Sentenza n.193 del 1987

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SENTENZA N. 193

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 68 legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), e dell'art. 273 del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 2 luglio 1985 dal tribunale per i minorenni di Bologna nel procedimento civile vertente tra Bigi Silvana e Giadresco Lenelio, iscritta al n. 716 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

2) ordinanza emessa il 23 giugno 1986 dal tribunale per i minorenni di Torino nel procedimento civile vertente tra Bencich Daniela e Pasté Gianfranco, iscritta al n. 682 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57, 1a serie speciale, dell'anno 1986;

Visti l'atto di costituzione di Giadresco Lenelio, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1987 il giudice relatore Giovanni Conso;

Uditi l'avv. Mario Guttieres per Giadresco Lenelio e l'avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il tribunale per i minorenni di Bologna, dovendo decidere sull'ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale, proposta da Bigi Silvana nei confronti di Giadresco Lenelio, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 102 della Costituzione, l'eccezione di legittimità costituzionale - sollevata dal convenuto con parere favorevole del pubblico ministero - dell'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n.184, nella parte in cui, sostituendo l'art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, ha disposto che tale azione " nel caso di minori" rientri nella competenza del tribunale per i minorenni. Pertanto, sospeso il processo, gli atti sono stati rimessi alla Corte costituzionale con ordinanza emessa il 2 luglio 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.8, 1a serie speciale, del 26 febbraio 1986.

Premesso che la rilevanza della questione sarebbe evidente, posto che l'eventuale sentenza di accoglimento farebbe venir meno la competenza del giudice a quo a decidere nel merito, la sua non manifesta infondatezza in riferimento all'art. 3 Cost. sarebbe ravvisabile nella non giustificabile né ragionevole sottrazione della competenza sull'azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale al giudice ordinario "nel caso di minori".

Ad avviso del giudice a quo, l'accertamento della procreazione sarebbe attinente ad un fatto biologico storico ed oggettivo, e, come tale, da compiere secondo una identica deontologia giurisdizionale, quale che sia l'età del procreato e senza che possano aver qualche influenza le sue condizioni od esigenze psicologiche.

La previsione di un diverso giudice a seconda dell'età del generato si risolverebbe in una disparità di trattamento fra i soggetti nei confronti dei quali si procede. Quanto alla violazione dell'art. 102 della Costituzione, si osserva che la disposizione censurata, non trovando giustificazione nell'esigenza di riservare la competenza in questione ad un organo specializzato in relazione alle sue specifiche attitudini a conoscere di rapporti contraddistinti dalla peculiarità del soggetto coinvolto, si risolverebbe nella creazione di un giudice speciale.

Ove, poi, si dovesse ammettere che la scelta del legislatore in favore del giudice minorile sia dovuta alla sua maggiore sensibilità ed attenzione per i problemi del minore, potrebbe sorgere il dubbio che l'attribuzione di competenza sia finalizzata ad una pronuncia più favorevole al minore, con evidente violazione del principio di eguaglianza.

Si afferma anche che il criticato mutamento di competenza non potrebbe giustificarsi in vista dei provvedimenti da emettere, a norma dell'art. 277, secondo comma, del codice civile, nell'interesse dei figli, perché anche il giudice non minorile é abilitato ad adottarli, ad esempio nel caso di separazione personale dei coniugi (art. 155 del codice civile).

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si é costituito il convenuto, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Gutierres, con atto depositato in data 17 aprile 1986, sostenendo ed illustrando le censure di costituzionalità proposte dal giudice a quo.

Le ragioni della ingiustificata disparità di trattamento vengono individuate: a) nell'attribuzione della competenza in materia di azione dichiarativa di uno status personae ad un giudice diverso - il tribunale per i minorenni - da quello ordinariamente competente per i giudizi in tale materia; b) nella diversità della disciplina processuale quanto al giudice competente, a seconda che si tratti di minorenne o di maggiorenne, diversità non riconducibile a possibili effetti, nella specie inesistenti, della pronuncia, sulle condizioni di vita del soggetto coinvolto; c) nella discriminazione tra figli legittimi e figli naturali, in quanto le questioni di stato relative ai primi rimangono nella competenza del giudice ordinariamente competente, con più ampie garanzie difensive, mentre quelle coinvolgenti i secondi sono deferite ad un giudice specializzato, nonostante che la decisione non richieda attitudini speciali; d) nella meno efficace tutela del diritto di difesa offerta dal procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni rispetto a quello previsto dinanzi ai giudici ordinariamente competenti.

In relazione al possibile contrasto della norma "impugnata" con l'art. 102 della Costituzione, il convenuto ha ribadito le argomentazioni proposte dal giudice a quo, affermando che la determinazione della sussistenza di un rapporto di filiazione ha carattere obbiettivo e, quindi, non può essere in alcun modo influenzata dalla considerazione di speciali esigenze sociali o psicologiche del minore. Pertanto, non si giustificherebbe sotto alcun profilo la devoluzione della materia "in caso di minori" ad un giudice diverso da quello che l'ordinamento assegna in via generale.

3. - Anche il Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituito in giudizio tramite l'Avvocatura generale dello Stato, con atto d'intervento depositato il 18 marzo 1986, per sostenere l'infondatezza della proposta questione.

Richiamato l'indirizzo seguito dal legislatore, condiviso anche di recente dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 1983, in materia di minori coimputati con adulti, ed ispirato al principio della competenza del giudice minorile in tutte le materie afferenti i minori, l'Avvocatura osserva che é, bensì, vero che l'accertamento della procreazione ha e deve avere carattere obiettivo, essendo basato su un fatto storico, ma i suoi effetti sarebbero diversi a seconda che il procreato sia maggiorenne ovvero minorenne. In quest'ultimo caso, infatti, la sentenza, che ha gli stessi effetti del riconoscimento, fa sorgere la potestà parentale in capo ai soggetti dichiarati genitori.

Può darsi allora che debbano essere adottati provvedimenti a tutela del figlio, come prevede lo stesso art. 277, secondo comma, del codice civile, specie se, come non é improbabile, la persona dichiarata contro la sua volontà genitore non é la più adatta a prendersi cura del figlio. Ne conseguirebbe la piena logicità e coerenza della "novella" del 1983, con la quale si é aggiunta alle altre ipotesi di esclusione della competenza del giudice generale anche l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità "in caso di minori".

L'Avvocatura si sofferma, poi, sull'art. 155 del codice civile, richiamato nell'ordinanza di rimessione per sostenere che il tribunale ordinario é per legge competente ad adottare, nel caso di separazione personale dei coniugi, i provvedimenti necessari ai figli anche minori. Va tenuto presente che la materia della separazione appartiene in via generale al tribunale ordinario, mentre la disciplina del riconoscimento e dell'insorgente potestà dei genitori é attribuita in via generale al giudice minorile, quando si tratti di minori. Onde non può ravvisarsi alcuna violazione del divieto di istituire giudici speciali.

4. - In analogo procedimento intentato da Bencich Daniela nei confronti di Pasté Gianfranco il tribunale per i minorenni di Torino, vista l'eccezione sollevata dal convenuto e dal pubblico ministero, ha rimesso alla Corte costituzionale, con ordinanza 23 giugno 1986, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 57, 1a serie speciale, del 3 dicembre 1986, questione di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n.184, nella parte in cui dispone la competenza del tribunale per i minorenni a provvedere ai sensi dell'art. 269, primo comma, del codice civile, "nel caso di minori", per violazione degli artt. 3 e 102 della Costituzione;

b) dell'art. 273 del codice civile, nella parte in cui non prevede che si valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, per violazione dell'art. 3 della Costituzione.

5. - Quanto alla questione sub a), il giudice remittente svolge considerazioni sostanzialmente coincidenti con quelle formulate dal tribunale per i minorenni di Bologna, facendo leva sia sulla natura obbiettiva del giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, sia sull'inesistenza di ambiti di valutazione nei quali si possa tener conto delle particolari condizioni psicologiche o sociali del minore.

Non troverebbe, dunque, giustificazione l'assegnazione della relativa competenza ad un giudice diverso a seconda dell'età del procreato, con violazione del principio di eguaglianza, e neppure la deroga alla ordinaria competenza dei giudici operanti secondo il rito ordinario, con possibile contrasto con il divieto di istituire giudici speciali di cui all'art. 102 della Costituzione.

6. - Con la seconda questione si ritiene non manifestamente infondato il dubbio circa il contrasto dell'art. 273 del codice civile con l'art. 3 della Costituzione, osservandosi che la disposizione non consente al giudice - "quanto meno nel giudizio sulla ammissibilità dell'azione" - alcun apprezzamento circa la sussistenza o no dell'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, a differenza da quanto previsto dall'art. 250, quarto comma, del codice civile, a norma del quale il giudice - cui sia richiesta una sentenza sostitutiva del consenso del genitore che ha già effettuato il riconoscimento - può pronunciarsi negativamente, ove il riconoscimento da parte dell'altro genitore non sia conforme agli interessi del minore.

Il giudice a quo muove dal rilievo che la sentenza dichiarativa della paternità o della maternità produce gli stessi effetti del riconoscimento (art. 277, primo comma, del codice civile ) e, quindi, é ad essa equiparabile l'ipotesi nella quale venga emessa - ai sensi dell'art. 250, quarto comma, del codice civile - una sentenza che "tiene luogo del consenso mancante", quando il genitore, che ha già riconosciuto, non presti il proprio consenso al riconoscimento da parte dell'altro genitore ed il minore sia infrasedicenne. In entrambi i casi la pronuncia del giudice determina l'attribuzione di un genitore al minore, ma solo nel caso previsto dall'art. 273 del codice civile il giudizio é vincolato alle risultanze obbiettive dell'istruttoria, non essendo consentito di non dichiarare la paternità o la maternità naturale, ove l'instaurazione del rapporto di filiazione apparisse contraria agli interessi del minore.

Riguardata sotto un diverso profilo, la normativa in esame rivelerebbe l'esistenza di una presunzione assoluta, nel senso che l'iniziativa del genitore che ha già riconosciuto il figlio infrasedicenne, volta ad attribuirgli un secondo genitore, risponda comunque all'interesse del figlio, mentre si ammette che il rifiuto del medesimo genitore al riconoscimento anche da parte dell'altro possa nuocere al minore, in quanto se ne prevede il superamento con la pronuncia del giudice, solo a séguito di specifica valutazione.

Quanto alla rilevanza, si osserva che, ove la questione venisse accolta, la decisione del tribunale potrebbe prescindere dai risultati istruttori acquisiti.

7. - Anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto depositato il 23 dicembre 1986.

Con riguardo alla questione concernente l'art. 68 della legge n. 184 del 1983, si prospetta un possibile difetto di rilevanza, "ove si ritenesse il problema della competenza insuscettibile di riesame" dopo la positiva conclusione - come é avvenuto nella fattispecie del giudizio di ammissibilità dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità: l'orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione sarebbe appunto in tal senso.

Quanto al merito della questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., anche in questo caso si pone in evidenza che l'insorgere in capo al convenuto della potestà di genitore rende la fattispecie non equiparabile all'ipotesi in cui il figlio sia maggiorenne.

L'Avvocatura non manca, poi, di osservare che - ove dovesse ritenersi fondata la questione, proposta con la medesima ordinanza, riguardo alla mancata valutazione dell'interesse del minore - l'attribuzione della competenza per i provvedimenti in questione al tribunale per i minorenni si rivelerebbe sotto ogni profilo giustificata.

Anche a proposito della pretesa illegittimità dell'art. 273 del codice civile, nella parte in cui non consente di valutare l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, l'avvocatura dello Stato avanza perplessità sulla rilevanza, atteso che l'eccezione risulta proposta in una fase successiva alla positiva conclusione del giudizio sull'ammissibilità dell'azione, nell'ambito della quale dovrebbe trovare spazio (come sembra ritenere anche il giudice a quo) la valutazione ritenuta illegittimamente preclusa.

Si osserva, inoltre, che la questione peccherebbe di concretezza poiché - con riguardo al caso di specie - non viene espressa alcuna valutazione negativa circa l'interesse del minore all'accertamento della procreazione. Ove si consideri, anzi, che l'iniziale resistenza del convenuto si é, alla fine, convertita in remissione a giustizia, non appare - né viene indicato - alcun elemento tale da indurre il giudice a quo ad una decisione negativa basata sulla considerazione, ove consentita, dell'interesse del minore.

Nel merito non sussisterebbe alcuna violazione del principio di eguaglianza.

L'oggetto ed i presupposti dei due procedimenti disciplinati dagli artt. 250 e segg. e 269 e segg. del codice civile debbono, infatti, essere tenuti distinti. Nel primo il giudice é chiamato a surrogare con la propria pronuncia il consenso mancante del primo genitore, rendendo possibile il riconoscimento da parte dell'altro, evento che, tuttavia, conserva i caratteri di fatto spontaneo e stragiudiziale suscettibile di impugnazione per difetto di veridicità. Nel secondo il giudice é chiamato ad accertare se nella realtà dei fatti tra il convenuto ed il minore esiste il dedotto rapporto di filiazione.

Inoltre, mentre la mancata autorizzazione al riconoscimento non impedisce al figlio, pervenuto ai sedici anni, di assentire al riconoscimento, la pronuncia negativa sulla richiesta di declaratoria giudiziale di paternità o di maternità ha effetto preclusivo.

Non va nemmeno trascurato che, secondo il nostro ordinamento, il riconoscimento della prole naturale costituisce un diritto-dovere del genitore (art. 30 della Costituzione).

L'Avvocatura osserva, infine, che la valutazione dell'interesse del minore é omessa anche nell'ipotesi in cui il genitore che ha già riconosciuto non si opponga al riconoscimento da parte dell'altro; e tale valutazione é pure omessa in occasione del riconoscimento spontaneo dell'infrasedicenne da parte del primo genitore.

8. - Alla pubblica udienza del 24 marzo 1987, le parti hanno ribadito le rispettive tesi e conclusioni.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze in esame sottopongono all'esame della Corte questioni di legittimità costituzionale parzialmente coincidenti: i relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Una prima questione, comune ad entrambe le ordinanze, ha per oggetto, con riferimento agli artt. 3 e 102 della Costituzione congiuntamente richiamati, l'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui dispone la competenza del tribunale per i minorenni a provvedere ai sensi dell'art. 269, primo comma, del codice civile "nel caso di minori". A tale questione il tribunale per i minorenni di Torino ne affianca un'altra, avente per oggetto, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'art. 273 del codice civile, nella parte in cui non prevede che si valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale ai sensi dell'art. 269 del codice civile.

3. - Poiché l'accoglimento della seconda questione potrebbe riflettersi sulle sorti dell'altra, nel senso che, una volta riconosciuta la necessità di valutare l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, la relativa competenza del tribunale per i minorenni verrebbe a risultare comunque giustificata, é la questione avente per oggetto l'attuale testo dell'art. 273 del codice civile, quale sostituito ad opera dell'art. 116 della legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), a dover essere affrontata per prima.

4. - Tale questione é, peraltro, inammissibile.

Due le eccezioni sollevate in proposito dall'avvocatura dello Stato, sotto il profilo del difetto di rilevanza della questione. La prima in quanto la valutazione dell'interesse del minore "dovrebbe intervenire, in ipotesi, nel giudizio preliminare di ammissibilità dell'azione" di paternità o di maternità naturale, mentre nella specie la questione "é stata sollevata nel giudizio di merito, dopo l'avvenuta conclusione del giudizio preliminare di ammissibilità", ed addirittura - si potrebbe aggiungere - una volta esaurite le indagini sul fatto della procreazione. La seconda in quanto la questione, non nascendo "da alcuna specifica valutazione di specie" e, quindi, nulla dicendo sulla non rispondenza all'interesse del minore "in caso di avvenuto accertamento del fatto naturale della procreazione", avrebbe carattere di astrattezza.

Ma un assorbente profilo di inammissibilità emerge con più immediata evidenza dalla stessa motivazione sulla rilevanza della questione, quale prospettata dal giudice a quo. Mentre, infatti, l'ordinanza di rimessione riconosce in via preliminare che "il diritto-dovere per il giudice minorile di tenere in conto l'interesse del minore" dovrebbe porsi "quanto meno nel giudizio sulla ammissibilità dell'azione", la questione viene sollevata in coincidenza con un momento, per giunta notevolmente avanzato, del giudizio di merito, con evidente contraddittorietà della motivazione sulla rilevanza.

5. - Quanto all'altra questione, comune alle due ordinanze, una precisazione si impone, prima di affrontarne il merito, al fine di una più puntuale individuazione dei relativi estremi.

Al di là dell'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184, il solo ad essere menzionato in entrambi i dispositivi, il dubbio di legittimità costituzionale investe il primo comma dell'art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile (regio decreto 30 marzo 1942, n. 318), che l'art. 68 della legge n. 184 del 1983 é appunto venuto a sostituire nei seguenti termini: "Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84,90,171,194, secondo comma, 250, 252, 262, 264, 316, 317- bis, 330, 332, 334, 335 e 371, ultimo comma, nonché nel caso di minori dall'art. 269, primo comma, del codice civile".

Poiché l'art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile era già stato oggetto di una precedente, ed in tale occasione integrale, sostituzione ad opera dell'art. 22 della legge 19 maggio 1975, n. 151, la portata dell'ultima innovazione emerge chiaramente dal raffronto con il testo introdotto dalla legge n. 151 del 1975. In quella versione, il primo comma dell'art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile risultava così formulato: "Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 171, 194, secondo comma, 250, 252, 262, 264, 316, 317- bis, 330, 332, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile". Ad esso é stato, dunque, aggiunto l'inciso "nonché nel caso di minori dall'articolo 269, primo comma", proprio la parte, cioè, che rappresenta l'oggetto della questione in esame.

Alla scelta legislativa sottostante a questa aggiunta entrambe le ordinanze - che esattamente stimano " la propria competenza determinata dalla minore età del figlio" - muovono l'addebito di una intrinseca "irragionevolezza", causa, al tempo stesso, di non giustificabili diseguaglianze con situazioni similari: il tutto in violazione non solo dell'art. 3, ma anche dell'art. 102 della Costituzione, in quanto l'attribuire ad un giudice specializzato una competenza priva di giustificazione significherebbe "impiegarlo come 'giudice speciale".

6. - La questione é infondata sia sotto l'uno sia sotto l'altro dei profili denunciati.

L'irragionevolezza intrinseca della norma che attribuisce al tribunale per i minorenni la competenza a dichiarare la paternità o la maternità naturale nei confronti di un minore deriverebbe dalla constatazione che tale declaratoria "richiede al giudice un accertamento sulla genitura assolutamente indifferente al dato estrinseco costituito dall'età del generato", essendo l'accertamento stesso "attinente a un fatto biologico storico e oggettivo", senza alcun condizionamento alle esigenze psicologiche del procreato.

Anche a condividere tale assunto, non ne discenderebbe ineluttabilmente la conclusione che ne vorrebbero trarre i giudici a quibus. Non si debbono, infatti, sottovalutare gli altri, più particolari, poteri demandati al giudice quando l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale riguardi un minore, poteri questi ben confacenti al tribunale per i minorenni, nell'ottica della sua specializzazione ai sensi dell'art. 102 della Costituzione.

La necessità del consenso del minore per promuovere o per proseguire l'azione (art. 273, secondo comma, del codice civile), qualora egli abbia compiuto l'età di sedici anni, implica che il giudice verifichi la validità della relativa dichiarazione. A sua volta, l'art. 277, secondo comma, del codice civile stabilisce che "Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui", provvedimenti particolarmente delicati, specie in ordine all'istruzione e all'educazione del minore, stante la coattività della dichiarazione giudiziale. Infine, nella stessa legge 4 maggio 1983, n. 184, cui risale la modifica in discussione, viene dato, mediante il disposto dell'art. 11, ultimo comma, opportuno risalto al problema degli eventuali rapporti dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale con le procedure di adozione.

Il contenuto e la portata di questi più particolari poteri valgono, nello stesso tempo, a dimostrare che le lamentate diseguaglianze con azioni similari di competenza del tribunale ordinario non possono certamente dirsi prive di qualsiasi giustificazione al punto di apparire palesemente arbitrarie.

Per quanto riguarda la diseguaglianza presente "all'interno della stessa azione", nel senso che la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale deve essere rivolta a giudici diversi, secondo che concerna un maggiorenne o un minorenne, é proprio il complesso dei poteri dianzi ricordati, ovviamente senza riscontro quando si tratti di un maggiorenne, a fornirne sufficiente ragione.

Anche per quanto concerne la diseguaglianza che contrappone l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale ad altre azioni in materia di status, sempre demandate al tribunale ordinario, vale l'obiezione che in ordine a queste ultime non esistono previsioni corrispondenti né all'art. 277 del codice civile né all'art. 11, ultimo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184. Ma, più ancora, va rilevato come la contrapposizione criticamente prospettata coinvolga situazioni non omogenee.

Al riguardo non é senza significato che gli stessi giudici a quibus divergano nell'additare quella che sarebbe l'azione "perfettamente simmetrica" all'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale e, quindi, il suo "corrispondente in negativo": l'uno (tribunale per i minorenni di Bologna) la ravvisa nell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, regolata dall'art. 263 del codice civile, e l'altro (tribunale per i minorenni di Torino) nell'azione per il disconoscimento di paternità o di maternità, regolata, per i profili che qui interessano, dagli artt. 235 e 244 del codice civile. Il vero é che ogni azione in materia di status ha caratteristiche e modalità sue tipiche, in correlazione alla specificità delle condizioni di fatto poste a base delle fattispecie sostanziali rispettivamente configurate ed in vista delle finalità da ciascuna perseguite.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 273 del codice civile, quale sostituito ad opera dell'art. 116 della legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), nella parte in cui non prevede che si valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Torino con ordinanza 23 giugno 1986 (reg. ord. n. 682 del 1986);

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, primo comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 318 (Disposizioni per l'attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie), quale da ultimo sostituito ad opera dell'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui dispone la competenza del tribunale per i minorenni a provvedere ai sensi dell'art. 269, primo comma, del codice civile "nel caso di minori", sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 102 della Costituzione, dal tribunale per i minorenni di Bologna con ordinanza 2 luglio 1985 (reg. ord. n. 716 del 1985) e dal tribunale per i minorenni di Torino con ordinanza 23 giugno 1986 (reg. ord. n. 682 del 1986).

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: CONSO

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE