che "un ampiamento dell'area operativa della disposizione, sì da ricomprendere gli imputati di reati militari che, allo stato, ne sono esenti... appare conseguibile solo in dipendenza dell'intervento integratore e completativo del Legislatore ordinario e non anche mercè una pronunzia della Corte Costituzionale che non può essere additiva rispetto al corpo normativo esistente", l'eccezione dell'Avvocatura risulta decisiva, tanto più a causa dei connotati generali assunti dalla questione, ogni volta proposta con riguardo a tutti i reati militari "rientranti nell'astratta competenza del pretore", senza mai soffermarsi sulla particolare fattispecie criminosa addebitata all'imputato.

5. - Proprio la formula "reati militari rientranti nell'astratta competenza del pretore" adottata dalle ordinanze di rimessione nel tentativo di far emergere un'automatica utilizzabilità del sistema di sostituzione delle pene detentive cui gli art. 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, hanno dato vita per i reati di competenza del pretore (oltreché per i reati commessi da persone minori degli anni diciotto), sta a dimostrare l'impossibilità di estendere ai reati militari il sistema attualmente congegnato dal legislatore.

Posto, infatti, che la formula "reati militari rientranti nell'astratta competenza del pretore" non può intendersi che come riferita ai reati militari "per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni" (v., del resto, sostanzialmente in tali termini, l'art. 25 del primo d.d.l. concernente sanzioni sostitutive: il n. 1799 Camera dei deputati dell'VIII legislatura), e ciò alla stregua del criterio-base adottato per la competenza del pretore dall'art. 31 del codice di procedura penale, nel testo esistente al momento dell'entrata in vigore della legge 24 novembre 1981, n. 689, ogni ricerca di parallelismi viene pregiudicata dalla constatazione che la categoria dei "reati di competenza del pretore", per i quali l'art. 54 di tale legge consente l'applicazione delle sanzioni sostitutive, non coincide affatto con la categoria dei reati per i quali la legge ordinaria prevede una pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni. Tale coincidenza viene meno, da un lato, per eccesso, in quanto - a seguito della riforma operata dall'art. 1 della legge 31 luglio 1984, n. 400, tramite l'aggiunta di un secondo comma all'art. 31 del codice di procedura penale - ricadono nella competenza del pretore e sono, quindi, suscettibili di sostituzione della pena detentiva anche quei reati punibili con pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione elencati nel nuovo comma, e viene meno, dall'altro lato, per difetto, sia per le numerose ipotesi di competenza qualitativa del tribunale o della corte di assise sia, soprattutto, per le non poche "esclusioni oggettive" configurate dall'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Se a questo ostacolo di fondo si aggiungono le difficoltà, non decisive ma comunque non agevolmente superabili, di cui si sono fatti carico anche i giudici a quibus (dalla non previsione di pene pecuniarie nel codice penale militare di pace, che renderebbe problematica l'operatività della sanzione sostitutiva pecuniaria, ai particolari contenuti delle altre due sanzioni sostitutive, la semidetenzione e la libertà controllata, non sempre adeguabili allo status di militare), la necessità di colmare l'invocata lacuna apprestando un'apposita disciplina, che tenga conto di ciascuno degli aspetti indicati, appare non facilmente controvertibile. Come certo non é controvertibile che l'apprestamento di una simile disciplina - implicando una pluralità di scelte discrezionali nell'ambito di complessi normativi, la cui articolazione é di per sé dimostrativa della necessità di una serie di previsioni, anche di natura organizzativa - non rientra nei poteri di questa Corte. Non vi é posto, cioè, per quell'intervento additivo consentitole soltanto qualora sia rintracciabile nell'ordinamento una soluzione costituzionalmente obbligata (v., tra le tante, sentenze nn. 141, 234, 242, 294 del 1984, nn. 292, 350 del 1985 e n. 14 del 1986).

Ancora una volta, e proprio con particolare riguardo al settore delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, é giocoforza concludere che "non resta, quindi, altra alternativa che la declaratoria di inammissibilità: sicuramente inappagante per i quesiti che la giustizia propone con giustificata preoccupazione". Ma, ancora una volta, si impone l'ulteriore conclusione che "proprio per questo, però, la Corte non può esimersi dal richiamare l'attenzione del legislatore sull'ormai indifferibile esigenza di dare alla materia in esame una più adeguata normativa" (v. sentenza n. 350 del 1985). Si può, anzi, aggiungere che, fra le non poche carenze addebitabili al settore, quella della mancata regolamentazione delle sanzioni sostitutive per le pene militari brevi non é né la meno grave né la meno bisognosa di urgente soluzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli art. 53, 54, 55, 59, 77, 78, 79 e 84 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevate, in riferimento agli art. 3, 25, primo comma, e 27 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, dalla Corte militare di appello - Sezione distaccata di Verona, dal Tribunale militare di Torino e dal Tribunale militare di Padova, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1987.

 

Il Presidente: ANDRIOLI

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 23 luglio 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI