SENTENZA N. 54
ANNO 1986
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Livio PALADIN, Presidente
Prof. Antonio LAPERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL’ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 146, 314 e 317 del cod. di proc. pen., promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1978 dal giudice istruttore del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di XY, iscritta al n. 642 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 dell'anno 1979.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 febbraio 1986 il Giudice relatore Ettore Gallo.
Ritenuto in fatto
Il Giudice Istruttore presso il Tribunale di Torino, con ordinanza 10 ottobre 1978 e nel processo penale contro XY, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 146, 314 e 317 cod. proc. pen., con riferimento all'art. 13, secondo e quarto comma Cost.
Esponeva il magistrato nell'ordinanza che, a seguito di denuncia da parte del Tribunale minorile di Torino, il Procuratore della Repubblica aveva promosso azione penale nei confronti di XY per il delitto di alterazione di stato, prevista nell'art. 567, secondo comma, cod. pen., quale indiziato di falsità nel riconoscimento di sua paternità naturale effettuato nei confronti del minore Francesco. Il P.M. aveva, quindi, investito esso Giudice Istruttore per la formale istruttoria, nel corso della quale il giudice stesso aveva disposto perizia medico-legale, al fine di accertare la veridicità o meno del riconoscimento, attraverso l'esame del gruppo sanguigno del prevenuto, della madre naturale Ida Sgrò, e del minore stesso.
Senonché, all'udienza peritale del 19 settembre 1978, l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, rifiutava di prestarsi al prelievo ematico, e depositava nel contempo memoria scritta mediante la quale, nell'ipotesi che il Giudice ritenesse ciononostante di insistere nel provvedimento, chiedeva che gli atti, sospeso il giudizio, fossero trasmessi a questa Corte per l'esame della compatibilità degli articoli citati del codice processuale penale con gli artt. 13 e 24 Cost.
Il Giudice, sul conforme parere del P.M., ritenuta la manifesta infondatezza del profilo concernente il parametro di cui all'art. 24, secondo comma, Cost., sollevava per il resto la cennata questione incidentale di legittimità costituzionale.
Interveniva nel giudizio davanti a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, che chiedeva dichiararsi l'infondatezza della sollevata questione.
Considerato in diritto
Osserva il magistrato nell'ordinanza che l'attuale sistema processuale non porrebbe limite alcuno ai poteri dispositivo e coattivi del Giudice penale nella scelta dei mezzi d'indagine e nell'uso della coazione fisica per eseguirli in caso di opposizione. Sulla base di tale premessa, ritiene il Giudice che la questione proposta possa avere fondamento, in riferimento al secondo comma dell'art. 13 Cost., specie in considerazione dell'eventualità che la perizia coinvolga anche terzi estranei all'imputazione, e del fatto che - secondo il rimettente - non é nemmeno imposta dall'ordinamento giuridico-processuale alcuna motivazione al provvedimento del Giudice. Per di più, la forzosa limitazione della libertà personale, che verrebbe a verificarsi a seguito della costrizione a sottoporsi alla perizia comporterebbe altresì la violazione del quarto comma dell'art. 13 nel momento in cui si procedesse al prelievo ematico, in quanto si integrerebbe un'inequivocabile violenza fisica su persona sottoposta a restrizioni di libertà.
La questione non é fondata.
Va innanzitutto contestata la premessa del ragionamento del Giudice rimettente.
Non é esatto, infatti, che il Giudice non incontri limite alcuno ai suoi poteri dispositivi in materia penale ed ai mezzi per attuarli, perché l'ordinamento giuridico- processuale va letto nel contesto della Costituzione e con i limiti opposti dai suoi principi fondamentali. Così non potrebbe il giudice disporre mezzi istruttori che mettessero in pericolo la vita o l'incolumità o risultassero lesivi della dignità della persona o invasivi dell'intimo della sua psiche, perché sarebbero in contrasto con la tutela dei diritti fondamentali ex art. 2 Cost. Come non potrebbe il Giudice, mediante i mezzi istruttori, mettere in pericolo la salute del periziando perché violerebbe l'art. 32 Cost.
Ma, per quanto si riferisce ai limiti alla libertà personale, non tiene conto il giudice a quo che il Costituente ha inteso appunto tutelare la libertà del cittadino affidandone al giudice la garanzia e dal secondo comma dell'art. 13 si evince che la Costituzione consente sia la detenzione che "qualsiasi altra restrizione della libertà personale" proprio e soltanto se vi sia "atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge".
Orbene, le ragioni relative alla giustizia penale, e all'accertamento della verità che la concerne, rientrano sicuramente fra i "casi" previsti dalla legge: e la perizia medico-legale é altrettanto certamente uno dei "modi" legittimi mediante i quali é lecito al giudice previa congrua motivazione (sent. nn. 156/1967 e 64/1970) attuare una "qualsiasi restrizione della libertà personale", nei limiti ovviamente sopra accennati. Ma il prelievo ematico, ormai di ordinaria amministrazione nella pratica medica, talché può essere persino effettuato da infermiere professionali, né lede la dignità o la psiche della persona, né mette in alcun modo in pericolo la vita, l'incolumità o la salute della persona, salvo casi patologici eccezionali che il perito medico-legale sarebbe facilmente in grado di rilevare.
Sul punto, del resto, questa Corte si é già indirettamente pronunziata allorquando, in tema di art. 4 della legge di pubblica sicurezza, ne ha dichiarato l'illegittimità nella parte in cui consentiva alla polizia di eseguire rilievi segnaletici comportanti restrizioni della libertà personale: e nella motivazione si portava appunto l'esempio del caso in cui si "richiedono prelievi di sangue" (sent. 22 marzo 1962 n. 30).
Ma la censura d'illegittimità in parte qua dell'articolo impugnato é seguita proprio perché, essendo abilitata a quegli atti la polizia, venivano a mancare al cittadino le guarentigie giurisdizionali imposte dall'art. 13 Cost..
Tanto meno, poi, può venire in causa il quarto comma dell'invocato parametro costituzionale, perché le violenze cui quel comma fa riferimento sono evidentemente quelle illecite, anche nel senso sopra specificato e non le minime prestazioni personali imposte all'imputato o a terzi, da un normale e legittimo mezzo istruttorio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 146, 314 e 317 cod. proc. pen., sollevata dal Giudice Istruttore presso il Tribunale di Torino, con ordinanza 10 ottobre 1978, in riferimento all'art. 13, secondo e quarto comma, Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1986.
Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE
Depositata in cancelleria il 24 marzo 1986.