SENTENZA N. 278
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Virgilio ANDRIOLI , Presidente
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 (Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale) promossi con ordinanze emesse l'8 maggio e il 6 marzo 1984, l'11 marzo e il 12 marzo 1985 e il 14 febbraio 1986 dalla Corte di Cassazione (n. 9 ordinanze) iscritte ai nn. 1051, 1052 e 1053 del registro ordinanze 1984, ai nn. 492, 493, 494, 517 e 598 del registro ordinanze 1985, al n. 411 del registro ordinanze 1986 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ai nn. 42-bis e 293-bis dell'anno 1985 e ai nn. 5, 8 e 44 della prima serie speciale dell'anno 1986;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1987 il Giudice relatore Renato Dell'Andro;
Udito l'Avvocato dello Stato Giacomo Mataloni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con nove ordinanze emesse il 6 marzo 1984 (Reg. Ord. 1053/84), l'8 maggio 1984 (Reg. Ord. nn. 1051 e 1052/84), il 12 marzo 1985 (Reg. Ord. nn. 492, 493, 494, 517 e 598/85) ed il 14 febbraio 1986 (Reg. Ord. 411/86) la Corte di Cassazione ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, nella parte in cui non prevede la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale relativamente ai processi militari regolati dal codice penale militare di pace e dalla legge 7 maggio 1981, n. 180.
La Suprema Corte premette che nei casi di specie gli appelli degli imputati erano stati dichiarati inammissibili perché i motivi erano stati depositati oltre il termine, mentre, qualora fosse stata applicabile la sospensione dei termini nel periodo feriale di cui alla legge n. 742 del 1969, i depositi sarebbero stati tempestivi.
Quanto al merito, il giudice a quo ricorda innanzitutto che la sentenza di questa Corte n. 50 del 1976 dichiarò infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, nella parte in cui la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale é esclusa nei procedimenti penali militari, ritenendo che la differenza tra il procedimento penale ordinario e quello militare trovasse ragionevole giustificazione nelle peculiari caratteristiche del secondo, tendente a garantire esigenze della collettività attraverso la speciale composizione dei tribunali militari e la sollecitudine delle relative procedure, caratterizzate da particolari connotazioni quali l'esclusione del giudizio di appello e della costituzione di parte civile.
Sennonché é nel frattempo intervenuta la legge 7 maggio 1981, n. 180, la quale, nell'apportare modifiche all'ordinamento giudiziario militare, non solo ha istituito la Corte d'appello militare disponendo l'applicabilità delle norme del codice di procedura penale al giudizio d'appello, ma ha anche soppresso il Tribunale Supremo Militare prevedendo in sua sostituzione il ricorso in Cassazione secondo le norme del codice di procedura penale. E poiché anche in questi ricorsi la Cassazione mantiene il suo ruolo e la sua qualifica di giudice ordinario, ne consegue che ai ricorsi stessi é applicabile la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale ai sensi della legge n. 742 del 1969.
Pertanto, conclude la Corte di Cassazione, anche a prescindere dal globale indirizzo attenuativo (rispetto ai principii generali informativi della giurisdizione militare) introdotto dalla legge n. 180 del 1981, se si considera nel suo interno l'iter del procedimento penale militare, sottoposto prima ad un organo di giurisdizione speciale e poi ad un giudice ordinario, appare dubbia la ragionevolezza di un diverso trattamento (rispetto all'imputato sottoposto a giurisdizione ordinaria) che nella fase del merito non consenta la sospensione dei termini feriali ed invece l'ammetta nella fase di legittimità, senza una plausibile giustificazione di tale disparità interna allo stesso processo.
Tutte le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la pronuncia di una sentenza interpretativa di rigetto.
Osserva preliminarmente l'Avvocatura che la legge 7 maggio 1981, n. 180 dispone (art. 3/7) che il giudizio d'appello é regolato dalle norme del codice di procedura penale, in modo che, ai fini del termine per il deposito dei motivi, il riferimento implicito all'art. 201 cod. proc. pen. deve essere inteso come fatto al combinato disposto di detto art. 201 e della legge 7 ottobre 1969, n. 742, non potendosi applicare l'esclusione prevista dall'art. 1 della medesima legge 742 per le giurisdizioni speciali. Pertanto, i casi di specie, poiché concernevano termini relativi a giudizi d'appello e poiché in questi giudizi devono applicarsi tutte le norme processuali ordinarie, ben potevano essere risolti applicando la legge n. 742 del 1969. Posto infatti che l'art. 511 cod. proc. pen. trovava certamente applicazione nel giudizio innanzi alla Corte militare d'appello, esso era da applicare integrato con le norme della legge n. 742, dovendosi, in virtù del citato art. 3/7 della legge 180 del 1981, non ritenere operante nel giudizio di secondo grado l'esclusione di cui all'art. 1 della stessa legge n. 742. D'altra parte é dubitabile che l'art. 2 della legge n. 742, con la generica espressione "in materia penale", non abbia inteso ricomprendere i giudizi che si svolgono dinanzi ai Tribunali militari.
Ma in via ancor più generale, prosegue l'Avvocatura, l'orientamento del legislatore, inteso ad accostare quanto più possibile il rito militare a quello ordinario, induce a ritenere che nell'espressione "giurisdizioni ordinarie" di cui all'art. 1 della legge n. 742 possa al giorno d'oggi essere ricompresa, ai fini di cui trattasi, anche la giurisdizione militare di pace, applicandosi nel secondo grado e in quello di legittimità le norme ordinarie processuali (legge n. 180 del 1981, artt. 3/7 e 6) e dovendosi in via generale applicare tali norme anche nel giudizio di primo grado ove non espressamente derogate (art. 261 cod. pen. mil. pace).
Considerato in diritto
1. - In ordine all'applicabilità dell'art. 1 della legge n. 742 del 1969 alla giurisdizione militare, le ordinanze di rimessione e l'Avvocatura generale dello Stato concordano su una premessa e, sostanzialmente, nelle conclusioni. La premessa attiene alla determinazione di due distinte fasi, dall'avvento della Costituzione al 1981 e dal 1981 in poi. In relazione alla prima, mentre l'Avvocatura implicitamente suppone la non applicabilità del precitato art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, alla giurisdizione penale militare in tempo di pace, le ordinanze di rimessione, richiamando la sentenza di questa Corte n. 50 del 1976, esplicitamente ammettono l'estraneità della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale ai giudizi penali militari. In relazione alla seconda fase, invece, sia la Corte di Cassazione sia l'Avvocatura sono sostanzialmente favorevoli all'applicabilità della sospensione feriale dei termini processuali alla giurisdizione militare, anche se l'Avvocatura é dell'avviso che vi si debba pervenire attraverso un procedimento esclusivamente interpretativo mentre le ordinanze di rimessione ritengono che sia necessaria la parziale dichiarazione d'incostituzionalità della norma impugnata.
La premessa alla quale ora si é accennato (la netta distinzione tra il regime vigente fino alla legge di modifica dell'ordinamento giudiziario militare di pace del 7 maggio 1981, n. 180 ed il regime da ritenere vigente dopo la stessa legge) e, in conseguenza, le predette conclusioni vanno accolte: la strada da perseguire per giungere a queste ultime non può tuttavia esser quella esclusivamente interpretativa, come proposto dall'Avvocatura ma, in accoglimento delle richieste delle ordinanze di rimessione, la parziale dichiarazione d'incostituzionalità della norma impugnata.
2. - Poiché l'art. 1 della legge n. 742 del 1969, letteralmente, prescrive la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale nei giudizi promossi innanzi alle giurisdizioni "ordinarie" ed "amministrative", si deve qui accennare a due questioni, solo nella consapevolezza delle quali é dato intraprendere l'esame delle richieste contenute nelle ordinanze di rimessione.
La prima: la distinzione tra giurisdizioni "ordinarie" e "speciali" non trova fondamento in esplicite determinazioni di diritto positivo; essa é delineata dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla base di note certamente desunte dal diritto positivo ma "scelte" dall'interprete in funzione di orientamenti non positivamente rigorosi né controllabili attraverso espresse dichiarazioni della Costituzione o del legislatore ordinario. E non é consentito servirsi di schemi dommatici predeterminati per interpretare positive disposizioni di legge (quale la norma impugnata): l'inversione metodologica sarebbe fin troppo evidente. Qual é, infatti, la nozione di "giurisdizione ordinaria" e, correlativamente, quella di "giurisdizione speciale" alla quale ha fatto riferimento il legislatore del 1969 allorché ha disposto la sospensione dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed amministrative?
La seconda questione attiene alla storia della nozione di "giurisdizione speciale", prima e dopo la Costituzione. É stato già sottolineato da questa Corte, con la sentenza n. 76 del 1961, che il criterio discretivo tra "giurisdizione ordinaria" (in particolare "sezioni specializzate" della giurisdizione ordinaria) e "giurisdizioni speciali", già in passato d'ardua determinazione, é divenuto, in seguito all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, "ancora più incerto", avendo questa esteso alle giurisdizioni speciali preesistenti alcuni dei caratteri che si consideravano propri di quella ordinaria. Prima dell'avvento della Costituzione, infatti, mancando indicazioni precise in ordine agli elementi essenziali del concetto generale di "giurisdizione" (elementi senza dei quali, ovviamente, non si configurano "giurisdizioni speciali") gli organi "giudicanti" sprovvisti dei requisiti, che, di volta in volta, dottrina e giurisprudenza assegnavano alla "giurisdizione ordinaria", venivano compresi nella "giurisdizione speciale". La Costituzione repubblicana (che non poteva guardare con favore alle "giurisdizioni speciali", appunto perché spesso carenti dei requisiti che dottrina e giurisprudenza precedenti erroneamente ritenevano essenziali alla "giurisdizione ordinaria" ma che, invece, costituivano elementi caratterizzanti lo stesso generale concetto "costituzionale" di giurisdizione) nell'estendere (anche) alle giurisdizioni speciali qualificazioni che prima venivano considerate proprie della sola "giurisdizione ordinaria", ha aggravato l'incertezza della distinzione tra "giurisdizione ordinaria" e "giurisdizioni speciali". Sicché, già nel 1969 era davvero arduo determinare se e fino a che punto taluni organi, già in precedenza definiti di giurisdizione "speciale", potessero considerarsi conformi a Costituzione ed insieme, ancora, di giurisdizione "speciale". Man mano che alcuni organi di giurisdizione speciale si conformavano alla Costituzione venivano a perdere almeno alcuni dei caratteri che avevano determinato la loro inclusione tra gli organi di giurisdizione speciale.
In relazione alla giurisdizione militare si é, poi, verificato un particolare fenomeno: mentre per il periodo successivo all'entrata in vigore della Costituzione ed anteriore al 1981 pochi sono stati i dubbi sollevati contro la sua classificazione tra le "giurisdizioni speciali", con l'emanazione della legge di modifica dell'ordinamento giudiziario militare del 7 maggio 1981, n. 180, eliminate molte delle "anomalie" che erano state causa principale della sua riconduzione al novero delle "giurisdizioni speciali", non soltanto sono stati sollevati molti ed approfonditi dubbi sulla "specialità" della giurisdizione penale militare di pace ma, prendendosi spunto da quest'ultima, come modificata dalla precitata legge del 1981, ci si é domandato, riflettendo sulla "generale" distinzione tra giurisdizione ordinaria e speciale, se e fino a che punto tale distinzione abbia, oggi, effettiva rilevanza.
3. - Le riserve metodologiche ora manifestate già, per sé stesse, sconsiglierebbero di valersi delle nozioni di "giurisdizione ordinaria" e di "giurisdizione speciale", allo scopo di risolvere interpretativamente (come suggerito dall'Avvocatura generale) la questione dell'estensione anche ai giudizi penali militari della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.
Tuttavia, pur ribadendo ancora una volta le precitate riserve, poiché l'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, sospende i predetti termini in relazione alle "giurisdizioni ordinarie" (oltre che a quelle amministrative) ove si riuscisse a dimostrare, in maniera sicura, anche attraverso un'interpretazione evolutiva, la riconducibilità dei giudizi militari in tempo di pace allo "schema" della "giurisdizione ordinaria", la risoluzione in via interpretativa della questione sollevata dalle ordinanze di rimessione si renderebbe possibile.
Sennonché, un'attenta considerazione delle nozioni di giurisdizione "ordinaria" e "speciale" esclude che i giudizi penali militari in tempo di pace possano essere ricondotti, neppure con un'approssimazione vicino alla certezza, alla nozione di giurisdizione "ordinaria".
Per quanto non poche incertezze regnino in materia, si può ritenere che due siano i requisiti caratterizzanti la "giurisdizione ordinaria: la riconduzione del giudice alla "magistratura ordinaria" (aspetto subiettivo) e l'inquadramento del giudizio in quello predisposto per il "giudice ordinario" (aspetto obiettivo). Una parte della dottrina e della giurisprudenza é, peraltro, dell'avviso che il solo predetto primo requisito sia sufficiente a considerare un giudice come "ordinario".
Ma, appunto, a causa del primo requisito, non é dato ricondurre la giurisdizione militare in tempo di pace alla giurisdizione "ordinaria", neppure dopo l'emanazione della legge 7 maggio 1981, n. 180. É, intanto, prevista in quest'ultima legge, di modifica dell'ordinamento giudiziario militare di pace (e, pertanto, questo ordinamento é disciplinato da autonomo sistema legislativo, anche se, ai sensi dell'art. 1, secondo comma, lo stato giuridico, le garanzie d'indipendenza e l'avanzamento dei magistrati militari sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari "in quanto applicabili") un'autonoma organizzazione per i magistrati militari. Il fatto stesso che sia stato legislativamente previsto un apposito organo di autogoverno della magistratura militare (art. 15, primo comma, della legge n. 180 del 1981); che, in virtù dell'art. 7 della stessa legge, sia stato disposto che i poteri di sorveglianza sui magistrati militari, con funzioni giudicanti, siano esercitati dal presidente della corte militare d'appello; che siano stati istituiti autonomi uffici del pubblico ministero presso la Corte di Cassazione, la corte militare d'appello e sezioni distaccate di quest'ultima) nonché presso i tribunali militari (art. 5 della precitata legge); che il procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione eserciti la sorveglianza su tutti i magistrati militari del pubblico ministero ecc.; dimostra la piena autonomia dell'organizzazione dei magistrati militari. Certo, l'ordinamento giudiziario di questi ultimi é, dalla legge n. 180 del 1981, determinato sulla falsariga dell'ordinamento dei magistrati ordinari ma nessun dubbio può cadere sulla diversità ed autonomia dei primi dai magistrati ordinari e dal consiglio superiore proprio degli stessi magistrati.
E che, dal punto di vista degli organi giudicanti (aspetto subiettivo) non sia possibile ricondurre i giudici militari alla "giurisdizione ordinaria" é ulteriormente dimostrato dal fatto che anche chi maggiormente avvicina la giurisdizione militare a quella ordinaria, tuttavia aggiunge che non si possa, adottando i tradizionali criteri, affermare la natura di giurisdizione ordinaria tout court della giustizia militare e propone, adottando la distinzione tra "natura dell'organo" e "caratteri della funzione" di considerare la giurisdizione militare in tempo di pace compimento di attività giurisdizionale ordinaria esercitata, per la maggior parte, da organi speciali.
Sennonché, anche l'esame dell'aspetto oggettivo del problema conferma le conclusioni raggiunte in ordine all'aspetto subiettivo. Anche a prescindere dall'esistenza d'un autonomo diritto penale militare sostanziale, lo schema del procedimento penale militare in tempo di pace rimane diverso rispetto a quello ordinario. La legge n. 180 del 1981 ha, é vero, eliminato la disparità relativa alla mancanza del procedimento d'appello. Ma, da un canto, la corte militare d'appello, oltre a mancare della sezione istruttoria, é unica, con sede a Roma (con due sezioni distaccate a Verona e Napoli) e dall'altro canto, se é vero che, ai sensi dell'art. 3, settimo comma, della legge ora citata, "il giudizio d'appello é regolato dalle norme del codice di procedura penale", é altresì vero che, essendo dall'art. 519 c.p.p. richiamate le norme relative al giudizio di primo grado, rimane almeno dubbio che tale rinvio valga per le sole norme del codice di procedura comune e non anche per le norme "speciali" che caratterizzano il giudizio di primo grado davanti agli organi militari: la giurisprudenza, fra l'altro, sembra a favore della seconda soluzione.
Ed in tema di procedimento militare di primo grado numerose norme (ad esempio in tema di libertà personale, di scelta del rito, di chiusura dell'istruzione formale ecc.) non risultano abrogate dalla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario militare. Il principio di "complementarità" ex art. 261 c.p.m.p. ("Salvo che la legge disponga diversamente, le disposizioni del codice di procedura penale si osservano anche per i procedimenti davanti ai tribunali militari") deve ritenersi tuttora vigente per i procedimenti militari di primo grado. Or é ben vero che sono fondate più sulla natura del reato e del reo "militare" (rispetto al reato ed al reo "comune") che non sulla natura della procedura "militare", in rapporto alla procedura "comune", ad esempio la diversità dei parametri di riferimento per l'obbligatorietà o la facoltatività del mandato od ordine di cattura (artt. 331 e 314 c.p.m.p. in rapporto agli artt. 253 e 254 c.p.p.): ma tutto ciò non fa che dimostrare come la diversità del codice sostanziale non può non riverberarsi sulla "specialità" del procedimento militare rispetto al procedimento svolgentensi dinanzi alla magistratura ordinaria.
Né l'avere la legge n. 180 del 1981, all'art. 6, colmato la lacuna, per i giudizi militari, derivante dalla mancanza del giudizio di legittimità ("Contro i provvedimenti dei giudici militari é ammesso ricorso per cassazione, secondo le norme del codice di procedura penale") vale a qualificare come "ordinaria" la giurisdizione militare. A parte il rilievo per il quale la Corte di Cassazione giudica sui provvedimenti dei giudici militari con l'intervento del pubblico ministero militare e non del pubblico ministero "ordinario", vale ricordare che l'art. 6, ora riportato, della legge n. 180 del 1981 é attuativo dell'art. 111 Cost.: conseguentemente, o non esistono più "giudici speciali" (ma lo stesso art. 111 Cost. letteralmente recita "Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, é sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge) oppure l'avere la Costituzione posto la Corte di Cassazione al vertice decisionale anche delle giurisdizioni speciali non muta il carattere, appunto "speciale", di queste ultime.
Vero é che esistono principi e valori, costituzionalmente vincolanti, che attengono a tutte le giurisdizioni: ad esempio, il principio dell'indipendenza dei giudici vale per tutte le giurisdizioni, ordinarie e speciali (per queste ultime cfr. l'art. 108, secondo comma, Cost.). Se la giurisdizione speciale venisse ritenuta tale per carente attuazione di alcuni di tali principi e valori, si verserebbe certamente in errore, dopo l'entrata in vigore della Costituzione. Tali principi non attengono alla giurisdizione ordinaria ma al concetto stesso "generale" di giurisdizione: sicché, organi o procedimenti disciplinati in violazione dei predetti principi non possono qualificarsi né "ordinari" né "speciali" in quanto, ancor prima, non costituiscono organi o procedimenti "giurisdizionali". Conseguentemente, prevedere il superamento delle lacune (eventualmente esistenti prima dell'entrata in vigore della Costituzione) relative alla violazione dei principi in discussione, non equivale a rendere "ordinaria" una magistratura "speciale" bensì a rendere "costituzionale" la medesima. Non v'é dubbio, peraltro, che, quando si ritenga che prima della Costituzione si sia fatto ricorso alla formula giurisdizione "speciale" solo nelle ipotesi di violazione dei predetti principi e valori, si dovrebbero coerentemente ritenere illegittime, appunto con l'entrata in vigore della Costituzione, tutte le magistrature "speciali".
Comunque, la legge n. 180 del 1981, nel provvedere alla piena attuazione, anche per gli organi giudiziari militari, di norme e principi costituzionali non ha, per ciò solo, reso "ordinaria" la giurisdizione "speciale" dei giudici militari. Resta, pertanto, ancora da precisare se e fino a che punto le singole "giurisdizioni speciali", già esistenti prima dell'entrata in vigore della Costituzione, esistano e possano continuare a qualificarsi tali e, conseguentemente, ove le si ammetta, quale nuova dimensione la formula "giurisdizione speciale" abbia acquistato dopo la Costituzione.
In carenza di adeguati studi in proposito e di valide proposte giurisprudenziali (pur auspicandosi nuove letture contenutistiche del testo costituzionale in materia) non si può, allo stato, concludere nel senso della riconduzione della giurisdizione militare in tempo di pace alla "giurisdizione ordinaria".
Da ciò discende che non é consentito risolvere il quesito posto dalle ordinanze di rimessione interpretativamente, attraverso il ricorso alla formula "giurisdizione ordinaria; l'evoluzione, a seguito della legge n. 180 del 1981, dei giudizi penali militari in tempo di pace non é tale da far qualificare la "giustizia" militare come giurisdizione "ordinaria" tout court. La legge n. 742 del 1969, limita la sospensione feriale dei termini alle giurisdizioni ordinarie ed amministrative: ed ancor oggi, benché sia intervenuta la legge n. 180 del 1981, non é dato ritenere, attraverso un'interpretazione evolutiva, inclusi i giudizi militari nella "giurisdizione ordinaria".
4. - E neppure é dato far riferimento ad un "diritto vivente" che, applicando, in concreto, la sospensione feriale dei termini processuali anche ai giudizi proposti dinanzi alla magistratura militare, consenta di risolvere interpretativamente il quesito sollevato dalle ordinanze di rimessione.
Un "diritto vivente", nel senso ora precisato, non esiste. Anzi, prima della riforma dell'ordinamento giudiziario militare del 1981, ben pochi dubbi sussistevano sull'inapplicabilità al processo penale militare della sospensione feriale dei termini processuali di cui all'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742.
La sentenza di questa Corte n. 50 del 1976, invero, non fonda la suddetta inapplicabilità soltanto sulle "particolarità" del processo penale militare, quali, ad esempio, la speciale composizione dei tribunali militari o la particolare "sollecitudine" delle procedure evidenziate, ad esempio, dall'esclusione della possibilità di costituzione di parte civile e dalla mancanza, prima del 1981, del giudizio d'appello. Se così fosse, non potrebbe esser taciuto che, come é stato rilevato in dottrina, é davvero da dubitare che una palese violazione di principi costituzionalmente vincolanti possa servire a giustificare la costituzionalità d'una disciplina, quale quella della sospensione feriale dei termini processuali, che tratta del tutto diversamente situazioni indubbiamente omogenee. La sentenza di questa Corte n. 50 del 1976 fonda la "razionalità" dell'inapplicabilità ai giudizi militari della sospensione feriale dei termini processuali su ben altre basi; e cioè sull'oggetto garantito dalla legge processuale penale militare: l'ordine giuridico militare, "uno dei dati salienti della funzionalità delle Forze armate, strumento d'attuazione del principio proclamato con forza tutta particolare dall'art. 52 Cost. ..." "E la portata di tale principio non si limita alla conservazione dell'organismo militare come tale, bensì si estende alla garanzia dell'intera comunità statuale dalle offese che, comunque, possano esserle arrecate". Ed appare "non irrazionale", alla sentenza in discussione, subordinare lo scopo del riposo feriale al ben più importante oggetto tutelato dal processo penale militare. Se mai, alcune "peculiarità" di quest'ultimo vengono, dalla più volte citata sentenza, esemplificativamente indicate quali prove della "superiorità", rispetto allo scopo della tutela del riposo feriale, dell'oggetto garantito dall'intero processo penale militare.
Sulla base di queste considerazioni, soltanto se lo ius superveniens (la legge di modifica dell'ordinamento giudiziario militare del 1981) eliminando le "particolarità" del processo penale militare indicate dalla predetta sentenza avesse anche mutato l'oggetto dello stesso processo (ciò dovrebbe essere eventualmente evidenziato da altri indici) e si potesse ritenere tale "nuovo" oggetto bene equivalente od "inferiore" al bene del riposo feriale, sarebbe dato rinvenire una razionalità (od una non manifesta irrazionalità) nell'inapplicazione ai giudizi militari della sospensione feriale dei termini processuali.
Non in quanto abolitiva di molte "peculiarità" del processo penale militare la legge n. 180 del 1981 può, dunque, ritenersi, ex se, modificativa della situazione preesistente relativa al riposo feriale nei giudizi penali militari.
Ed infatti, dopo l'entrata in vigore della legge da ultimo citata, non solo non si riscontra il costituirsi, per il tema che ci occupa, d'un uniforme "diritto vivente" ma si manifestano, in materia, le più gravi incertezze giurisprudenziali e dottrinali. Da una parte la Corte di Cassazione ha, ancora nel 1984, statuito che non sono sospendibili i termini previsti dall'art. 201 c.p.p., neppure per il ricorso per cassazione ed ha, nello stesso giorno ed anno (Cass.; sezione prima, 10 gennaio 1984) ribadito che, anche dopo l'emanazione della legge n. 180 del 1981, sono rimaste inalterate le particolari connotazioni della giurisdizione militare che non consentono la sospensione dei termini processuali in periodo feriale; dall'altra parte le ordinanze di rinvio, tutte emesse dalla stessa Corte di Cassazione, nel 1984, nel 1985 e nel 1986, sollevano questione di costituzionalità dell'art. 1 della legge n. 742 del 1969 assumendo, che, proprio a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 180 del 1981, essendo mutate alcune rilevanti caratteristiche del processo militare di pace, i termini processuali dovrebbero essere sospesi, in periodo feriale, anche per il medesimo. E, in netto contrasto con le ordinanze di rinvio, due sentenze della stessa Corte di Cassazione del 1986, dopo aver sottolineato che il "rinvio", di cui all'art. 3 della legge 7 maggio 1981 n. 180, al codice di procedura penale, fa sì che l'art. 1 della legge n. 742 del 1969, integrando il predetto codice, sia da considerarsi recepito dall'ordinamento militare di pace, concludono nel senso che, dovendo provvedersi all'applicazione "diretta" (e "non analogica") della sospensione dei termini processuali anche ai giudizi militari in tempo di pace, sia del tutto inutile "un ulteriore intervento della Corte Costituzionale".
In considerazione di quanto ora rilevato non può, certo, ritenersi costituito in materia un uniforme "diritto vivente", anche se le due ultime sentenze citate sono, sia pur di poco, posteriori all'ultima (14 febbraio 1986) ordinanza di rimessione.
5. - In tanta incertezza giurisprudenziale e dottrinale non resta che valutare (prescindendo, per un momento, dalle classificazioni "generali" nelle quali possono essere inquadrati i vari momenti del processo penale militare in tempo di pace) se l'inapplicabilità a quest'ultimo della sospensione feriale dei termini processuali (inapplicabilità risultante dalla "lettera" dell'art. 1 della legge n. 742 del 1969) violi l'art. 3 Cost., primo comma, nei procedimenti svolgentisi innanzi ai giudici militari rispetto ai giudizi intentati innanzi alla magistratura ordinaria.
Va, anzitutto, rilevato che, se é vero che la "specialità" del diritto penale militare sostanziale finisce spesso con il riflettersi su almeno alcune delle norme regolanti il processo penale militare, é anche vero che detta "specialità" non può legittimare ogni e qualsiasi violazione della par condicio delle parti, rispettivamente nel processo penale militare ed in quello ordinario. E tanto meno la "supposta" specialità della giurisdizione militare può legittimare ingiustificate violazioni della stessa par condicio.
É senza dubbio vero che il "riposo feriale" costituisce un bene che non può esser tutelato in modo incondizionato. Tutti i beni giuridicamente garantiti devono "cedere" nei confronti di altri che assumono posizione "prioritaria" nella gerarchia dei beni tutelati: ed esiste una gerarchia tra i valori costituzionalmente garantiti, allo stesso modo come esiste una gerarchia tra i beni garantiti in via ordinaria. Ma, allorché il legislatore garantisce il "riposo feriale" estendendolo, in via generale (art. 1, primo comma, della legge n. 742 del 1969) a tutte le giurisdizioni ordinarie ed amministrative (queste ultime anche se ritenute "speciali") perché non si violi l'art. 3, primo comma, Cost. sono le eccezioni a tale principio (cfr. artt. 2 e 3 della stessa legge) che vanno "razionalmente" giustificate; e non può l'eventuale legittimità delle singole, previste eccezioni valere a giustificarne altre, specie se vaste quanto quella relativa al processo penale militare. É, dunque, per questa "eccezione", relativa a quest'ultimo processo, che va ricercata una "particolare" giustificazione, non potendosi ritenere legittimata la medesima dal rilievo che il principio del "riposo feriale" non é incondizionalmente garantito ma subisce, nella disciplina legislativa, alcune, che si suppongono giustificate, eccezioni, del tutto diverse da quella per la quale va, invece, singolarmente ritrovata la razionale giustificazione.
Vero é che l'inestensibilità della sospensione feriale dei termini processuali al processo penale militare in tempo di pace non trova razionale giustificazione.
Può anche lasciarsi da parte, almeno per un momento, il quesito intorno al regime della predetta sospensione, relativa sempre ai processi penali militari, per il periodo anteriore alla legge 7 maggio 1981, n. 180. Dopo questa data, tuttavia, dubbi non possono esistere sull'irrazionalità dell'inestensibilità della predetta sospensione ai processi penali militari.
Per dimostrare ciò vale ricordare che la giurisdizione militare é nata da una particolare ideologia: la concezione "istituzionalistica" dell'ordinamento militare. La "giustizia dei capi" era fondata sulla diversità ed autonomia dell'ordinamento militare rispetto all'ordinamento statuale. Non poteva il "capo militare" ricorrere alla giurisdizione dello Stato: questa da una parte avrebbe avuto il significato di un'indebita interferenza in un "ordine" del tutto diverso (con conseguente discredito dei "capi militari", specie nell'ipotesi di divergenze "interpretative" tra questi ultimi ed i giudici dello Stato) e dall'altra parte non sarebbe mai riuscita a cogliere l'esatto significato delle violazioni dell'"ordine militare", significato che, per la concezione "istituzionalistica" dell'ordinamento militare, é dato "comprendere" solo a chi vive nel sistema socio-giuridico dello stesso "ordine".
La Costituzione repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell'ordinamento militare e, ricondotto anche quest'ultimo nell'ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini, militari oppure no, definitivamente impedisce che la giurisdizione penale militare si consideri ancora come "continuazione" della "giustizia disciplinare" dei capi militari, tesa a garantire e rafforzare l'ordine e la gerarchia militare contro le violazioni "più gravi".
Già, dunque, dall'avvento della Costituzione repubblicana il diritto penale militare di pace, sostanziale e processuale, non solo non può più ritenersi "avulso" dal sistema generale garantistico dello Stato ma non va più esaltato come posto a tutela di beni e valori di tale particolare importanza da superare, nella gerarchia dei valori garantiti, "tutti" gli altri. Non soltanto fatti costituenti illeciti penali militari ma tutti gli illeciti penali offendono, prima che i singoli e diversi beni (oggetto giuridico specifico) l'intera comunità statuale. Gli oggetti specificamente tutelati dal diritto penale sostanziale militare di pace e, pertanto, gli oggetti a garanzia dei quali é prevista la procedura penale militare di pace, non possono, per sé stessi, in ogni caso, esser considerati "superiori" e "più importanti" di tutti gli altri beni costituzionalmente od ordinariamente tutelati. Si tratta, invece, di stabilire, di volta in volta, come nella specie, se un principio "generale" quale quello del "riposo feriale" trovi insuperabile ostacolo negli oggetti, generico e specifico, particolarmente tutelati dal diritto penale militare di pace. Ed anche prima del maggio 1981, per le ragioni innanzi indicate, non sembra che tale "ostacolo" sia insuperabile.
Tuttavia, prima del maggio 1981, l'inapplicabilità dell'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, alla giurisdizione penale militare traeva motivo dalla mancata modifica della procedura penale militare in tempo di pace. Con la legge 7 maggio 1981, n. 180, sono state, invece, eliminate tutte le "particolarità" dei processi penali militari che potevano indurre a ritenere "prevalente" sul "riposo feriale" la particolare "celerità" e "speditezza" dei predetti processi. Oltre alle numerose altre modifiche di cui alla citata legge, va sottolineato che l'istituzione del grado d'appello e del ricorso per cassazione, secondo le norme del codice di procedura penale, nonché la previsione della presidenza tecnica nei collegi di merito e, soprattutto, del "difensore tecnico", non lasciano spazio per ravvisare, oggi, razionale giustificazione dell'inapplicabilità della sospensione feriale dei termini ai processi penali militari in tempo di pace. Va, in specie, sottolineata la "scomparsa" del difensore "non professionista" che, oggi, renderebbe particolarmente difficile, se non impossibile, trovare all'imputato "militare" un professionista "disponibile" alla difesa nei periodi feriali. E ciò con evidente violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., a danno del "militare", nei confronti delle parti private nei giudizi ordinari ed amministrativi.
Né può esser taciuto che (considerando nel suo interno iter il procedimento militare, sottoposto, come si esprimono le ordinanze di rinvio, prima ad organi di giurisdizione speciale e poi ad un giudice ordinario) qualora si ritenesse, come assunto dalle stesse ordinanze, che mentre la fase di merito non consenta la sospensione prevista dall'art. 1 della legge n. 742 del 1969, la predetta sospensione sia, invece, ammessa nella fase di legittimità, verrebbe a realizzarsi altra ingiustificata disparità di trattamento, interna allo stesso processo.
Né si riuscirebbe mai a "comprendere" perché, nello stesso giudizio, esigenze di speditezza riescano a prevalere nella fase di merito e non nella fase di legittimità: se é vero che il processo, pur passando da una fase, da uno stato o grado ad altri, é indissolubilmente unitario e che i vari organi chiamati, in successione temporale, a parteciparvi vanno inquadrati in un sistema unitario, non é in alcun modo razionalmente giustificabile, tenuto conto dello "scopo" unitario dello stesso processo, ritenere che nelle prime fasi sia necessario accelerare al massimo l'iter processuale, a differenza dell'ultima, nella quale, invece, le esigenze di celerità non vengono più avvertite.
Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, nella parte in cui non prevede la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale relativamente ai processi militari in tempo di pace.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., dell'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, nella parte in cui non prevede la sospensione dei termini processuali, nel periodo feriale, relativamente ai processi militari in tempo di pace.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1987.
Il Presidente: ANDRIOLI
Il Redattore: DELL'ANDRO
Depositata in cancelleria il 23 luglio 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI