Sentenza n.219 del 1985

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 219

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale del d.P.R. 14 agosto 1954, n. 676 (Approvazione delle tabelle previste dall'art. 3 della legge 31 luglio 1954, n. 570, concernente la restituzione dell'imposta generale sull'entrata sui prodotti esportati e istituzione di un diritto compensativo sulle importazioni) e del d.P.R. 23 agosto 1960, n. 905 (Disposizioni in materia di restituzione dell'imposta generale sull'entrata per i prodotti esportati e di imposizione di conguaglio sugli analoghi prodotti di estera provenienza), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 1 dicembre 1977 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Ferraretto Giovanni F. e C. e Amministrazione delle finanze, iscritta al n. 244 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 201 dell'anno 1978;

2) ordinanza emessa il 1 dicembre 1977 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Isolabella e Figlio S.p.a. e Amministrazione delle finanze, iscritta al n. 245 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 201 dell'anno 1978;

3) ordinanza emessa il 20 aprile 1978 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Ditta Carlo Salengo e Amministrazione delle finanze, iscritta al n. 541 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 dell'anno 1979;

4) ordinanza emessa il 20 aprile 1978 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra S.p.a. F.lli Ramazzotti e Amministrazione delle finanze, iscritta al n. 542 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 dell'anno 1979;

5) ordinanza emessa il 4 maggio 1978 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la Soc. S.I.L.V.A. e Amministrazione delle finanze, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 dell'anno 1979;

6) ordinanza emessa il 25 maggio 1978 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra la Ditta S.I.L.V.A. Bianchi S.p.a. e Amministrazione delle finanze, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 87 dell'anno 1979.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1985 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

udito l'Avvocato dello Stato Mario Fanelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con tre coppie di ordinanze emesse rispettivamente il 1 dicembre 1977, il 20 aprile e il 25 maggio 1978, il Tribunale di Milano censura i decreti del Presidente della Repubblica 14 agosto 1954, n. 676 e 23 agosto 1960, n. 905, nella parte in cui sottopongono ad imposta di conguaglio le acquaviti estere, contemplate nella tabella a tali atti allegata, per irrazionalità in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., nonché per contrasto con l'art. 11 Cost..

La parte in diritto delle ordinanze ha identico contenuto.

Rileva il Tribunale che, ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 570, sui prodotti importati elencati nella tabella B allegata al decreto presidenziale previsto dall'art. 3 della stessa legge é dovuta, al momento dell'importazione, un'imposta di conguaglio, rapportata all'IGE cui va soggetto il similare prodotto nazionale.

La tabella allegata al d.P.R. n. 676 del 1954 contiene l'elenco dei prodotti da assoggettare alla suddetta imposta. Tale decreto é stato poi modificato con decreto legislativo delegato 23 agosto 1960, n. 905, emanato in base alla legge 7 luglio 1960, n. 633, al fine di adeguare le aliquote all'effettiva incidenza dell'imposta.

Ad avviso del collegio rimettente é manifesta la volontà del legislatore circa il carattere perequativo dell'imposta, diretta ad eguagliare il carico tributario dei prodotti nazionali, soggetti ad IGE, e quello dei similari prodotti esteri.

Senonché, osserva il giudice a quo, le acquaviti prodotte in Italia non si trovano in una posizione fiscale di svantaggio rispetto alle acquaviti estere, dal momento che il prodotto di base, nella specie il vino, é esente dall'IGE, in base al decreto legge 18 aprile 1950, n. 142. L'imposta di conguaglio sulle acquaviti da vino estere non avrebbe quindi l'effetto perequativo che dichiaratamente persegue, ma sottoporrebbe l'acquavite di provenienza estera ad un trattamento di sfavore rispetto ai similari prodotti nazionali; il che risulterebbe anche da accertamenti di carattere tecnico sul carico fiscale complessivo compiuti per incarico del Tribunale. Di qui la presunzione di una ingiustificata violazione delle norme pattizie sul principio della parità del carico tributario gravante sui prodotti dei, paesi aderenti, norme contenute nell'art. III (ora IV) del Tratatto GATT (reso esecutivo con legge 5 aprile 1950, n. 295) e nell'art. 95 del Trattato CEE.

Avendo il Tribunale con sentenze parziali adottato altra soluzione con riguardo alle norme oggetto della presente questione in riferimento alla pretesa violazione dell'art. 95 del Trattato CEE, la questione medesima si pone con riguardo alla sola norma del Trattato GATT. La prima fattispecie - relativa alle ordinanze emesse il 1 dicembre 1977 - ha ad oggetto l'importazione di cognac e armagnac dalla Francia, paese membro della Comunità Europea, nel periodo compreso fra l'aprile 1958 e il dicembre 1973 (e la questione si pone perciò con riguardo al rimborso delle cifre versate dagli importatori, quali imposte di conguaglio, limitatamente al periodo anteriore all'entrata in vigore della normativa CEE, e quindi fino al 31 dicembre 1961); la seconda fattispecie - relativa alle ordinanze emesse il 20 aprile 1978 - ha ad oggetto le importazioni di cognac (e quindi sempre dalla Francia) avvenute fra l'aprile 1960 e l'ottobre 1971 (anche in questo caso evidentemente la questione si pone con riferimento alle sole importazioni avvenute prima del 1962); la terza fattispecie infine - relativa alle ordinanze emesse il 25 maggio 1978 - ha ad oggetto le importazioni di cognac, armagnac e brandy da Francia, Germania occidentale e Spagna, avvenute fra il 1971 e il 1975 (ed in questo caso la questione si pone perciò solo per le importazioni di brandy spagnolo).

Secondo il giudice a quo la pretesa violazione dell'art. III del Trattato GATT determinerebbe il contrasto con l'art. 11 Cost., secondo un ordine d’idee parallelo a quello espresso da questa Corte con riguardo al Trattato della CEE.

Altro profilo d’incostituzionalità deriverebbe dal preteso contrasto della normativa denunciata con gli artt. 3 e 53 Cost., sul presupposto che la presunta inosservanza del principio di parità tributaria previsto dalla norma del Trattato GATT, venga a violare indirettamente il principio della proporzione fra carico fiscale e capacità contributiva dei cittadini, al quale é connesso lo stesso principio di eguaglianza.

Il Tribunale prospetta la violazione degli invocati parametri, deducendo il contrasto che sussisterebbe fra la ratio ispiratrice della legge istitutiva dell'imposta di conguaglio e la sottoposizione a questa delle acquaviti estere, dal momento che il prodotto di base delle acquaviti nazionali non era soggetto ad IGE.

Quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale fa notare come dal suo accoglimento deriverebbe l'accettazione della domanda di restituzione delle somme versate dalle parti attrici a titolo di imposta di conguaglio.

2. - Interviene in tutti i giudizi introdotti con le ordinanze del Tribunale di Milano, il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, con atti dal contenuto identico (salvo per il riferimento fatto, in quello relativo alle ordinanze emesse il 25 maggio 1978, a varie pronunzie della Cassazione).

Occorre peraltro rilevare come il contenuto dei suddetti atti ricalchi sotto vari profili quello degli atti d’intervento nei giudizi decisi da questa Corte con la sentenza n. 96 del 1982.

In punto di rilevanza, l'Avvocatura eccepisce che, censurando la norma impositiva, il giudice solleva il problema solo in relazione ad una delle componenti del carico tributario complessivo, con il risultato di configurare un'ingiustificata distinzione fra norme disapplicabili e norme eliminabili attraverso il giudizio di costituzionalità.

Il giudice a quo nel sindacare la parità di trattamento tributario fra il prodotto importato e quello interno similare, avrebbe indebitamente disapplicato statuizioni del legislatore fiscale, interferendo nella sfera riservata alla Corte.

Nel merito, l'Avvocatura rileva, con riguardo alla pretesa violazione dell'art. 11 Cost., che tale disposizione costituzionale non ha certo attribuito alle leggi che rendano esecutivo un qualsiasi Trattato internazionale un valore superiore rispetto alle altre leggi. Nessun problema di contrasto con l'art. 11 Cost. può porsi se non quando sia stato lo stesso legislatore ad acconsentire alle suddette limitazioni, come nel caso dell'ordinamento comunitario.

Pertanto la questione avente per parametro l'art. 11 Cost., se non inammissibile, andrebbe dichiarata infondata.

Viene anche dedotto il carattere limitato dell'Accordo ed il fatto che la sua parte II sarebbe stata applicabile solo nella misura in cui fosse risultata compatibile con la vigente legislazione negli Stati firmatari.

Ad ogni modo, continua l'Avvocatura, le disposizioni denunziate non sono in contrasto con la norma del Trattato GATT contenente il principio della parità del carico fiscale.

La norma pattizia va infatti intesa nel senso di prescrivere una parità del carico fiscale complessivo. Resta ferma l’autonomia dei sistemi impositivi adottati dai singoli Paesi. Il principio di parità tributaria riceve applicazione secondo i mezzi discrezionalmente prescritti dal legislatore nazionale: un possibile strumento é offerto dall'imposta di conguaglio che tende alla neutralità fiscale nel trattamento rispettivamente riservato al prodotto interno e al prodotto importato.

L'art. III del Trattato GATT non può ritenersi una norma self-executing, e come tale idonea ad inserirsi nell'ordinamento, ma va considerata solo espressione di un impegno da perseguire attraverso la normativa interna.

Quanto al grado di precisione della norma di adeguamento, la difesa erariale osserva che un sindacato su tale aspetto non sarebbe più di legittimità: riguarderebbe il merito della legge, ed esulerebbe quindi dalla competenza di questa Corte.

Ciò che é avvenuto nell'ambito dell'ordinamento CEE con l'armonizzazione delle legislazioni nazionali attraverso l'emanazione di varie direttive, non é nemmeno ipotizzabile per l'Accordo GATT.

Peraltro anche nell'ambito dell'ordinamento comunitario ai singoli Stati é lasciato un certo margine di autonomia nel perseguimento dell'obiettivo della parità del carico fiscale complessivo.

Le considerazioni fin qui svolte conducono l'Avvocatura a ritenere infondate le questioni poste in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.,

Rileva in proposito l'Avvocatura che il principio della necessaria proporzione fra carico fiscale e capacità contributiva va riferito in ogni caso al sistema tributario nel suo complesso e non alle singole imposte.

Comunque il problema in questione non sarebbe proponibile in relazione alle imposizioni doganali. La questione come prospettata implicherebbe infatti indagini di merito sulle scelte del legislatore da ritenersi inammissibili.

Anche qualora le censure del Tribunale dovessero ritenersi ammissibili, ciò che l'Avvocatura esclude, esse sarebbero peraltro da considerarsi infondate.

Quanto infine alla pretesa irrazionalità delle norme denunciate, che sottopongono all'imposta di conguaglio anche le acquaviti da vino, viene osservato che il sindacato di questa Corte resta pur sempre di legittimità, anche quando avviene sulla ragionevolezza delle norme; nella specie appare certo che il legislatore sia rimasto entro i limiti della legittima discrezionalità.

Rileva l'Avvocatura che l'effetto perequativo, perseguito da un lato attraverso l'imposta di conguaglio, e dall'altro attraverso gli incentivi alle esportazioni, non si sarebbe potuto raggiungere per mezzo della cosiddetta IGE all'importazione, prevista dall'art. 17 del d.l. n. 2 del 1940, perché in tal modo non si sarebbe tenuto conto degli oneri fiscali che il prodotto nazionale era chiamato a sopportare in tutte le sue fasi di elaborazione e commercio.

Il giudice a quo ha rilevato che tali oneri fiscali avrebbero potuto essere rappresentati, nel caso delle acquaviti da vino, dalla sola IGE sul vino, IGE dalla quale però sono stati in concreto esentati proprio i vini destinati alla distillazione.

Senonché, osserva l'Avvocatura, le operazioni imponibili del ciclo di elaborazione e commercio delle acquaviti non possono restringersi al solo acquisto del vino, ma costituiscono una complessa serie, che comprende l'acquisto dell'uva e di semilavorati, i corrispettivi per i servizi di trasporto, i compensi per le intermediazioni e così via. Messi insieme i detti passaggi imponbili vengono a costituire un non indifferente carico fiscale. Va poi considerato che le industrie distillatrici preferiscono acquistare i prodotti semidistillati sui quali era dovuta la normale IGE; dal che si giustifica pienamente l'assoggettamento delle acquaviti importate all'imposta di conguaglio.

La complessiva determinazione degli oneri pregressi - conclude l'Avvocatura - operata con i provvedimenti delegati impugnati, non é censurabile come arbitraria e irrazionale e andrebbe riconosciuta come legittima anche di fronte a quella che l'Avvocatura ritiene la discutibile prospettiva di un esame di merito.

3. - All'udienza pubblica dell'11 giugno 1985 il giudice La Pergola ha svolto la relazione e l'Avvocato dello Stato ha ribadito le conclusioni già adottate.

 

Considerato in diritto

 

1. - La presente questione é sollevata, come si spiega in narrativa, con sei ordinanze, emesse dal Tribunale di Milano in varia data: il 1 dicembre 1977 (reg. ord. 244, 245/78); il 20 aprile 1978 (reg. ord. 541, 542/78); il 25 maggio 1978 (reg. ord. 47, 48/79). Essa trae origine da controversie concernenti il rimborso di somme versate dagli attori per assolvere all'imposta di conguaglio, che l'amministrazione doganale avrebbe indebitamente riscosso con riguardo all'importazione di acquaviti estere - cognac, armagnac, brandy - dalla Francia, dalla Germania occidentale e dalla Spagna.

Ai fini della decisione rimessa al giudice a quo - si afferma nell'ordinanza di rinvio - viene in considerazione la clausola del GATT (General Agreement On Tariffs and Trade: reso esecutivo in Italia con legge 5 aprile 1950, n. 295) che prescrive il pari trattamento del prodotto importato e del similare prodotto interno. Tale norma pattizia, soggiunge il Tribunale di Milano, esige che il complessivo carico fiscale gravante sull'acquavite di provenienza estera sia considerato in rapporto a quello cui va soggetta l'acquavite di produzione nazionale.

Dall'indagine diretta, come si é testé precisato, alla valutazione comparativa del costo fiscale dell'uno e dell'altro prodotto, il collegio rimettente ha però ritenuto di dover escludere l'onere scontato nella specie per l'imposta di conguaglio, di cui la parte attrice chiede la restituzione; e ciò perché si tratta di un tributo introdotto - mediante legge, peraltro posteriore all'entrata in vigore delle disposizioni del GATT - espressamente all'apposito fine di perequare il trattamento del prodotto, sia estero sia nazionale.

L'imposta di conguaglio (o diritto compensativo) é prevista - in conformità della legge 31 luglio 1954, n. 570 - dal d.P.R. 14 agosto 1954, n. 676, e si applica, con l'aliquota ivi prevista, ai prodotti elencati nell'annessa tabella, in cui figurano le "acquaviti" (Tabella B - Parte III - voce 200 Cap. XXII). Il tributo é dovuto in aggiunta all'IGE che si sconta all'atto dell'importazione (cfr. l'art. 4 della citata legge n. 570 del 1954 e l'art. 17 della legge 19 giugno 1940, n. 762) e va rapportata all'IGE che il prodotto tassato avrebbe assolto durante la fabbricazione in Italia. La suddetta tabella é stata in seguito modificata (cfr. art. 1 d.P.R. 23 agosto 1960, n. 905, emanato in base alla legge 7 luglio 1960, n. 633, nonché il cap. 22 n. 22.09 dell'annessa tabella), ma solo per aggiornare la misura della relativa aliquota. Lo strumento impositivo così congegnato opera dunque - sempre ad avviso del giudice a quo - esclusivamente sul presupposto che il prodotto interno risulti soggetto, durante il ciclo della sua lavorazione, ad un maggior carico dell'IGE rispetto al corrispondente prodotto straniero. Più precisamente, il Tribunale di Milano assume che l'imposta di conguaglio sull'acquavite estera sarebbe giustificata solo in presenza della correlativa applicazione dell'IGE al prodotto, per così dire, di base, da cui deriva l'acquavite nazionale: e cioé, il vino destinato alla distillazione. Dal momento, però, che la compravendita di questo prodotto-base, in Italia, é esente dall'IGE in virtù dell'art. 18 del d.l. 18 aprile 1950, n. 142, l'imposizione del diritto compensativo resterebbe nel caso di specie priva di razionale supporto, con il risultato, anziché di perequare, di discriminare ingiustificatamente il regime fiscale del prodotto interno e di quello importato, in violazione del principio di parità tributaria stabilito nel GATT. Al riguardo, va aggiunto, il giudice a quo formula due distinte censure di incostituzionalità, che investono la normativa in esame in riferimento, rispettivamente, all'art. 11 e agli artt. 3 e 53 Cost. e sono, in sintesi, così motivate:

a) L'asserita infrazione all'art. III del GATT implicherebbe l'illegittimità costituzionale della norma istitutiva dell'imposta di conguaglio, per contrasto con l'art. 11 Cost.. Tale disposto del testo fondamentale, ritiene il giudice a quo, garantisce l'osservanza del GATT da parte del legislatore, non diversamente da come, secondo la giurisprudenza della Corte richiamata dall'ordinanza di rinvio (cfr. sent. n. 183/73), accade per il Trattato di Roma, riguardante l'istituzione della CEE.

b) L'inosservanza del principio di parità sancito in sede internazionale comporterebbe, poi, la violazione degli altri parametri invocati dal giudice a quo. Il legislatore fiscale - é infatti dedotto - ha disatteso il precetto della proporzione fra carico fiscale e capacità contributiva e lo stesso canone di eguaglianza, inteso nel senso che là dove, alla stregua delle previsioni pattizie, si abbiano situazioni rivelatrici di pari capacità contributiva, debba nel nostro ordinamento esser disposto un regime impositivo indifferenziato. La discriminazione che il giudice a quo ravvisa nel trattamento del prodotto importato sarebbe, quindi, frutto di un arbitrario esercizio della discrezionalità legislativa, censurabile dalla Corte. La previsione dell'imposta di conguaglio dovrebbe, del resto, esser comunque ritenuta irrazionale, perché verrebbe ad operare fuori dai presupposti che ne giustificano l'applicazione al caso di specie. Saremmo di fronte, insomma, ad uno strumento fiscale che non serve, per quel che interessa il presente giudizio, anzi contraddice, al fine perequativo perseguito dal legislatore. Così, in definitiva, si configura un'autonoma ipotesi d’irrazionalità della norma censurata.

2. - I giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe vanno, data l'identità della questione, riuniti e congiuntamente decisi.

3. - La difesa del Presidente del Consiglio ha eccepito l'inammissibilità della questione. I rilievi addotti in tal senso non possono però essere condivisi, com'é di seguito precisato.

1) Un primo motivo d’inammissibilità starebbe in ciò, che la causa principale non riguarda direttamente l'imposta in questione, bensì il diverso problema della "globalità " dell'imposizione. Muovendosi in quest'ordine di idee, l'Avvocatura ritiene che il Tribunale avrebbe dovuto "almeno spiegare perché mai abbia ritenuto di poter disapplicare le norme relative ai vari tributi globalmente in contestazione, così sostituendosi al legislatore o, per altro verso, al giudice delle leggi, ed abbia posto il problema soltanto per una delle componenti del complessivo carico tributario, quasi prospettando una linea di demarcazione, pur ai fini di un'unica lite e di un unico giudizio da rendere, fra norme disapplicabili e norme eliminabili soltanto con l'intervento della Corte costituzionale". Ora, la globalità, come dice l'Avvocatura, dell'imposizione, viene, certo, in rilievo, sempre che il complesso degli oneri fiscali concernenti, per un verso l'acquavite italiana, per l'altro quella importata, sia sperequato, beninteso ai danni del prodotto nazionale. Questa diseguaglianza del carico tributario costituisce, per vero, il presupposto, al quale, secondo legge, é subordinata l'applicazione del diritto compensativo. Ma é, va precisato, la previsione del tributo che ha la specifica funzione del conguaglio ad essere investita, direttamente ed esclusivamente, dalle censure in esame. Quel che qui importa, di conseguenza, é che il giudice a quo, enucleata l'anzidetta disposizione fiscale come oggetto della questione, abbia ritenuto di non poterla disapplicare e di doverla invece censurare avanti la Corte. Non si può, dunque, ritenere che la denuncia sia irrituale: né che difetti il necessario nesso di pregiudizialità fra il problema sollevato in questa sede e la definizione del procedimento pendente presso il Tribunale di Milano. Infatti, una volta rimossa la norma impositiva dedotta in giudizio con un'eventuale pronunzia di fondatezza, ne seguirebbe necessariamente il rimborso, chiesto dalla parte attrice nella causa di merito, delle somme versate in adempimento del contestato onere tributario.

2) L'Avvocatura delinea l'inammissibilità delle questioni sotto altro riguardo, col dedurre che le norme costituzionali di cui si lamenta la violazione non sarebbero correttamente invocate nel caso in esame: l'art. 11, perché, non godendo il GATT di copertura costituzionale, la relativa legge di esecuzione sta a suo avviso sullo stesso piano della legge ordinaria e può essere contrastata da una successiva norma scaturente da tale fonte; gli artt. 3 e 53, perché le censure, così come sono formulate, investirebbero il merito delle scelte riservate al legislatore fiscale, che la Corte non può sindacare. Ora, il primo degli anzidetti rilievi depone non per l'inammissibilità, bensì, come sarà subito spiegato, per l'infondatezza della questione; il secondo trascura che l'esercizio della discrezionalità spettante all'organo legislativo in materia d’imposizioni fiscali é sindacabile dalla Corte quando esso si concreti nell'emanazione di un'irrazionale od arbitraria disciplina: il che, appunto, é quanto assume il giudice a quo. La questione é allora ammissibile. Le osservazioni più oltre svolte dimostrano, però, che essa non é fondata.

4. - Censurando la disposizione istitutiva dell'imposta di conguaglio, il Tribunale di Milano denuncia in ultima analisi - ora sotto un profilo, ora sotto l'altro - la violazione del principio di parità tributaria stabilito nel GATT. Il punto esige un cenno di chiarimento. Il prodotto da cui deriva l'acquavite nazionale, il vino destinato alla distillazione, é esente dall'IGE, afferma il giudice rimettente, mentre l'acquavite straniera sconta l'IGE all'atto dell'importazione e subisce un maggior onere fiscale rispetto al similare prodotto interno. É sulla base del rilievo testé richiamato che l'imposizione del diritto compensativo viene censurata come lesiva, vuoi della regola pattizia (e così del disposto costituzionale, che di questa imporrebbe l'osservanza), vuoi dei principi costituzionali di eguaglianza e capacità contributiva. Ora, quanto al principio di parità tributaria sancito nel GATT, la Corte si é pronunziata in un precedente giudizio, promosso con riguardo alla disparità delle aliquote IGE, rispettivamente previste per il prodotto di provenienza estera e per quello interno (in quel caso si trattava del cd. cotone in massa), in forza, prima della legge 21 marzo 1958, n. 267, poi della legge 1 agosto 1969, n. 478. Nella controversia sopra richiamata si assumevano lese, per motivi analoghi a quelli fatti valere nel presente giudizio, le stesse norme costituzionali ora invocate: gli artt. 3, 11 e 53 del testo fondamentale. La questione proposta con riguardo all'art. 5 della legge n. 267 del 1958 é stata ritenuta non fondata (l'altra, concernente l'art. 9 della legge n. 478 del 1969, é stata dichiarata inammissibile, per difetto di rilevanza). Nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1985, l'Avvocatura si é richiamata all'anzidetta pronuncia di infondatezza (sentenza n. 96 del 1982), per dedurre che la conclusione allora accolta va tenuta presente nell'esame dell'attuale questione. La Corte é del medesimo avviso.

5.1 - Dalla sentenza n. 96/82 discende, anzitutto, che la questione proposta in relazione all'art. 11 Cost. non é fondata. A tacer d'altro, la legge di esecuzione del GATT non deve, né può essere assimilata, sul piano delle fonti interne, a quella emanata per conferire efficacia interna al Trattato di Roma: la quale ultima, in conformità ed adempimento di tale precetto costituzionale, ha autorizzato la limitazione dei poteri sovrani dello Stato e il relativo trasferimento ad un ente del tipo sovrannazionale, come esigeva l'ingresso dell'Italia nell'ordinamento del Mercato Comune. Il GATT, per parte sua, é solo un accordo tariffario e commerciale. La regola, in esso posta, del pari trattamento tributario dei prodotti non é assistita da alcun titolo per valere come criterio di raffronto nei riguardi della legge ordinaria.

5.2 - Resta il fatto che il giudice a quo denuncia l'inosservanza della norma pattizia anche in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.. Nell'ordinanza di rinvio si lamenta - questo é il nucleo essenziale della censura di irrazionalità, prospettata alla Corte - che il vino destinato alla distillazione, prodotto-base dell'acquavite nazionale, é esonerato dall'IGE, alla quale il prodotto straniero resta, in sede d'importazione, invece assoggettato, scontando, per di più, la contestata imposta di conguaglio. Così ragionando, tuttavia, il Tribunale di Milano configura il principio di parità tributaria, qual é sancito nell'ordinamento del GATT, diversamente da come esso é inteso dalla ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione. Anche qui sovviene la soluzione adottata con la sentenza n. 96 del 1982. L'eguaglianza del carico tributario si valuta raffrontando il coacervo delle imposizioni che afferiscono - nel sistema applicativo dell'IGE, che é imposta cosiddetta "plurifase", operante "a cascata" - così al prodotto importato, come al similare prodotto interno. L'incidenza dell'IGE sul prodotto interno, che va tenuta presente per appurare se si giustifichi l'applicazione dell'imposta di conguaglio al corrispondente prodotto di provenienza estera, non é dunque, ai fini dell'attuale decisione, soltanto quella che risulta dall'onere eventualmente posto sul vino da cui si distilla l'acquavite nazionale. Occorre, invece, riflettere sul criterio che ha riguardo al costo fiscale complessivo di quest'ultimo prodotto; criterio accolto, dopotutto, anche dal giudice che ha promosso la presente questione. Solo così, si deve aggiungere, l'imposta di conguaglio é applicata come vuole la legge, secondo la quale il diritto compensativo é stabilito in rapporto agli oneri che lo stesso prodotto avrebbe assolto durante l'intero ciclo della sua fabbricazione in Italia. Posto ciò, diviene evidente che il presupposto della denunziata imposizione fiscale risulta nel caso in esame soddisfatto. Correttamente, infatti, l'Avvocatura deduce che il ciclo rilevante, dal punto di vista tributario, per il trattamento dell'acquavite nazionale é costituito, oltre che dalla compravendita del vino, da una serie di altre operazioni, risalenti all'acquisto dell'uva, per il quale nessuna esenzione é stabilita (mentre il relativo costo fiscale é naturalmente compreso in quello del vino, anche se quest'ultimo prodotto non é imponibile). Il che significa che vi sono più passaggi imponibili - l'acquisto di semilavorati, gli appalti per i vari casi di trasformazione, i corrispettivi per i servizi di trasporto, i compensi di intermediazione nelle fasi commerciali, e così via - i quali rappresentano in complesso un non indifferente carico tributario.

La difesa del Presidente del Consiglio soggiunge che l'industria distillatrice del vino non é a ciclo integrale e per convenienza commerciale preferisce addirittura acquistare da altre industrie il prodotto semidistillato, sul quale deve corrispondere il normale onere dell'IGE. Ma ad acclarare la infondatezza della questione basta questa semplice osservazione, che assorbe, in punto di razionalità, ogni residuo profilo dei lamentati effetti discriminatori del tributo: il diritto compensativo é stato istituito per regolare il carico tributario sull'acquavite straniera, proprio in ragione della somma degli oneri, di cui il legislatore ha valutato, come esso doveva, l'incidenza a cascata (per via del caratteristico sistema applicativo dell'IGE) sull'acquavite nazionale, sempre in relazione all'arco intero della lavorazione di quest'ultimo prodotto. Non vi é quindi alcuna arbitrarietà - tanto meno, come vorrebbe il giudice a quo, manifesta - nella normativa sottoposta al giudizio della Corte. Del resto, ancora sulla base della sentenza n. 96 del 1982, uno strumento di perequazione fiscale - quale, fuori di dubbio, é l'imposta di conguaglio, che qui é fatta operare in relazione alla clausola di parità tributaria del GATT - resisterebbe alla censura di irrazionalità, pur quando, secondo il concreto atteggiarsi del circuito di produzione e commercializzazione del prodotto nazionale, l'una o l'altra fase del relativo ciclo di lavorazione risultasse sfuggire all'applicazione dell'IGE. Il che conferma, in conclusione, che le censure del Tribunale di Milano non meritano accoglimento nemmeno sotto gli aspetti da ultimo considerati.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei dd.PP.RR. 14 agosto 1954, n. 676, e 23 agosto 1960, n. 905, nella parte in cui sottopongono alle imposte di conguaglio le acquaviti estere, sollevata con le ordinanze in epigrafe dal Tribunale di Milano in riferimento agli artt. 11, 3 e 53 Cost..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1985.

Guglielmo ROEHRSSEN - Antonio LA PERGOLA

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1985.