Sentenza n. 1 del 1986

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SENTENZA N. 1

 

ANNO 1986

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv Albero MALAGUGINI

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO,Giudici,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. lgt. 1 febbraio 1946, n. 122 (Modificazioni alla competenza degli uscieri addetti agli uffici di conciliazione e miglioramenti economici a favore dei medesimi), promosso con ordinanza emessa il 6 giugno 1984 dal Pretore di Trecastagni nel procedimento civile vertente tra Puglisi Antonio e Comune di Viagrande, iscritta al n. 1213 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 bis dell'anno 1985;

 

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 1985 il Giudice relatore Francesco Greco.

 

Ritenuto in fatto

 

Puglisi Antonio, messo di conciliazione, conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Trecastagni il Comune di Viagrande chiedendone la condanna al pagamento della giusta retribuzione per il lavoro svolto come messo della locale conciliazione.

 

Il Pretore, per una parte della pretesa retribuzione (diritti di cronologico, di notificazione e di trasferta; l'indennità di integrazione), sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. lgt. 1 febbraio 1946, n. 122 : a) in quanto i diritti di cronologico, di notificazione e di trasferta, spettanti in misura pari alla metà di quelli spettanti all'ufficiale giudiziario, apparivano palesemente inadeguati a retribuire il lavoro svolto e ciò in riferimento all'art. 36 Cost. e all'art. 35, primo comma Cost.; b) non era giustificabile la disparità di trattamento tra i messi della conciliazione e gli aiutanti ufficiali giudiziari che esercitano le stesse funzioni di notificazione presso uffici diversi e con promiscuità di competenza (delega del Pretore ai messi di conciliazione) anche per quanto riguardava l'indennità integrativa, riconosciuta solo ad essi e ciò in riferimento all'art. 3 Cost..

 

Ritenuta la questione non manifestamente infondata e rilevante, disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte e gli incombenti di rito.

 

L'ordinanza era pubblicata regolarmente nella Gazzetta Ufficiale n. 65 bis dell'anno 1985.

 

Si costituiva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato. Premesso che l'ordinanza non dava conto della rilevanza della questione, nel merito ne rilevava la infondatezza. Osservava che gli ufficiali giudiziari e i loro aiutanti hanno lo stato giuridico di impiegato statale e che detta qualità spiegava l'erogazione del compenso integrativo che aveva la funzione di garantire loro un minimum retributivo; che, invece, i messi di conciliazione non erano legati da un rapporto di pubblico impiego né con il Comune né con l'amministrazione della Giustizia e che le loro attribuzioni erano di gran lunga di minor portata rispetto a quelle degli ufficiali giudiziari e dei loro aiutanti per cui, stanti il diverso stato giuridico ed il diverso impegno professionale, era giustificata la diversità dei sistemi retributivi e il minor trattamento complessivamente riservato ai messi di conciliazione; che la insussistenza di un rapporto esclusivo con l'amministrazione rendeva inutile il richiamo all'art. 36 Cost. che é applicabile al rapporto autonomo solo quando esso, in riferimento alla complessità dei mezzi, costituisce unica fonte di sostentamento.

 

La causa era rimessa, per la decisione, alla camera di consiglio.

 

Considerato in diritto

 

Il Pretore di Trecastagni, con l'ordinanza in epigrafe, denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. lgt. del 1 Febbraio 1946, n. 122, modificato dalla legge 3 febbraio 1957, n. 16, che, per i messi di conciliazione, fissa la misura dei diritti di cronologico e di notificazione, nonché l'indennità di trasferta nella metà di quella che spetta agli ufficiali giudiziari con l'esclusione, peraltro, dell'indennità integrativa, in quanto viola:

 

a) l'art. 3 Cost. perché, attesa la sostanziale parità di funzioni di notificazione fra i messi di conciliazione e gli aiutanti ufficiali giudiziari, il deteriore trattamento riservato ai primi é privo di ragionevole giustificazione anche perché essi non percepiscono l'indennità integrativa (ex art. 16 del d.P.R. n. 1229/59);

 

b) l'art. 35 Cost. perché detta decurtazione non é compatibile con il generale principio della tutela del lavoro;

 

c) l'art. 36 Cost. perché l'entità dei compensi, come sopra determinati, non é conforme ai parametri di equa retribuzione imposti da tale norma.

 

Anzitutto la Corte ritiene, in via preliminare, che non si possa dubitare della rilevanza della questione in quanto risulta inequivocabilmente che il giudice a quo era chiamato a decidere sulla pretesa dell'attore a una giusta retribuzione della quale fanno parte i diritti e l'indennità di cui trattasi. E non poteva emettere la decisione del giudizio principale indipendentemente dalla decisione della questione pregiudiziale di legittimità costituzionale delle norme da applicare (sent. n. 300/83).

 

Nel merito la questione non é fondata.

 

Invero, le due situazioni poste a raffronto, quella cioé dei messi di conciliazione e quella degli ufficiali giudiziari e degli aiutanti ufficiali giudiziari, non sono né identiche né omogenee per cui la diversità di trattamento, fatto ai primi dal legislatore, non é irrazionale.

 

L'ufficiale giudiziario e l'aiutante ufficiale giudiziario hanno uno status ben determinato e disciplinato da norme apposite e particolari (D.P.R. 28 dicembre 1959, n. 1229, e successive modifiche; legge 11 giugno 1962, n. 546; legge 12 luglio 1975, n. 339).

 

Sono impiegati dello Stato; conseguono la qualifica e sono immessi in ruolo a seguito di pubblico concorso articolato su prove scritte ed orali e le operazioni relative sono svolte da apposita Commissione nominata dal Ministro di Grazia e Giustizia e presieduta da un magistrato. Hanno un organico ben determinato e in maniera fissa (art. 101 del T. U. n. 1229/59).

 

Accanto ai diritti hanno una serie di doveri. Sono sottoposti ad apposita Commissione di Vigilanza e di disciplina (art. 49 del T. U. n. 1229/59), alla vigilanza del Presidente della Corte d'appello quelli che operano nel distretto; del Presidente del Tribunale quelli che operano nel circondario e del Pretore quelli addetti all'ufficio di Pretura nonché a quella dell'ufficiale giudiziario dirigente. Sono soggetti a sanzioni disciplinari (art. 60, T. U. n. 1229/59). Contraggono particolari responsabilità per gli atti del loro ufficio.

 

Sono retribuiti con un sistema speciale (artt. 122, T. U. n. 1229/59 e segg.) che utilizza i proventi costituiti dai diritti che sono autorizzati ad esigere ed una percentuale sui crediti recuperati all'erario, sui campioni civili, penali ed amministrativi, sulle somme introitate dall'erario per la vendita dei corpi di reato.

 

Le somme introitate ai suddetti titoli sono versate in una cassa comune e ripartite tra tutti gli ufficiali giudiziari, al netto delle detrazioni.

 

Hanno diritto all'indennità di trasferta per gli atti compiuti fuori dall'edificio ove l'ufficio giudiziario ha sede (art 133, T.U. n. 1229/59).

 

Hanno poi diritto ad una indennità integrativa a carico dell'erario (art. 148, T. U. n. 1229/59) nel caso in cui, con la percezione dei diritti, al netto del due per cento delle spese di ufficio e del dieci per cento per la tassa erariale, non vengano a percepire uno stipendio iniziale pari a quello previsto per il personale appartenente alla sesta qualifica funzionale.

 

Tale importo é elevato in relazione all'anzianità di servizio maturata dall'ufficiale giudiziario ed all'ammontare dello stipendio spettante ai detti dipendenti di pari anzianità di servizio.

 

Anche gli aiutanti ufficiali giudiziari (artt. 160 e segg. T. U. n. 1229/59) hanno uno status bene determinato. Sono anche essi impiegati dello Stato ed assunti in servizio a seguito di pubblico concorso su prove scritte ed orali, le cui operazioni sono svolte da una Commissione nominata dal Ministro di Grazia e Giustizia.

 

Sono retribuiti (art. 167, T. U. n. 1229/59): a) mediante i proventi costituiti dai diritti di notificazione, dai diritti fissi postali sugli atti e commissioni inerenti al loro ufficio, dai diritti di chiamata di causa; b) con la terza parte della percentuale sul recupero dei crediti erariali spettanti agli ufficiali giudiziari che, quindi, hanno detta quota a loro carico. Essi ripartiscono tra loro in quota eguale i detti proventi, diritti e percentuale, al netto delle spese di ufficio e dell'importo del trattamento economico da corrispondere a quelli in soprannumero.

 

Spetta anche agli aiutanti (art. 169, T. U. n. 1229/59) l'indennità integrativa a carico dell'erario nel caso in cui, con i diritti percepiti al netto del due per cento per le spese di ufficio e del dieci per cento per la tassa erariale, non percepiscono lo stipendio iniziale previsto per il personale appartenente alla quarta qualifica funzionale.

 

Tale importo é progressivamente elevato in relazione alla anzianità di servizio maturata dall'aiutante, all'ammontare dello stipendio spettante al personale della quarta qualifica funzionale di pari anzianità di servizio.

 

Va infine notato che anche ai coadiutori spettano dei proventi costituiti, tra l'altro, dal diritto di cronologico, dal diritto di copia e dal diritto di chiamata di causa e il dirigente dell'ufficio provvede alla ripartizione (art. 177, T.U. n. 1229/59).

 

I messi di conciliazione, invece, sono nominati dal Presidente del Tribunale, sentito il Procuratore della Repubblica; sono scelti tra persone dipendenti dal Comune o tra altre persone che, residenti nel luogo, diano garanzie di capacità e moralità (art. 249, R.D. 28 dicembre 1924, n. 2271; art. 9, l. 25 giugno 1940, n. 763; art. 28, R.D. 30 gennaio 1941, n.12). Svolgono la loro attività sotto la sorveglianza del conciliatore (artt. 256, 258 del R.D. n. 2271 del 1924 e art. 9, R.D. n. 12 del 1941).

 

Per quanto riguarda l'onere economico e l'organizzazione del servizio, occorre rilevare che sono a carico dei comuni le spese obbligatorie per il funzionamento degli uffici di conciliazione (art. 91, T.U. com. e prov.); che le somme riscosse per i diritti di cancelleria, detratti i diritti spettanti ai cancellieri, sono devolute ai comuni e destinate al funzionamento degli uffici di conciliazione, ivi compreso il pagamento dei compensi ai messi.

 

Per quanto riguarda lo status dei messi di conciliazione, nulla quaestio per i dipendenti del Comune che sono già legati ad esso da un rapporto di lavoro o di impiego.

 

Per i non dipendenti, invece, il rapporto che, in ogni caso, si instaura con il Comune - per cui trattasi di rapporto di impiego pubblico - in astratto può configurarsi come svolto tanto in regime di autonomia quanto in regime di subordinazione.

 

E la qualificazione dipende dal suo concreto atteggiarsi.

 

In via generale si ritiene che, negli uffici con scarso indice di lavoro, il messo svolge attività lavorativa molto limitata, consistente nella notificazione di pochissimi atti, oltre la conseguente e scarsissima opera accessoria di registrazione. Egli, quindi, sarà impegnato saltuariamente ed occasionalmente; non potrà avere vincoli di rilievo ma godrà certamente di piena autonomia di organizzazione.

 

Invece, negli uffici di maggiore dimensione, nei quali può accadere che vi sia una massa di atti da compiere, tali da richiedere un impegno quotidiano e continuativo, si rende necessario l'intervento di un capo al quale competerà la responsabilità organizzativa e funzionale dell'ufficio con i correlativi poteri di distribuzione del lavoro e di emanazione di direttive vincolanti per il messo le cui energie lavorative attueranno, quindi, una collaborazione nell'ufficio di appartenenza e determineranno il suo inserimento nello stesso, onde la configurabilità di rapporto di lavoro subordinato.

 

Ma in nessuna delle situazioni che si possono verificare può dirsi che la posizione del messo sia identica od omogenea a quella dell'ufficiale giudiziario.

 

Mentre l'ufficiale giudiziario non può compiere alcun altro lavoro, così come, di regola, qualunque altro impiegato dello Stato, il messo, se dipendente comunale, svolge il suo lavoro abituale al Comune e solo accessoriamente e saltuariamente quello di messo comunale e, comunque, sarà retribuito come impiegato comunale ed avrà come accessori, proventi, diritti ed indennità di trasferta.

 

Invece, se non dipendente comunale, potrà svolgere altro lavoro.

 

In ogni caso ha una responsabilità molto limitata che, generalmente, si fa risalire al Comune.

 

Inoltre, per quanto riguarda l'entità dei proventi e dei diritti, si deve anche considerare che essi sono percepiti nella totalità dal solo messo di conciliazione, mentre per gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti, per i quali normalmente costituiscono la retribuzione, sono divisi con i vari appartenenti all'ufficio e, per quanto riguarda il diritto di cronologico, anche con i coadiutori.

 

Trova quindi ragionevole giustificazione ed é razionale il diverso trattamento fatto ai messi di conciliazione rispetto agli ufficiali giudiziari per quanto riguarda i diritti di cronologico e di notificazione, mentre i diritti di trasferta sono ridotti proprio perché essi si svolgono in spazi molto limitati e non certo a notevole distanza.

 

Per quanto riguarda l'indennità integrativa, essa viene corrisposta solo se le somme costituenti la retribuzione sono di entità inferiore allo stipendio rispettivamente del sesto livello funzionale per gli ufficiali giudiziari e del quarto livello funzionale per gli aiutanti. Ed in ogni caso é corrisposta per la differenza tra le somme percepite come diritti e stipendio pari alle suddette qualifiche funzionari.

 

Quindi, non irrazionalmente il legislatore non ha previsto la corresponsione anche al messo di conciliazione della indennità integrativa stante il diverso status professionale e lo speciale sistema retributivo previsto solo per gli ufficiali giudiziari e gli aiutanti.

 

Va anche notato che, in base alle vigenti disposizioni, le notificazioni a mezzo posta, regolate di recente da nuove disposizioni di legge (L. 20 novembre 1982, n. 890), costituiscono il mezzo ordinario e generale di notificazione, mentre quelle a mezzo ufficiale giudiziario o aiutante o messo di conciliazione costituiscono ormai un mezzo eccezionale.

 

Non sussiste nemmeno la denunciata violazione dell'art. 36 Cost..

 

Invero, i detti diritti e l'indennità di trasferta costituiscono solo una componente della retribuzione, cioé una esigua parte, evidentemente la meno rilevante. E questa Corte ha più volte deciso che l'art. 36 non si applica alle singole componenti della retribuzione ed alle prestazioni accessorie e che per accertare la legittimità della retribuzione del lavoratore occorre fare riferimento all'intera retribuzione nel suo complesso (sentt. n. 227/82; n. 229/83; n. 176/80).

 

Infine, non sussiste violazione dell'art. 35 Cost..

 

Invero, il detto art. 35 enuncia solo un principio generale di garanzia del lavoro mentre é demandata al legislatore, in concreto, la disciplina per la protezione delle varie forme di attività lavorative, nei limiti del rispetto dei criteri di ragionevolezza (sent. n. 128/83).

 

Trattasi di una norma di principio che non appresta alcuna ulteriore e specifica tutela al lavoratore (sent. n. 189/82).

 

Pertanto, la questione sollevata, per tutti i profili denunciati, risulta essere infondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. lgt. 1 febbraio 1946, n. 122, modificato dalla legge 3 febbraio 1957, n. 16, sollevata dal Pretore di Trecastagni con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 35, 36 Cost..

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 1986.

 

Livio PALADIN - Oronzo REALE - Albero MALAGUGINI - Arnaldo MACCARONE - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO

 

Depositata in cancelleria il 14 gennaio 1986.