SENTENZA N. 179
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del disegno di legge nn. 1056 - 1060 - 1066 - 1073 approvato il 2 aprile 1986 dall'Assemblea regionale della Sicilia, recante "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, concernente " Nuove norme in materia di controllo dell'attività urbanistico - edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive "" promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Sicilia, notificato il 10 aprile 1986, depositato in cancelleria il 16 successivo ed iscritto al n. 13 del registro ricorsi 1986.
Visto l'atto di costituzione della Regione Sicilia;
udito, nell'udienza pubblica del 5 giugno 1986, il Giudice relatore Livio Paladin;
uditi l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il ricorrente, e l'avv. Matteo Calabretta, per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 10 aprile 1986, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha impugnato la legge approvata il 2 aprile dalla stessa Regione, in tema di "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1985,n. 37"; e ciò per asserita interferenza nella materia penale e per violazione dell'art. 14 lett. f) dello Statuto speciale, in relazione ai limiti posti dalla legge statale 28 febbraio 1985,n.47.
Il ricorrente premette che il legislatore nazionale avrebbe in tal senso dettato "una propria organica disciplina" sull'abusivismo edilizio, finalizzata al duplice scopo di risolvere un problema di "ampio risalto sociale" e di "reperire consistenti mezzi finanziari" da utilizzare nel quadro della manovra economica generale: strutturando la disciplina stessa nei termini di una sanatoria delle opere abusive ultimate entro il 1 ottobre 1983, connessa e conseguente alla depenalizzazione delle corrispondenti infrazioni, subordinatamente al pagamento di un'apposita oblazione; e prevedendo che, in mancanza di un tale adempimento, vengano applicate - fra l'altro - le sanzioni penali previste dall'art. 20 della legge n. 47 e venga disposta dal giudice penale la demolizione dell'opera, ai sensi dell'art. 7 della legge medesima.
Viceversa, l'art. 1 della legge impugnata tenderebbe a stravolgere la detta disciplina, in relazione ai suoi profili penalistici, indissociabili da quelli amministrativi, là dove consente di concedere la sanatoria delle opere abusive indipendentemente dal pagamento oblativo e dalla depenalizzazione delle relative infrazioni. Del pari, analogamente illegittimo risulterebbe l'art. 2, dal momento che esso estende al 16 marzo 1985 il confine temporale della sanatoria, così sottraendo le costruzioni abusive effettuate dopo il 1 ottobre 1983 al regime sanzionatorio penale per esse previsto dalla legge n. 47.
Né gioverebbe invocare la competenza esclusiva della Regione in tema di urbanistica, riconosciuta dallo Statuto speciale ed esercitata mediante le leggi n. 7 del 1980 e n. 70 del 1981. Infatti, la stessa potestà legislativa primaria della Sicilia sarebbe destinata a cedere ad un intervento legislativo statale ispirato "a criteri di omogeneità e univocità di indirizzo e generalità di applicazione su tutto il territorio nazionale, con specifiche norme attinenti ai risvolti penali del problema", ed avente comunque "lo spessore di legge di riforma economico - sociale".
2. - Si é costituito il Presidente della Regione siciliana, per chiedere la declaratoria d'infondatezza del ricorso.
Secondo il resistente non sarebbe sostenibile che la normativa impugnata travolga la corrispondente disciplina statale, "in quanto la prima opera sul piano strettamente urbanistico - amministrativo, mentre la seconda spazia anche nel campo penale dove la Regione non può incidere e non ha affatto inciso ed ai cittadini é lasciata la più ampia libertà di scelta". Né sarebbe esatto che le due materie, della sanatoria urbanistico - amministrativa e dell'estinzione degli inerenti reati edilizi, siano fra loro inseparabili: poiché lo smentirebbero sia le numerose leggi statali che hanno estinto i soli reati urbanistici senza incidere sugli illeciti amministrativi; sia le precedenti norme regionali della stessa Sicilia, che hanno già attuato il riordino urbanistico senza interessare il campo penale. Ed anzi tali norme sono state poi riconosciute costituzionalmente legittime da questa Corte, con sentenza n. 13 del 1980: tra l'altro, in base al rilievo che le licenze in sanatoria non si risolvono in esimenti delle sanzioni penali.
Del resto, contrasterebbe con la logica, prima ancora che con le norme costituzionali, ritenere che basti il collegamento di effetti penali alle disposizioni statali incidenti sulle stesse materie riservate alla legislazione esclusiva della Regione siciliana, per impedire a quest'ultima di legiferare in maniera diversa, nell'ambito della sua competenza.
Quanto allo specifico disposto dell'art. 2 della legge in esame, andrebbe del pari escluso - secondo la Regione - che esso ammetta a sanatoria costruzioni abusive ricadenti nell'ambito temporale di cui al capo primo della legge statale n. 47. In vero - sostiene la difesa regionale - tale sanatoria riguarda le opere realizzate sino al 16 marzo 1985 e perciò antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 47, le cui previsioni penali non potrebbero applicarsi che per il futuro.
Infine, sarebbe fuor di luogo il richiamo al limite delle leggi di riforma economico - sociale, perché questo atterrebbe, relativamente alla Sicilia, alle sole riforme agrarie ed industriali; perché, comunque, la legge n. 47 non avrebbe "per contenuto la formulazione di programmi o piani economici o sociali per lo sviluppo dell'intero territorio nazionale", essendosi "limitata a disciplinare alcuni aspetti della complessa materia urbanistica"; e perché, d'altra parte, lo stesso art. 1 di detta legge mantiene espressamente salva la competenza delle Regioni a statuto speciale, esclusi i soli profili penali di cui al capo quarto.
Considerato in diritto
1. - Per intendere il senso della legge siciliana impugnata dal Commissario dello Stato e per apprezzare i motivi del ricorso, giova anzitutto ricordare quali siano i criteri ispiratori della legge statale 28 febbraio 1985, n. 47 (e successive modificazioni), nelle parti su cui verrebbe ad incidere, qualora entrasse in vigore, la disciplina che forma l'oggetto dell'attuale controversia.
L'art. 1 della legge n. 47 premette - al primo comma - che "le regioni emanano norme in materia di controllo dell'attività urbanistica ed edilizia e di sanzioni amministrative in conformità ai principi definiti dai capi I, II e III della presente legge"; mentre "sono in ogni caso fatte salve" - stando al disposto del terzo comma - "le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano". Per altro, il primo comma esordisce mantenendo "fermo... quanto previsto dal capo IV", in tema di sanatoria delle opere abusive. E i commentatori della legge stessa concordano nel ritenere che il particolare rilievo attribuito al capo quarto dipenda dal fatto che le disposizioni sul cosiddetto condono edilizio sono contraddistinte dalla configurazione di fattispecie penalmente rilevanti: con la conseguenza che, sotto questo aspetto, esse vanno applicate nelle Regioni a statuto speciale, quand'anche dotate di competenza primaria od esclusiva in materia urbanistica, non meno che nelle Regioni di diritto comune.
In quanto richiamate nel capo quarto, vanno poi considerate le norme del capo primo che sanzionano i trasgressori della relativa disciplina urbanistico - edilizia. In particolar modo, va tenuto presente l'art. 7 1. cit., concernente le "opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali": là dove s'impone al sindaco di ingiungere la demolizione delle opere stesse e di acquistare di diritto al patrimonio del Comune i beni per i quali i responsabili dell'abuso non provvedano nel termine di novanta giorni, per poi ordinare la demolizione a spese dei responsabili medesimi, salvi gli eventuali "prevalenti interessi pubblici", non incompatibili "con rilevanti interessi urbanistici o ambientali" (secondo, terzo e quinto comma); mentre spetta al segretario comunale di trasmettere - fra l'altro - all'autorità giudiziaria competente "l'elenco dei rapporti comunicati dagli ufficiali od agenti di polizia giudiziaria riguardanti opere o lottizzazioni realizzate abusivamente e delle relative ordinanze di sospensione" (settimo comma); senza di che "il Presidente della Giunta regionale... adotta i provvedimenti eventualmente necessari dandone contestuale comunicazione alla competente autorità giudiziaria ai fini dell'esercizio dell'azione penale" (ottavo comma); ed il giudice ordina da ultimo, "con la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 17, lettera h), della legge 28 gennaio 1977, n. 10, come modificato dal successivo art. 20", la demolizione delle costruzioni abusive "se ancora non sia stata altrimenti eseguita" (nono comma).
A sua volta, l'art. 20 1. cit. aggrava le pene già previste in proposito dall'art. 17 della legge n. 10 del '77; ed in pari tempo ribadisce il nesso fra le sanzioni penali e le corrispondenti sanzioni amministrative, mantenendole esplicitamente "ferme". Il che non contrasta con la previsione di concessioni od autorizzazioni in sanatoria, contenuta nel precedente art. 13: sia perché queste sono consentite nei termini entro i quali i responsabili dovrebbero procedere alla demolizione; sia perché la sanatoria presuppone l'"accertamento di conformità" agli "strumenti urbanistici generali e di attuazione" (cfr. il primo comma dell'articolo stesso); sia, soprattutto, perché il rilascio della concessione in sanatoria é subordinato al pagamento, "a titolo di oblazione", delle somme indicate nel terzo e quarto comma (con la conseguente estinzione dei reati di cui all'ultimo comma dell'art. 22).
Ciò posto, quanto alle costruzioni ed alle altre opere abusive ultimate entro la data del 1 ottobre 1983, l'art. 311. cit. precisa - al primo comma - che i proprietari (e gli altri soggetti interessati di cui al comma terzo) possono richiedere e conseguire "la concessione o la autorizzazione in sanatoria", indipendentemente dall'accertamento imposto nell'art. 13; purché, tuttavia, si tratti di opere "suscettibili di sanatoria", ai sensi degli artt. 32 e 33, e sempre che i richiedenti effettuino, in base all'art. 34, il "previo versamento all'erario, a titolo di oblazione, di una somma determinata...". "Corredata dalla prova dell'eseguito versamento dell'oblazione" (o d'una rata di essa), "la domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria deve essere presentata al Comune interessato" - stando al primo comma dell'art. 35, come sostituito dall'art. 8, secondo comma, del d.l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito nella legge 21 giugno 1985, n. 298 - "entro il termine perentorio del 30 novembre 1985" (poi prorogato fino al 31 marzo 1986 dall'art. 1 del d.l. 20 novembre 1985, n. 656, convertito nella legge 24 dicembre 1985, n. 780). Da ciò viene fatta dipendere - ai sensi del primo comma dell'art. 38 - la congiunta sospensione del procedimento penale e di quello per le sanzioni amministrative; mentre "l'oblazione interamente corrisposta estingue" - fra l'altro - "i reati di cui all'art. 41 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, e all'art. 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, come modificato dall'art. 20 della presente legge" (cfr. il successivo comma, con le modifiche apportate dall'art. 5 del d.l. n. 146 cit.); ed il quarto comma del medesimo articolo, confermando ulteriormente il nesso fra le pene e le sanzioni amministrative, chiarisce che neppure queste possono trovare applicazione, una volta "concessa la sanatoria". Né vale a smentirlo il disposto dell'art. 39, per cui "l'effettuazione dell'oblazione, qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, estingue i reati contravvenzionali di cui all'art. 38", laddove le sanzioni amministrative pecuniarie "sono ridotte in misura corrispondente all'oblazione...": in questo specifico caso, é infatti la depenalizzazione che prescinde dalla sanatoria urbanistico - edilizia, e non viceversa.
Di regola, però, l'art. 40 ristabilisce la detta concessione, disponendo che la mancata presentazione dell'istanza di sanatoria (alla quale é equiparato il caso della domanda dolosamente infedele) comporta l'applicazione di tutte le sanzioni configurate dal capo primo, siano penali od amministrative. E "le stesse sanzioni si applicano" - aggiunge il primo comma - "se, presentata la domanda, non viene effettuata l'oblazione dovuta".
2. - Ora, anche la Regione siciliana ha, in un primo tempo, dettato un organico complesso di "nuove norme in materia di controllo dell'attività urbanistico - edilizia, riordino urbanistico e sanatoria delle opere abusive", conformandosi al sistema configurato dalla legge statale n. 47 del 1985 (così come si é conformata alla legge statale la Regione Lazio, mediante la legge 21 maggio 1985, n.76, che ha modificato ed integrato la precedente legge di sanatoria urbanistico - edilizia 2 maggio 1980, n. 28). La legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, ha infatti previsto - nell'art. 1, primo comma - che la legge n. 47 si applichi in Sicilia, sia pure "con le sostituzioni, modifiche ed integrazioni" contestualmente stabilite. In particolare, l'art. 3 della citata legge regionale, dopo aver precisato che i provvedimenti di vigilanza sull'attività urbanistico - edilizia e di conseguente demolizione delle opere abusive "sono atti dovuti per il sindaco", aggiunge che, "nel caso di inerzia comunale", il competente assessore della Regione "provvede a diffidare il sindaco" e a darne "comunicazione" all'autorità giudiziaria, per poi intervenire in via sostitutiva "nella ipotesi di grave danno urbanistico"; l'art. 23 ridisciplina le "condizioni di applicabilità della sanatoria", sulla falsariga della corrispondente normativa statale; l'art. 26, nel regolare il "procedimento per la sanatoria", mantiene fermi "il termine perentorio del 30 novembre 1985", quanto alla presentazione delle relative domande ed al versamento dell'oblazione, e la data del 1 ottobre 1983, quanto all'ultimazione delle opere abusive in esame; e l'art. 39 abroga, coerentemente, una serie di precedenti norme regionali, come quelle dettate dalle leggi n. 7 del 1980 e n. 70 del 1981, in tema di "riordino urbanistico edilizio".
A questo punto, però, la Regione siciliana é nuovamente intervenuta in materia, mediante una leggina approvata il 2 aprile 1986, che nominalmente contiene modifiche ed integrazioni alla citata legge regionale n. 37 del 1985, ma in realtà si propone di pregiudicare l'applicazione degli stessi principi informatori della legge statale n. 47, circa la sanatoria delle pregresse opere abusive. L'art. 1 di quest'ultimo atto legislativo facoltizza anzitutto i soggetti che domandino il rilascio di concessioni od autorizzazioni in sanatoria a farne istanza allegando un'"esplicita dichiarazione" di rinuncia a "conseguire gli effetti discendenti dalla corresponsione dell'oblazione prevista dall'art. 34 della legge 28 febbraio 1985, n. 47"; senza che il mancato pagamento sia ostativo - come precisa la frase seguente del medesimo articolo - alla sanatoria disposta dalle competenti autorità amministrative. Malgrado siffatte previsioni vengano inserite entro un apposito art. 26 bis della legge regionale n. 37, l'istanza e la dichiarazione delle quali si tratta non sono più sottoposte a termini di sorta, essendo da tempo trascorsa la data del 30 novembre 1985, già ribadita dall'originario art. 26 (anche se, a colmare la lacuna, é poi sopravvenuto l'art. 1 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26). E, parallelamente, lo stesso termine di ultimazione delle opere abusive, già fissato allo scadere del 1 ottobre 1983, viene spostato dall'art. 2 della legge impugnata alla data del 16 marzo 1985.
Di qui il ricorso del Commissario dello Stato, nel quale si contesta la legittimità di tutte queste disposizioni: da un lato, perché esse produrrebbero un'"interferenza" nella "materia penale" riservata alla legislazione statale; d'altro lato, perché esse violerebbero una "legge di riforma economico - sociale", come quella disciplinante il cosiddetto condono edilizio, esorbitando in tal modo dai limiti che l'art. 14 lett. f) dello Statuto siciliano pone a carico della legislazione regionale "esclusiva" in tema di urbanistica.
3. - Va preliminarmente affrontato il problema se la Regione siciliana sia competente a legiferare nei termini previsti dalle disposizioni in esame; o se, viceversa, la legge approvata dall'Assemblea regionale debba considerarsi invasiva o lesiva delle attribuzioni spettanti allo Stato per tutto ciò che attiene al diritto penale. Questa Corte ha infatti chiarito - sin dalla sentenza n. 58 del 1959 - che "la preclusione non sussiste soltanto nel senso... che le Regioni non possono ne creare nuove figure di reati, né richiamare, per violazione di norme regionali, sanzioni penali già comminate da leggi dello Stato"; ma opera anche quando "il provvedimento" regionale é "inteso a rendere lecita un'attività..., che dalla legge dello Stato é considerata illecita e passibile di sanzione penale". Ed é, precisamente, nella seconda di tali prospettive che il ricorso risulta del tutto fondato.
É stato già evidenziato, nel ricostruire i tratti essenziali della legge n. 47 del 1985, come sanzioni penali e sanzioni amministrative siano interdipendenti fra di loro, tanto agli effetti del capo primo quanto agli effetti del capo quarto della legge stessa. Per contro, l'impugnata legge regionale, ponendosi sul medesimo piano della disciplina del cosiddetto condono edilizio, si propone di separare la prevista estinzione dei pregressi reati urbanistici dalla relativa sanatoria delle opere abusive (senza affatto tener conto che la prima rappresenta, nell'ambito di tale normativa, la necessaria premessa della seconda); e, così facendo, interferisce nell'applicazione delle stesse norme penalmente rilevanti, dettate dalla legge n. 47.
Comunque si voglia configurare la richiesta di concessione o di autorizzazione in sanatoria, regolata dagli artt. 31 e seguenti 1. cit., e l'"oblazione" che la deve accompagnare o seguire secondo l'ordinamento generale dello Stato, é certo che si tratta di condizioni indispensabili per estinguere - in base al testuale disposto dell'art. 38, secondo comma - tutta una serie di reati. In luogo di ciò, viceversa, l'art. 1 della legge regionale in discussione introduce l'anomala previsione di una vera e propria autodenuncia dei soggetti interessati, intesa ad ottenere - fermi restando i reati predetti - il beneficio della sola sanatoria amministrativa di altrettanti illeciti penali permanenti; senza che il rilascio delle necessarie concessioni od autorizzazioni venga subordinato ad alcuna condizione alternativa e senza che si garantisca in alcun modo il recupero urbanistico degli insediamenti abusivi, da parte della Regione e dei Comuni, secondo i criteri fissati nel capo terzo della legge n. 47.
In questa paradossale situazione - che verrebbe a determinarsi ove entrasse in vigore la legge approvata dall'Assemblea regionale il 2 aprile 1986 - sono messi in forse, di riflesso, anche i reati e le pene previsti o presupposti dalla legislazione statale, quanto ai pubblici amministratori che abusino dei loro poteri od omettano di adempiere agli obblighi del proprio ufficio nel settore urbanistico - edilizio. Sono destinati a venir meno, in particolar modo, i doveri imposti ai sindaci dall'art. 7 della legge n. 47; sono posti in dubbio, parallelamente, i rapporti all'autorità giudiziaria competente, di cui al settimo ed all'ottavo comma del medesimo articolo (come modificato dall'art. 3 della legge regionale siciliana n. 37 del 1985). Di più: finanche la demolizione delle opere abusive ordinata dal giudice penale con la sentenza di condanna cui si riferisce l'ultimo comma dell'art. 7 (richiamato dall'art. 40, primo comma, della legge n. 47), appare incompatibile - secondo gli insistiti rilievi della difesa regionale - con la sanatoria di opere che a questo punto dovrebbero dirsi legittime.
Ciò conferma che le scelte sanzionatorie della legge n. 47, considerate con particolare riguardo ai disposti del capo quarto, fanno parte di un sistema entro il quale non si possono introdurre arbitrarie distinzioni, senza sconvolgerne la complessiva logica. Il nesso fra sanzioni penali e sanzioni amministrative non si presta, pertanto, ad essere validamente interrotto per mezzo di leggi regionali, che verrebbero a ledere l'indispensabile uniformità del trattamento in tutto il territorio del Paese.
S'impone dunque, ad un tempo, l'annullamento dell'art. 1 e dell'art. 2 della legge impugnata; mentre rimangono assorbite le altre questioni prospettate dal ricorso del Commissario dello Stato.
4. - Non giova replicare - come fa la difesa regionale - che non basta "il collegamento dei più svariati effetti penali... alle disposizioni... delle leggi statali sulle stesse materie di cui alla legislazione esclusiva della Regione siciliana per impedire a quest'ultima di legiferare... in maniera diversa". Lungi dall'essere assurde ed incostituzionali, conseguenze del genere discendono naturalmente dai condizionamenti che l'esercizio della competenza spettantegli in campo penale, da parte del legislatore statale, non può non produrre nelle materie regionali cui si riferiscono i reati e le pene in questione.
Né si dimostra pertinente il richiamo della sentenza n. 13 del 1980, con la quale questa Corte ha respinto i ricorsi commissariali avverso le norme regionali siciliane già dettate - in tema di "riordino urbanistico edilizio" - dal titolo settimo della legge approvata il 15 dicembre 1978 (e poi promulgate mediante la legge 29 febbraio 1980, n. 7). La problematica e le discipline normative, statale e regionale, che la Corte aveva allora di mira, risultano ben diverse da quelle che formano oggetto dell'attuale decisione: sia perché non era ancora sopraggiunta la legge n. 47 del 1985, che nel capo quarto ha vincolato, configurando fattispecie penalmente rilevanti, le stesse Regioni a statuto speciale; sia perché il predetto capo quarto s'impernia sulla richiesta di sanatoria delle opere abusive e sulla conseguente estinzione dei pregressi reati, laddove la legge statale n. 10 del 1977, in vista della quale si svolse il sindacato delle norme allora impugnate, assumeva a fattispecie - secondo la sentenza n. 13 cit. - "i provvedimenti (permissivi e) sanzionatori, se ed in quanto adottati dalle competenti autorità, non già le infrazioni perpetrate, sanzionate oppur no"; sia perché, in quel caso, il legislatore regionale siciliano aveva avuto cura - come avvertiva la Corte - di collegare la sanatoria "alla revisione globale degli strumenti urbanistici generali", entro un anno dalla "perimetrazione" delle zone interessate da insediamenti che causassero un "particolare disordine urbanistico - edilizio". E vale la pena di ricordare, ancora una volta, che sanatorie siffatte non sono del tutto precluse neanche dalla legge n. 47, dati i disposti del citato capo terzo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 2 aprile 1986, intitolata "Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 agosto 1985, n. 37".
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1986.
Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA
Depositata in cancelleria il 7 luglio 1986.